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Dalla Shoah alle foibe, un filo rosso-bruno

Dario Fertilio

Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Dario Fertilio, in occasione del Giorno del Ricordo

Ha pesato quest'anno l'assenza delle massime cariche dello Stato all'appuntamento col Giorno del Ricordo a Basovizza e Trieste. Una scelta non felice, sia per la particolare ricorrenza del 70° anniversario dalla firma del trattato di pace che ha tolto all'Italia Istria e Dalmazia; sia per il sentimento così diffuso in queste terre ancora impregnate dell'orrore delle foibe. Ma anche per una denuncia, non più rinviabile, del collegamento storico con le altre grandi tragedie novecentesche, incluse la Shoah e l'Holodomor (lo sterminio per fame inferto agli ucraini su ordine di Stalin).

Il filo rosso-sangue che collega le varie vicende - al di là della definizione di genocidio o "semplice" pulizia etnica - è l'ideologia totalitaria. Questo termine evoca le sue due grandi incarnazioni storiche, comunismo e nazionalsocialismo - con l'aggiunta recente dell'islamismo radicale. Tuttavia, nel caso dei 10-30 mila italiani innocenti fatti sparire sul fondo degli imbuti carsici, e degli oltre 300 mila che furono costretti all'esilio dalle loro terre, esiste una variante finora poco considerata: il nazicomunismo.

Possiamo chiamare così l'inquietante ibrido fra nazionalismo radicale e ideologia bolscevica che ha dato terribile prova di sé, durante la successiva guerra civile jugoslava, a opera di Slobodan Miloševic e del suo braccio destro, Radovan Karadžić. Lungi dall'essere spuntato improvvisamente come una pianta velenosa dalle rovine jugoslave, questo impasto ideologico rosso-bruno era presente da decenni all'interno della cultura politica serba - etnia dominante all'interno prima della monarchia, e poi delle federazione comunista di Belgrado. Si trattava di un humus slavista ortodosso e russofilo, non solamente anti-italiano, ma più ampiamente anticattolico, antialbanese, anti musulmano, che aveva già trovato il suo teorico in Vaso Cubrilović. Questi, coinvolto ancora minorenne nell’assassinio di Sarajevo e per questo, dopo il 1918, trasformato in eroe nazionale della Jugoslavia monarchica, aveva diffuso nel 1937 un vero e proprio manuale della pulizia etnica, dove punto per punto veniva illustrata la tecnica da adottare per liberarsi delle nazionalità "indesiderate". Concepito allora per gli albanesi del Kosovo, venne attuato coscienziosamente al momento opportuno contro gli italiani. Una frase di Cubrilović - che poi divenne ministro di Tito e in seguito collaboratore di Miloševic - vale per tutte: "La sola maniera di allontanare gli etno-diversi è la forza brutale di un potere statale organizzato. Non rimane che una sola via, la loro deportazione di massa. Quando il potere dello Stato interviene nella lotta per la terra, non può avere successo che agendo brutalmente".

E non si deve credere che si sia trattato di una voce isolata, perché il radicale nazionalismo serbo ha potuto attecchire, attraverso il bolscevismo, anche fra le altre nazionalità jugoslave. Le indicazioni di Cubrilović vennero messe in pratica dal ministro degli Esteri jugoslavo sloveno, Edvard Kardelj, inviato da Tito in Istria - secondo la testimonianza del suo collega Milovan Gilas - "allo scopo di indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto". Ed è triste che un altro ministro titino connivente, Josip Smodlaka, fosse dalmata, e sindaco di Spalato nel dopoguerra. Fu lui a incaricarsi di dare corpo geopolitico alle mire espansionistiche jugoslave teorizzando l'annessione non solo di Trieste, ma anche di Gorizia, e suggellando il suo piano con l'invito provocatorio rivolto all'Italia: "ripassate l'Isonzo e torneremo fratelli".

Questo impasto ideologico di nazionalismo ortodosso a base etnica e bolscevismo - il nazicomunismo appunto - si è manifestato nel terrorismo delle foibe, nello sradicamento delle popolazioni italiane, nella pianificazione preventiva di una società comunista. Più ancora che pulizia etnica, odio di classe, rappresaglia militare, la tragedia dalmata e istriana è da attribuire al totalitarismo "scientifico" dei decenni precedenti. Ne fecero le spese significativamente tutti gli oppositori politici del futuro regime: sloveni domobranci (i 14mila sterminati di Viktring), croati ustascia con le loro famiglie (nell'eccidio di Bleiburg vennero "liquidate" 50-100 mila persone), serbi cetnici anticomunisti. E nelle foibe finirono, oltre alla grande maggioranza di italiani e ai tedeschi, persino neozelandesi dell'esercito britannico.

Perciò la tragedia non ha nulla di irrazionale - a parte le modalità particolarmente efferate - né di "spiegabile" con le atrocità della guerra. E' figlia legittima del totalitarismo che ha dato il peggio di sé nel corso di un secolo. E non è possibile, oggi, parlare della Shoah, e degli altri eccidi, senza chiamare in causa ciò che accadde in Istria e Dalmazia.

Dario Fertilio, giornalista e scrittore

Analisi di

13 febbraio 2017

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