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Le virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa

convegno internazionale - 9 e 13 novembre 2012

Si è concluso con una straordinaria partecipazione il convegno internazionale "Le virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa", svoltosi a Palazzo Marino il 9 e 13 novembre 2012. Il convegno è partito dagli esempi proposti in questi anni, e onorati con gli alberi al Monte Stella, per riflettere sul senso di memorie legate a una comune identità.

Primo appuntamento in vista delle celebrazioni del 6 marzo, Giornata Europea in Memoria dei Giusti, istituita dal Parlamento di Strasburgo nel maggio scorso rispondendo all’appello di Gariwo.

I relatori:

  • Massimo Cacciari, filosofo, Università Vita e Salute S. Raffaele di Milano
  • Stefano Levi Della Torre, saggista, Politecnico di Milano
  • Sante Maletta, filosofo, Università della Calabria
  • Salvatore Natoli, filosofo, Università di Milano Bicocca
  • Gabriele Nissim, scrittore, presidente di Gariwo, la foresta dei Giusti
  • Francesca Nodari, filosofa, direttore del festival "Filosofi lungo l’Oglio"
  • Francesco Tava, filosofo, Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca

Sono intervenuti, inoltre, il presidente del Consiglio comunale Basilio Rizzo, l'eurodeputato Gabriele Albertini, primo firmatario per l’istituzione della Giornata Europea dei Giusti, il consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Giorgio Mortara e il console onorario della Repubblica di Armenia Pietro Kuciukian.

Vi proponiamo di seguito una riflessione di Anna Maria Samuelli, membro della Sezione Didattica di Gariwo, che presenta le relazioni.

Insegnanti, studenti, simpatizzanti, rappresentanti delle istituzioni, lasciano Sala Alessi a Palazzo Marino scambiandosi impressioni e idee. Qualcuno cerca di intrattenere i relatori per qualche chiarimento. Si spengono le luci sul Convegno internazionale “Le virtù dei Giusti e l’identità dell’Europa”, organizzato dall’Associazione del Giardino dei Giusti di Milano, ma sullo sfondo del cielo blu della bandiera dell’Europa le stelle appaiono più luminose. La memoria dei Giusti, fatta vivere attraverso lo sguardo dei filosofi e dei pensatori, è più nitida; la mappa dei concetti più chiaramente fondata e meno arduo appare il compito di utilizzare la crisi che oggi stiamo vivendo per una riproposizione dell’etica e dei valori dell’umanesimo nella nostra quotidianità. L’esempio dei Giusti e dei resistenti morali è fecondo per indicare una direzione diversa ai processi storici in atto, e per un recupero dei valori della cultura europea, la democrazia, i diritti umani, il pluralismo, la pace, oggi oscurati dalla crisi economica e politica in atto.

In questa fase di riflessione seguita al traguardo raggiunto da Gariwo e dai suoi sostenitori con l’istituzione da parte del parlamento europeo della “Giornata europea in memoria dei Giusti”, è apparso utile dare al convegno un taglio speculativo, nell’intento di enucleare i concetti che fondano le virtù dei Giusti coincidenti con i valori più alti della cultura europea.
L’Europa non si rinsalda con la concorrenza tra le memorie. Il concetto di “Giusto tra le Nazioni”, che continua a custodire la forza fondativa delle origini, diventa oggi un punto di riferimento per ricordare quanti, in tutti i genocidi e i totalitarismi hanno avuto il coraggio di difendere la dignità umana, per se stessi e per i perseguitati. Siamo di fronte a memorie che “corrono insieme”, come ha sottolineato Salvatore Natoli nella relazione di apertura del Convegno, a memorie che sono legate al bene: il bene unifica, il male divide.

Ci è stato affidato un compito, “salvare i Giusti” per salvare l’identità nobile dell’Europa.
Le domande poste da Gabriele Nissim in apertura della seconda giornata sono state il perno attorno cui si è costruito, ante e post, il percorso di riflessione. Di che cosa si sostanzia l’agire dei Giusti? Perché i Giusti e i resistenti morali sono i custodi della cultura europea? E ancora, quale la relazione tra la memoria del bene e l’educazione alla responsabilità? Non è forse il rapporto con se stessi che salva l’uomo e gli permette di agire “per l’altro”?

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Prima giornata - 9 novembre

Salvatore Natoli richiama le parole chiave di un vocabolario comune dei Giusti: libertà, rispetto, attenzione, e soprattutto dignità. Visibile è il legame della dignità con il bene e con l’universale, poiché ciò che “si addice” e non può essere tolto all’uomo è la sua umanità.
L’umanità di tutti è “indelebile” e il Giusto è colui che si fa carico dell’altro perché lo vede nella “dignità” che, fin dal secolo dei lumi è alla base dei diritti umani, patrimonio comune dell’Europa. Accettare che venga negata l’umanità, accettare che venga tolto all’uomo ciò che “di fatto” gli appartiene, vale a dire la libertà e il suo essere fine e non mezzo, fa nascere ogni tipo di violenza. L’esempio dei Giusti fa si che ognuno di noi riconosca in se stesso la possibilità di una donazione senza contropartite. Non siamo sul terreno dell’obbligo morale come norma astratta e neppure sul terreno della solidarietà caritatevole. È il volto dell’altro che mi dà la forza di indignarmi, di reagire di fronte all’ingiustizia. Si tratta dell’inevitabilità del sentirsi obbligati. Nei casi estremi delle persecuzioni nei regimi totalitari, il volto della vittima ha dato ai Giusti il coraggio di opporsi e salvare, sfidando il potere che indica nel perseguitato il nemico. Un “pathos morale” li ha spinti al di là del diritto e li ha costretti a uscire dall’indifferenza. Hanno salvato la dignità in se stessi e nell’altro, riconoscendola un bene universale.

L’intervento di Stefano Levi Della Torre si incentra sul concetto paradossale di “giustizia fuorilegge”. I Giusti si sottraggono prima di tutto agli stereotipi dell’ideologia e della propaganda dei regimi e hanno il coraggio di tradire i valori socialmente riconosciuti in nome di una giustizia totalmente interiorizzata.
Devono vincere, prima di tutto dentro di sé, ciò che appartiene al senso comune; rinunciano ai vantaggi sociali, a relazione consolidate Si espongono ed espongono altri al pericolo. Diventano una minaccia per il regime e si trovano soli.
I Giusti pensano in autonomia, dicono “no” in nome del principio universale che vede nel perseguitato non un semplice vicino, ma il plesios, il prossimo. La coscienza dalla quale i Giusti traggono la forza di reagire al male, “non è un fatto puramente personale: è lo sguardo interiorizzato di una comunità virtuale di persone con cui abbiamo via via diviso valori, idee morali e politiche”. Allargare questa comunità di persone di buona volontà, darebbe forza al Giusto e lo farebbe sentire meno solo.

A questo obiettivo hanno teso gli sforzi di Jan Patoĉka e Václav Havel, come emerge dalla relazione di Sante Maletta. I Giusti e i resistenti morali che compongono la schiera dei dissidenti, hanno pagato col carcere e, in alcuni casi, con la tortura, la loro determinazione a resistere alle lusinghe dell’ideologia. Il loro obiettivo non era la giustizia politica o la rivoluzione, bensì la trasformazione della società civile. È l’eredità della cultura europea che ha dato ai dissidenti le risorse spirituali per una disobbedienza civile non violenta, espressa attraverso il circuito clandestino del samizdat. L’esperienza del dissenso ci fa capire che il problema dell’uomo che vive nei regimi totalitari e post-totalitari è essenzialmente etico. I concetti di “cura dell’anima”, di “credibilità morale” e la disponibilità al sacrificio sono l’asse portante del pensiero di Patoĉka. Da parte sua, Havel scriveva: “Non voglio cambiare me stesso, ma voglio essere un me stesso migliore”. Lo “slancio più potente” citato da Sante Maletta, fa riferimento a un recupero dei valori umanistico-cristiano che sono l’anima dell’Europa. Come può avvenire per gli uomini la conquista della loro credibilità morale?

Seconda giornata - 13 novembre

Nella visione di Emmanuel Levinas, oggetto della relazione di Francesca Nodari, ciò che apre alla dimensione morale è la corporeità finita e mortale, la scoperta della “bisognosità”, del limite. L’uscire da sé e il farsi incontro all’Altro, discende necessariamente dalla nostra condizione esistenziale e si presenta nella forma della “responsabilità incarnata”. “L‘io è colui che prima di ogni decisione è eletto per portare tutta la responsabilità del Mondo”.
L’esperienza del lager, con tutto il suo carico di dolore e disperazione, ha determinato in Levinas l’abbandono del solipsismo ontologico, la scoperta della propria colpevolezza e la conseguente decisione di “iniziare qualcosa con se stesso”; questo significa scoprirsi nel bisogno dell’Altro/degli altri. L’altro non è mai per il mio potere e l’io non si accresce per via di “poteri”, ma attraverso la “pazienza” di fronte all’altro, incarnata nel “gesto messianico della carezza”. I Giusti e i resistenti morali che hanno saputo compiere “il gesto”, sono, in questo modo, la speranza per il presente.

Il concetto di sacrificio e di comunità in Patoĉka sono al centro della relazione di Francesco Tava. L’espressione di sé nell’attività creativa che è cura dell’anima, genera una comunità spirituale che costituisce l’orizzonte entro il quale il soggetto dissidente si assume la responsabilità di opporsi sino al limite del sacrificio. Il pensiero posto a servizio delle dinamiche della storia diventa assunzione di responsabilità, scelta di non stare ai margini degli eventi tragici e delle “scosse” del divenire. Il concetto di libertà, sul quale Patoĉka ha riflettuto a lungo e il concetto di sacrificio, “pratica destabilizzante per eccellenza capace di far tremare l’ordine delle forze”, trovano fondamento nella scelta etico-politica di adesione a Charta 77 da lui compiuta. La soggettività dissidente crea una nuova aggregazione comunitaria, apre uno spazio pubblico in un’Europa che porta ancora sulle spalle il fardello delle immani tragedie del XX secolo.

Il genocidio degli armeni, la prima di queste tragedie, nella testimonianza di Pietro Kuciukian, figlio di un sopravvissuto,è stato l’orizzonte da cui sono nate le domande sul problema del male, che nella forma di prima pulizia etnica del XX secolo ha mostrato la sua scandalosa gratuità. Immergersi nella storia di suo padre e del suo popolo, per una sorta di costrizione interna, ma anche per vincere il silenzio e la pena di una memoria negata, gli ha fatto toccare con mano il fardello troppo pesante di una memoria imperniata solo sul male. Le storie dei carnefici sono state sostituite con le storie dei salvatori, dei buoni al tempo del male.
Le riflessioni proposte dal Convegno, prima tappa in vista della celebrazione della Giornata europea in memoria dei Giusti, fanno nascere la speranza che un’Europa capace di onorare gli esempi dei Giusti, sia anche un’Europa all’altezza della sua storia migliore. Introducendo l’intervento di Massimo Cacciari che conclude il convegno, Pietro Kuciukian sottolinea come i Giusti, nel gesto di rottura sono esempi che costituiscono il cuore della memoria educativa per le nuove generazioni.

“L’idea dei Giusti è un’idea grande e difficile”, esordisce Massimo Cacciari, un’idea che eccede la legge e il diritto avendo una dimensione di paradossalità e di straordinarietà. Non ha a che fare né con la giustizia distributiva, visto che il Giusto si svuota del suum per donarsi interamente, né con la giustizia punitiva. Il Giusto dona e perdona, è portatore di un’idea di bene che eccede ogni calcolo e misura. Il Giusto è portatore di bene in quanto il bene è lasciare che l’altro sia, nella sua libertà e persino nel suo opporsi. Il male è isolarsi, rinchiudersi, non guardare, non vedere, non rispondere. Il male è comune, il bene è straordinario. È questo male comune che ha reso possibile i genocidi e i totalitarismi del XX secolo e che ancora rende possibile la catena della vendetta e delle stragi. L’azione del Giusto è straordinaria, poiché è più facile rispondere al male con il male che rispondere salvando e testimoniando la verità.
Dall’intervento conclusivo di Massimo Cacciari si può ricavare che l’esistenza storica dei Giusti, ci fornisce il criterio di distinzione tra bene e male e se da una parte rende chiara la sostanza straordinaria ed eccezionale del loro agire, dall’altra testimonia che questa strada non è impraticabile.