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Il passato della Bulgaria

conferenza internazionale a Sofia

Il Parlamento bulgaro (foto di pubblico dominio)

Il Parlamento bulgaro (foto di pubblico dominio)

Il Bulgarian Helsinki Committee organizza nella capitale bulgara il convegno Facing our past, il 5 e 6 ottobre presso l'Hotel Radisson in piazza Narodno Sabranje, 4

All'evento parteciperanno studiosi bulgari, americani, francesi e macedoni. Per la prima volta saranno narrate pubblicamente le storie dei deportati di Skopje, Ksantis, Kavala e Sofia, uccisi nel 1943 nella Shoah, direttamente dai loro parenti. 

Ospite speciale è Gabriele Nissim, che ha scritto il libro L'Uomo che fermò Hitler dedicato alla figura di Dimitar Peshev, il Vicepresidente del Parlamento bulgaro che diede ordine di fermare i treni delle deportazioni dalla Bulgaria interna, salvando i suoi 45.000 ebrei. Gli israeliti delle zone occupate dai bulgari, Tracia e Macedonia, invece furono inviati ad Auschwitz da dove non fecero ritorno. 

Interverrà anche Lea Kohen, ex ambasciatrice bulgara in Belgio, che presenterà il suo libro You believe

La tragedia degli ebrei di Tracia e Macedonia sarà rievocata anche nella proiezione dei documentari Borislav and the Balkans di Julius Stoyanov ed Empty Boxcars dello scrittore americano Ed Gaffney. 

Per l'occasione verrà allestita anche la mostra New sources for Holocaust con molti materiali dei maggiori archivi nazionali bulgari.  

L'intervento di Gabriele Nissim

Il convegno vuole essere un'occasione per un dibattito serio e approfondito sulle responsabilità storiche della Bulgaria nella deportazione degli ebrei di Tracia e Macedonia durante la Shoah. Pubblichiamo di seguito uno stralcio dell'intervento di Gabriele Nissim a Sofia. Il testo integrale è nel box qui sotto. 

"Quanto succede negli anni quaranta del secolo scorso è una rappresentazione molto chiara della normalità del male, descritta magistralmente da Hannah Arendt, quando osserva che gli uomini possono diventare protagonisti di gravi crimini, non perché sono demoniaci e cattivi, ma perché perdono la prerogativa di pensare e di giudicare. Il male si configura dunque come assenza di pensiero. Nelle situazioni estreme, tipiche dei sistemi totalitari, la coscienza morale non funziona perché chi diventa passivo nei confronti del male ritiene suo dovere ubbidire e conformarsi alle leggi e seguire l’orientamento politico ed ideologico del potere. Trasgredire paradossalmente diventa una colpa se non viene supportato da una capacità di riflessione e di immaginazione autonoma. Proprio in questo si coglie la  grandezza di Peshev. Quando il suo amico Jako Baruch, a poche ore dall’imminente deportazione, lo invita a prendere un’iniziativa a sostegno degli ebrei che erano già stati raccolti nei depositi di tabacco per essere trasferiti in Polonia, Peshev si trova di fronte a due possibili opzioni: comportarsi come Eichmann e tutti coloro che assecondavano la soluzione finale, sostenendo che un cittadino onesto, anche se le cose non gli piacevano, doveva conformarsi agli ordini dello stato e alle leggi in vigore.  Doveva dunque ubbidire, per il bene supremo della Bulgaria, al  governo della Corona e  non provare imbarazzo di fronte alle richieste di aiuto avrebbe fatto finta di non sapere nulla. Oppure avrebbe dovuto interrogare se stesso e mettersi al posto degli ebrei, immaginando le loro possibili sofferenze. In questo caso il suo giudizio non si sarebbe basato su norme stabilite a priori, sulla moda culturale del tempo, ma esclusivamente sulla sua capacità di pensare in modo autonomo. È quello che Hannah Arendt definisce come il giudizio riflettente, la capacità di ogni uomo di esprimere su ogni cosa un giudizio estetico (mi piace o non mi piace, è bello o è brutto) senza basarsi sull’orientamento politico generale. Peshev, dopo un travaglio interiore sceglie questa seconda strada. Comprende che non avrebbe potuto sentirsi in pace con se stesso se avesse continuato a tacere sulla deportazione degli ebrei. Si comporta così come Socrate il quale  aveva insegnato che è meglio subire un torto, piuttosto che commetterlo, come è meglio essere in contrasto con il mondo intero, piuttosto che con se stesso". 

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