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"Indignarsi non è sufficiente"

don Gino Rigoldi ospite di Gariwo

“Per onorare l’esempio di chi fa del bene durante il male abbiamo esteso la categoria dei Giusti a tutti i genocidi e crimini contro l’Umanità. Con questo obiettivo: avviare un discorso sulla memoria del bene e sull’educazione dei giovani alla responsabilità”. Così Gabriele Nissim apre l’incontro con don Gino Rigoldi nella sede di Gariwo a Milano.

Nissim racconta il suo impegno con i ragazzi delle scuole e sottolinea l’importanza di trasmettere sempre ai giovani una speranza, anche parlando dei momenti più bui della storia. Solo in questo modo, infatti, il tema dell’educazione alla responsabilità personale può trasmettere un messaggio importante sulle possibilità dell’individuo. “Questo lavoro trasversale - prosegue il presidente di Gariwo - che coinvolge la Shoah e il genocidio armeno, il Ruanda e la Cambogia, ed evidenzia gli esempi positivi, mostra come nella storia ci sia un determinismo: dove c’è un Giusto infatti la storia cambia. Nelle conferenze che ho tenuto nelle scuole ho potuto vedere come questo tipo di discorso trovi un grande riscontro tra i giovani. Se infatti si trasmettono solamente il dolore, la sofferenza e il lato negativo della storia, i giovani pensano che non si possa fare niente per cambiare le cose; con il discorso sui Giusti abbiamo però ribaltato questa concezione, ribadendo che c’è sempre la possibilità di interagire negli avvenimenti, di fare una scelta”.

È proprio in questo impianto pedagogico che il lavoro di Gariwo si avvicina al percorso di don Gino Rigoldi, cappellano dell’istituto penale minorile Cesare Beccaria e presidente di Comunità Nuova, l’associazione che dal 1973 si impegna per l’inserimento nella società dei ragazzi usciti dal carcere e aiuta i tossicodipendenti, gli stranieri in difficoltà e le giovani prostitute. “I ragazzi hanno bisogno di identificarsi - spiega don Rigoldi - e di riconoscere comportamenti edificanti. Per questo continuo a ripetere loro quello che è ormai il motto di quest’anno: ‘indignarsi non è sufficiente’. Quando porto i miei ragazzi - 150 all’anno, dai 16 anni in su - negli istituti minorili della Romania, per stare accanto ai bambini di queste strutture, mi rendo conto che si manifesta in loro un desiderio di essere protagonisti che è ancora timido e istintivo, poco ragionato. È quindi essenziale sviluppare da qui un processo di apprendimento basato su esempi positivi, per far sì che i giovani diventino protagonisti di giustizia, non soltanto benefattori”.

Indignarsi non basta, è necessario rispondere alla propria coscienza e fare una scelta.
E con i ragazzi del carcere non è facile. Questi giovani hanno bisogno infatti di un passaggio ulteriore, di immergersi in questo sistema di valori e “respirare” questo tipo di cultura positiva, in un percorso in cui è fondamentale il ruolo degli educatori, chiamati per primi a far partire la relazione con i ragazzi - che spesso hanno una grande diffidenza nei confronti di chi “sta fuori”.
E proprio la relazione diventa quindi la porta di accesso per trasmettere questi esempi edificanti.

“La carenza più pericolosa dei nostri giorni - continua don Rigoldi - è che siamo sempre meno capaci di amare l’altro. Anche l’amore, come la solidarietà, è un processo, uno stile di vita, una disciplina, un cammino. Ma chi ha mai descritto il processo? Mi piacerebbe riuscire a scrivere qualcosa proprio su questo, sulla procedura dell’amore e degli amori, raccontare cosa funziona e cosa distrugge, descrivere il cambiamento”.

Il discorso sul cambiamento, sul meccanismo della “trasformazione” risulta centrale anche parlando di Giusti. E questo è evidente analizzando figure come quella di Dimitar Peshev, vicepresidente del Parlamento bulgaro, fascista convinto e sostenitore di Hitler che al momento della soluzione finale diventa il deus ex machina del salvataggio dei 48mila ebrei bulgari. Peshev, come ogni Giusto, non è stato mosso da un desiderio di eroismo, ma dalla propria coscienza: si è trovato in quella situazione e ha deciso di non girare la testa all’altra parte. “Quello che conta non è solamente l’atto di soccorso in sé - conclude Nissim, quanto piuttosto entrare nel meccanismo della scelta. Cosa porta una persona a esprimere compassione, a prendersi una responsabilità? Analizzando le esperienze dei Giusti, è essenziale capire come questi, con le loro azioni, hanno scardinato i meccanismi di potere e le idee del tempo, ricavando il Bene non solo dell’altro, ma anche di loro stessi”.

Legare quindi il percorso etico all’elemento storico di queste vicende, per trasformarle in esempi positivi per i giovani. Questo significa parlare di Giusti, di responsabilità personale, di relazione, di cambiamento, della possibilità dell’individuo di compiere una scelta.  

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

17 febbraio 2014

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