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Il labirinto del silenzio

di Giulio Ricciarelli Germania, 2014

Una scena dal film

Una scena dal film

Labyrinth des Schweigens non è un film sull'Olocausto ed è solo in parte utile a introdurre o ad approfondire il tema dello sterminio degli ebrei in Europa. Il regista Giulio Ricciarelli mette in scena il percorso che ha portato i figli a prendere atto delle responsabilità dei padri mentre i sopravvissuti, rappresentati dalla figura del pittore Simon Kirsch, che ha perso le figlie gemelle ad Auschwitz, cercano disperatamente il conforto dell'oblio.

La comprensione del vero tema di questo film presuppone da parte dello spettatore una conoscenza di base delle modalità e delle dimensioni dell'orrore dei campi di concentramento: le reazioni di stupore e indignazione che il film è in grado di suscitare nascono dal contrasto fra la ormai diffusa e consolidata conoscenza dei crimini del nazionalsocialismo di cui dispone lo spettatore medio di oggi e la presa d'atto del progetto di oblio e rimozione del passato che ha dominato il sentire comune della società tedesca degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta. La Germania degli "anni di piombo": una formula ormai passata nel linguaggio comune per definire gli anni del terrorismo politico in Germania e in Italia, ma che nel film (1981) omonimo di Margarethe von Trotta dipingeva la cappa di silenzio calata sulla Germania del secondo dopoguerra, che opprime l'infanzia delle due protagoniste femminili, una delle quali (quella modellata sulla figura di Gudrun Ensslin) imboccherà il percorso della lotta armata.

La generazione della Ensslin appare nella scena iniziale del film di Giulio Ricciarelli, che mostra i ragazzini della scuola in cui ha trovato un impiego di insegnante un ex membro delle SS. In questo film il ruolo più importante lo svolgono però i loro fratelli e sorelle fra i venti e i trent'anni che condividono il Lebensgefühl, il profilo emotivo dei genitori impegnati a costruire il miracolo economico tedesco e a goderne i frutti: nuovi abiti, feste private, musica jazz. Con le parole di Kirsch: "Dieses Land will Zuckerguß, es wird die Wahrheit nicht wissen"[1].

Il film è giocato sulla giustapposizione fra questo mondo delle apparenze, la dolce melassa del "Wirtschaftswunder", e una verità inquietante che emergerà nel corso del film.

Questo doppio registro, in tensione fra innocenza e colpa, apparenze e verità nascosta, conoscenze di allora e di oggi, si annuncia nelle prime inquadrature del film: alle immagini della ricreazione dei giovani allievi di una scuola di Francoforte sul Meno succede il disvelamento della vera identità di un insegnante di questo istituto. Kirsch riconosce nella persona che gli accende la sigaretta attraverso le sbarre della cancellata[2] un appartenente alle SS in servizio ad Auschwitz. Un dettaglio fisico che marchia il carnefice, la malformazione della mano, consente l'agnizione e introduce la tonalità dominante di apertura: gli assassini erano fra di noi, avevano ripreso il loro posto nella società.

Il cambio di scena introduce la figura (inventata) di Johann Radmann, il giovane procuratore che verrà incaricato di guidare le indagini avviate da Fritz Bauer, il procuratore generale di Francoforte, perseguitato dopo il 1933 in quanto ebreo e socialdemocratico, ritornato nel 1949 in Germania dopo l'esilio in Danimarca e Svezia e deciso a portare alla sbarra i responsabili di Auschwitz.

Il passato di Bauer è solo accennato, il protagonista storico della istruttoria che portò all'apertura del primo processo nel 1963 non è pero il protagonista principale del film. La regia affida questo ruolo a Radmann, un giovane adulto, a cavallo fra l'ingenua incoscienza dei giovanissimi e la negazione-rimozione del passato che i padri operano gettandosi a capofitto nella costruzione del miracolo economico. È stato fatto notare in questo contesto che Franz Joseph Strauss, che ancora nel 1969 (nell'ultimo anno del governo Kiesinger, un ex iscritto alla NSDAP) chiamava a garante del diritto a dimenticare dei tedeschi le loro incomparabili prestazioni economiche, non faceva altro che rovesciare di segno la cifra di Auschwitz: il lavoro rendeva liberi i tedeschi dall'obbligo di ricordare[3].

Il film ricostruisce il faticoso percorso di ricerca (le indagini per il processo) che il giovane procuratore affronta per abbandonare la zona dell'oblio di cui fa ancora parte. Radmann funziona nel film da rappresentante della giovane Germania: non sa cos'era stato veramente Auschwitz e dovrà rielaborare l'immagine idealizzata del padre che si era costruito.

Il modello narrativo del percorso di formazione permette un maggiore coinvolgimento degli spettatori: il produttore del film ha esplicitamente sottolineato il modello del viaggio dell'eroe che intrattiene ed emoziona[4]. Questo schema avrebbe meno funzionato puntando su Bauer come protagonista. Le prove che lui deve superare non sono quelle dell'autocoscienza ma quelle delle trappole che gli tendono i nemici interni al sistema[5].

La verità nascosta che apprende il Radmann riguarda la gravità dei crimini commessi e la misura della responsabilità dei suoi connazionali e di suo padre.

La verità che apprende lo spettatore medio di oggi non è quella dei crimini di Auschwitz, che conosce e che nel film non vengono descritti ma solo evocati indirettamente nei primi piani dei volti sconvolti, esterrefatti, commossi dei testimoni e degli inquirenti inquadrati durante le audizioni nell'ufficio della Procura. Il film dispiega sotto ai nostri occhi la totalità del silenzio calato su Auschwitz nella Germania degli anni '50: quasi nessuno sembra conoscere il nome di questa località, il giovane procuratore (lui stesso ignaro) non riesce a procurarsi un libro su questo tema nelle biblioteche pubbliche di Francoforte. Ne deriva l'impressione che si tratti di un segreto perfettamente sigillato e inaccessibile più che di reticenza o rimozione. Da questo punto di vista, il film non affronta veramente un altro dislivello di conoscenze fra i giovani personaggi del film e lo spettatore (colto o informato) di oggi, quello relativo alla effettiva diffusione di informazioni fra la popolazione tedesca già negli anni '40 sulle eliminazioni di massa degli ebrei. La domanda "quanti furono direttamente coinvolti nei massacri?" non è identica a quella che chiede "quanti e quanto sapevano veramente?". A quest'ultima, in seguito a ricerche apparse a partire dagli anni '90, diamo oggi una risposta diversa. Non fu solo la continuità fra gli apparati prima e dopo il 1945 e il ritorno ai loro posti degli assassini a produrre il clima degli anni di piombo, ma anche la cattiva coscienza dei non direttamente coinvolti: molti prima del 1945 sapevano e molti, se avessero voluto, avrebbero potuto sapere[6].

La scelta del regista di accompagnare lo spettatore nel percorso di iniziazione di Radmann a dei misteri che non ha coraggio di contemplare sino in fondo induce a costruire un'analogia fra la struttura profonda del film ed alcuni aspetti del mito di Parsifal nella rielaborazione wagneriana: la "quête" di Parsifal corrisponde a quella del giovane ed ingenuo procuratore; Amfortas è la società tedesca indebolita dal vulnus del passato nazista che non vuole morire, cui cerca di sfuggire stordendosi col lavoro e il consumo. Fritz Bauer è Gurnemanz, il cavaliere del Graal che lo introduce ai misteri del passato tedesco, da indagare secondo le regole di un rito da tenere oscuro ai più per evitare che si attivino le resistenze e i depistaggi dei nemici nascosti fra le forze di polizia e nello stesso apparato della giustizia. Radmann dovrà imparare che è inutile e presuntuosa la sua indignazione, è destinato al fallimento l'attacco aperto e frontale, come anche la fissazione sulle figure più al vertice o demoniache[7]. Le tentazioni di Kundry sono le sirene del miracolo economico: Radmann per breve tempo si lascia ammaliare dall'impiego in uno studio legale di successo[8] prima di ritrovare la forza per resistervi e poter ritornare nello staff di Bauer a completare l'istruttoria che porterà al processo. La paralisi[9] della società tedesca potrà essere superata solo mettendo la lancia sulla ferita: confrontare i tedeschi con le vere dimensioni del loro coinvolgimento con i crimini del nazionalsocialismo.

Si tratta di un confronto puramente letterario, suggestivo ma da limitare alle costanti narrative. Il concetto di Erlösung (salvezza, redenzione, di derivazione religiosa, centrale nel Parsifal wagneriano) e la commistione fra memoria in senso storico e in senso religioso è alla base di diversi equivoci nella cultura della memoria in Germania. Uno di essi consiste nella convinzione che ricordare con intensità e sincerità i crimini del nazionalsocialismo permetta di sperare nella riconciliazione o addirittura nella redenzione dalla colpa dei progenitori. Una tentazione da cui non rimase immune il famoso e fondamentale discorso pronunciato nel 1985 dal Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Richard von Weizsäcker, che dopo aver sottoposto a critica l'illusione che sia possibile rielaborare o riparare (bewältigen) il passato, concluse un passaggio del suo testo con un detto sapienziale chassidico: "Il voler dimenticare prolunga l'esilio, mentre il segreto della salvezza sta nel ricordare" [10].

"Labyrinth des Schweigens" rappresenta la costellazione di memoria giuridica, religiosa e storico-pubblicistica nel forte legame, che attraversa fasi conflittuali, fra Radmann, Kirsch e Gnielka[11]. La dimensione del ricordo religioso viene esplicitamente tematizzata nel viaggio ad Auschwitz che Radmann e Gnielka intraprendono per esaudire un desiderio di Kirsch: recitare il kaddisch per le figlie.

Che il film si apra con un'immagine di tedeschi innocenti è interessante perché ripropone quello che era stato uno strumento retorico della propaganda delle potenze occupanti nel passaggio dall'alleanza antihitleriana alla contrapposizione dei blocchi nel clima della guerra fredda: cambiare di segno la rappresentazione dei tedeschi associandola a immagini di gioventù o infanzia al riparo da ogni colpa, allo scopo di avviare l'aggancio politico e ideologico della popolazione delle zone occupate al proprio sistema di alleanze. Due sono gli esempi più noti di questa trasformazione: la celebre foto di Henry Ries, datata 1948, che rappresenta dei ragazzini di Berlino che, in piedi sulle macerie del passato nazista, salutano l'atterraggio di un aereo americano impegnato nel ponte aereo (hdg.de/lemo/bestand/objekt/foto-luftbruecke.html). La gigantesca statua del soldato dell'armata rossa, collocata nel parco-memoriale di Berlin-Treptow: anche in questa rappresentazione, realizzata fra il 1946 e il 1949, i tedeschi diventano il bambino innocente che il colosso sovietico tiene protettivamente in braccio mentre lo stivale schiaccia una svastica (it.wikipedia.org/wiki/Sowjetisches_Ehrenmal_-_Treptower_Park)

Furono cioè le stesse potenze occupanti a favorire un processo di rimozione dei crimini del passato nazionalsocialista all'interno delle nuove esigenze dettate dal clima della guerra fredda. Un interessante confronto per misurare la radicalità del cambio di segno lo offre il documento "Your job in Germany" , prodotto nel 1945 dal War Department per istruire le forze di occupazioni americane (youtube.com/watch?v=821R0lGUL6A), alla cui realizzazione collaborò Frank Capra. Dovrebbe averlo visto anche l'ufficiale americano responsabile degli archivi militari tedeschi[12] che in "Labyrinth des Schweigens" si sorprende dell'ingenuità delle richieste di Radmann. A lui "Your Job in Germany" aveva già spiegato che la storia della Germania era stata ripetutamente costellata dall'appoggio incondizionato delle masse ad un leader e che la fine della guerra non poteva aver dissipato l'ideologia nazionalsocialista dalle teste dei tedeschi, per cui "be suspicious of everyone" costituiva un dovere del soldato americano in Germania. Al giovane procuratore lui rimprovera il cambio di casacca dei tedeschi ("...all'est siete adesso tutti comunisti, all'ovest tutti contro Hitler..."). Non diversi gli sforzi dei sovietici, che se non erano in grado di collegare l'oblio agli allettamenti del consumo ("Mach mal Pause..." recitava lo slogan della Coca Cola , "wohlverdient...", la meritata pausa dai rimorsi della coscienza, cfr. wirtschaftswundermuseum.de/coca-cola-reklame-1.html), potevano contare sull'altrettanto invitante offerta ideologica all'uomo della strada a schierarsi dalla parte dei vincitori ("Von Russland lernen heißt siegen lernen") dando un unico colpo di spugna ai crimini di guerra tedeschi e agli stupri ed espropri dell'Armata Rossa.

Fritz Bauer, tedesco, fu per questo un eroe tragico in lotta non solo con il desiderio di dimenticare dei propri connazionali ma anche con gli interessi politici degli Stati Uniti, poco disposti a mettere in difficoltà Adenauer e la sua politica di alleanze con il blocco occidentale. Nel film di Ricciarelli tutti, tranne lui, sono prigionieri di una falsa coscienza: gli ex-nazi al servizio della nuova democrazia, i giovani che non vogliono veramente conoscere sino in fondo il passato dei loro genitori (compreso Radmann, che ha idealizzato la figura del padre e scoprirà che era stato membro della NSDAP, e la sua ragazza che non vuole capire perché il padre si ubriachi regolarmente con i suoi ex commilitoni). Anche l'ufficiale americano che si occupa dell'archivio non sa o non racconta tutta la verità: che al lavaggio delle coscienze e al riciclaggio dell'immagine dei tedeschi aveva contribuito anche il governo degli USA nelle sopravvenute esigenze strategiche della guerra fredda.

Il finale del film, dedicato all'apertura del processo, viene introdotto poco prima da un dettaglio che assume un ruolo significativo: una giacca che Radmann porta a rammendare dalla sua ragazza, stilista di moda, con cui ha una relazione che si è incrinata nel corso delle indagini: la metafora del danno ormai irreparabile con cui convivere oppure da eliminare allaccia rapporti personali e dimensione sociale e sembra alludere alla critica che Adorno aveva formulato in quegli stessi anni alla "rielaborazione" del passato nazionalsocialista[13]. "Kaufen Sie sich ein neues..." è il suggerimento della ragazza: Radmann risponderà indirettamente tre minuti più tardi indossando letteralmente la veste di procuratore prima di entrare nella sala in cui inizierà il processo di Auschwitz. Ma a questo punto ricompare la ragazza e gli restituisce la giacca. Radmann si stupisce: "Ich dachte, es ist nicht mehr zu reparieren...", "Er ist aber nicht ganz weg". Il danno è rimasto, ma l'abito andrà portato così. Il processo ad Auschwitz rappresenterà per i tedeschi l'atto di fondazione di una memoria negativa irreparabile, non più nascosta ma collocata allo stesso livello di visibilità delle altre memorie nazionali. L'espressione più evidente è oggi il monumento alle vittime europee dell'Olocausto che si trova a Berlino a pochi metri dalla Porta di Brandeburgo e dall'edificio del Reichstag. Una delle proposte alternative prevedeva, invece della costruzione di un nuovo memoriale, di asportare tutto l'intonaco di una delle colonne della Porta di Brandeburgo lasciando a vista l'opera in muratura. Produrre cioè "una ferita al più importante monumento della nazione tedesca, per segnalare che il più grande crimine della storia ha inflitto un danno irreparabile anche al popolo dei responsabili di quel crimine, un danno che non ha lasciato intatta la sostanza della sua cultura"[14].

[1] "Questo paese vuole ricoprirsi di zucchero, non vuole sapere la verità"

[2] Un confine allusivo: il regista rinuncia complessivamente a sovraccaricare le immagini di allusioni e valori simbolici, i dettagli (arredamento, abbigliamento, musiche) contribuiscono piuttosto alla ricostruzione realistica dello Zeitgeist. Al critico di “Der Spiegel” non è piaciuta la goffa evidenza con cui l'insegnante che era stato in servizio alla rampa di Auschwitz viene in seguito arrestato proprio mentre "seleziona" a scuola i ragazzi dividendoli in due gruppi: spiegel.de/kultur/kino/im-labyrinth-des-schweigens-film-ueber-auschwitz-prozesse-a-1000381.html. Più complesso, come vedremo, il ruolo che verso la fine assume una giacca del protagonista.

[3] "Ein Volk, das diese wirtschaftlichen Leistungen vollbracht hat, hat ein Recht darauf, von Auschwitz nichts mehr hören zu wollen." Franz-Josef Strauß, “Frankfurter Rundschau”, 13. September 1969. Il collegamento con la frase emblema è suggerito da Christian Meier, Das Gebot zu vergessen und die Unabweisbarkeit des Erinnerns, Siedler, München 2010, pag. 80.

[4] Lo ricorda Nora Bierich, che nel suo articolo (zeitgeschichte-online.de/film/zur-vaeterlichen-nebenrolle-degradiert-im-labyrinth-des-schweigens) critica la degradazione di Fritz Bauer, il motore dell'istruttoria, a figura di secondo piano nel film di Ricciarelli. Il film opera secondo Bierich una pericolosa cancellazione del confine fra storia e finzione e riduce Bauer al ruolo di un padre (ebreo) sostitutivo per Radmann, che avanza a figura centrale delle indagini.

[5] Non meno avvincente è il film di Lars Kraume "Der Staat gegen Fritz Bauer" (2015), in cui il protagonista è il procuratore generale alle prese con queste trappole. La mitizzazione viene evitata attraverso il ritratto di un Fritz Bauer caratterialmente difficile, passibile di errori, ricattabile a causa di rapporti con giovani omosessuali prostituiti. Il focus è sull'intreccio politico, giudiziario e diplomatico della vicenda Eichmann e non sulla progressiva acquisizione di coscienza della generazione dei giovani in Germania.

[6] Cfr. in particolare, perché rivolti anche ad un pubblico più vasto di interessati: Frank Bajohr, Dieter Pohl: Der Holocaust als offenes Geheimnis, München 2006; Peter Longerich, "Davon haben wir nichts gewusst. Die Deutschen und die Judenverfolgung 1933-45, München 2006. Un utile quadro complessivo si trova in de.wikipedia.org/wiki/Zeitgenössische_Kenntnis_vom_Holocaust

[7] Radmann vuole a tutti i costi incastrare Mengele in uno dei suoi ripetuti soggiorni segreti in Germania ma fallirà; Bauer deve affidarsi ad altre forze occulte, i servizi segreti israeliani, per far catturare Adolf Eichmann in Argentina.

[8] Il nuovo collega con cui dovrebbe collaborare aveva assunto nel suo ufficio in procura la difesa di un ex-nazista e ora gli ricorda che "l'uomo non è fatto per essere un eroe".

[9] Il nesso etimologico Amfortas/infirmitas è illustrato nel saggio di Claude Levi-Strauss, Da Chrétien de Troyes a Richard Wagner e contenuto in Id. Lo sguardo da lontano, Il Saggiatore, 2010, traduzione di Primo Levi.

[10] Lo sostengono Ulrike Jureit e Christian Schneider in Gefühlte Opfer. Illusionen der Vergangenheitsbewältigung, Stuttgart 2010, p. 42. Gli autori individuano nell'evoluzione della pratica della memoria dei crimini del nazionalsocialismo una progressiva identificazione dei tedeschi con le vittime e la formulazione di promesse di redenzione ("Erlösungsversprechen")

[11] Thomas Gnielka è una figura reale: era il giornalista della “Frankfurter Rundschau” le cui ricerche diedero impulso alle indagini di Fritz Bauer.

[12] Collocati nell'edificio delle IG-Farben (oggi sede della Goethe-Universität), il colosso chimico che sfruttava la manodopera del vicino campo di Auschwitz. Nel campo di Buna-Monowitz si trovava Primo Levi.

[13] Theodor W. Adorno, Was beduetet Aufarbeitung, in: Id. Eingriffe. Neun kritische Modelle, Frankfurt 1963. Fritz Bauer commentò entusiasticamente nel 1960 il testo di Adorno, scritto in origine per una conferenza tenuta nel 1959 e trasmesso nel 1960 dalla radio dell'Assia. Cfr. Claudia Fröhlich, "Wider die Tabuisierung des Ungehorsams": Fritz Bauers Widerstandsbegriff, Frankfurt am Main 2005, pagg. 135 e segg.

[14] Lo ricorda Gustav Seibt in Das Brandenburger Tor, un breve saggio contenuto in Etienne François, Hagen Schulze, Deutsche Erinnerungsorte 2, München 2009, p. 85 (traduzione mia)

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