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Lenin, Stalin, Togliatti

di Giancarlo Lehner, Francesco Bigazzi Mondadori, 2014

Lenin, Stalin e gli altri leader comunisti del mondo, in primo luogo Palmiro Togliatti, hanno sempre avuto un chiodo fisso: come ridimensionare, rendere inoffensivo, addirittura marginale il socialismo riformista. In questa opera incessante, talvolta ossessiva, Togliatti è stato senza dubbio il leader comunista occidentale che più si è allineato con i padri del comunismo sovietico.

Il libro “Lenin, Stalin, Togliatti. La dissoluzione del socialismo italiano” permette di scoprire come, benché i rapporti tra il comunismo sovietico e il comunismo italiano non siano stati privi di contrasti, talora aspri, su un punto non ci siano mai state divergenze o incomprensioni: “L’interesse russo prevale su tutto, quand’anche costi l’atomizzazione di uno dei più importanti e organizzati partiti socialisti del mondo; quand’anche favorisca la presa del potere da parte di Mussolini”. Da qui il tentativo costante di fagocitare il socialismo italiano con lo scopo di renderlo marginale. Prima le purghe, poi le infiltrazioni delle spie nel gruppo dirigente del Partito Socialista Italiano, infine il ricatto economico. Quante volte, quando Nenni o gli altri dirigenti del PSI manifestavano forme di “autonomia”, i dirigenti del PCI, a cominciare da Longo o da Cossutta, si precipitavano a Mosca e chiedevano esplicitamente di sospendere ogni aiuto economico-finanziario al PSI!

Stalin, dopo aver portato a compimento l’instaurazione di un regime autoritario e repressivo, estese, attraverso la Terza Internazionale, i suoi tentacoli su tutti i partiti “fratelli” degli altri Paesi. Lontana dall’essere uno strumento di dibattito e confronto paritario, l’Internazionale Comunista, attiva dal 1919, si caratterizzò infatti come semplice cinghia di trasmissione delle decisioni prese a Mosca. E fu proprio il Komintern a dare impulso alla scissione di Livorno che dilaniò il PSI.

Incominciò in tal modo una lunga sudditanza del Partito comunista d’Italia verso il Cremlino. I massimi esponenti del Pcd’I, la maggior parte riparati a Mosca per sfuggire al Fascismo, si allinearono; gli altri furono fucilati e fatti morire di stenti nei gulag staliniani. Lo stesso Togliatti, come dimostrano i documenti, interveniva costantemente affinché gli emigrati politici italiani si mostrassero zelanti esecutori delle direttive sovietiche, anche attraverso la delazione dei compagni di partito, per non rischiare di essere a loro volta vittime delle famigerate “purghe”.

È in questo clima di caccia alle streghe che i comunisti italiani e europei svilupparono una marcata ostilità nei confronti delle forze socialdemocratiche, verso coloro che venivano bollati come “socialfascisti” e “socialtraditori”, considerati i veri nemici della rivoluzione e ritenuti spesso più pericolosi dei regimi nazifascisti verso cui non mancarono invece significative aperture.

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