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Il jazzista del Gulag. La straordinaria vita di Eddie Rosner tra Hitler e Stalin

di Natalia Sazonova L'Ancora del Mediterraneo, Napoli-Roma, 2008, prefazione di Elena Dundovich

Dalla prefazione di Elena Dundovich:
"....Ci si può innamorare di chi non si è mai conosciuto? Sì, è possibile. È quanto mi è accaduto casualmente, sfogliando sul prinicipio in maniera distratta le pagine di questo libro capitato sulla mia scrivania. Come non innamorarsi di Eddy Rosner, della sua storia e della Storia che la sua vita racchiude? Come non dolersi per la consapevolezza che gran parte della sua musica è andata perduta per sempre per volontà di qualche funzionario zelante? E, infine, come non interrogarsi su tutto ciò che è andato perduto, vite umane, talenti, affetti, patrimoni culturali in nome di ideologie contrapposte ma ugualmente sterminatrici?"


"La vita e la personalità di Eddy Rosner, uno dei più grandi trombettisti bianchi del XX secolo, sono racchiuse in una frase di questo asciutto e nello stesso tempo passionale breve romanzo a lui dedicato da Natalja Sazonova: “Avrei potuto firmare Ady, Eddy, o anche Pin’has Acher ben Yt’zak, tanti nomi quanto paesi attraversati, lingue conosciute. Io parlo tedesco, yiddish, inglese, polacco, russo, francese, e tutto con l’accento berlinese”. 
Ebreo tedesco, nato a Berlino il 26 maggio 1910, Eddy Rosner, il cui vero nome era in realtà Adolf, cominciò la sua brillante carriera di trombettista nel 1928 quando entrò a far parte dei Weintraubs Syncopators, leggendaria orchestra berlinese dell’epoca. Ma già nel 1933 l’origine ebrea di Rosner e di altri componenti dell’orchestra e la musica “da negri” che essi suonavano li resero invisi alle nuove autorità naziste che proibirono loro di esibirsi. In quegli anni incantò Marlène Dietrich, suonò con Friedrich Holander, pianista e compositore della famosa canzone “L’Angelo Azzurro”, accompagnò Maurice Chevalier, fu definito l’ “Amstrong bianco” dallo stesso Louis Amstrong che lo aveva sentito suonare durante la sua prima tournée in Europa alla fine degli anni Venti. Il suo nome divenne presto famoso in tutta Europa e in Polonia, dove si trasferì dinanzi al dilagante antisemitismo in Germania, fondò la “Jack Band”, la prima orchestra nazionale di jazz polacca. 
La resa di Varsavia ai tedeschi e l’inizio delle deportazioni degli ebrei polacchi spinsero Eddy, travestito da ufficiale della Wermacht, e la moglie Ruth a tentare la fuga verso la Bielorussia. Superate le linee tedesche, essi raggiunsero Bialystock, occupata dall’Armata Rossa. Riconosciuto dal primo segretario del partito comunista bielorusso, Panteleimon Ponomarenko, Eddy fu da questi incaricato di organizzare la prima orchestra nazionale jazz della Bielorussia. 
Se la seconda guerra mondiale valse all’Urss, come sostengono le stime ufficiali più recenti, 27 milioni di vite perse, tra civili e militari, e quattro anni di sofferenze indicibili per chi sopravvisse, questo non fu il destino di Eddy Rosner. Sia prima dello scoppio del conflitto che dopo il 22 giugno 1941, Rosner conobbe in quegli anni in terra sovietica, seppur tra alterne vicende, successo, soldi e fama sia tra le truppe di frontiera che tra le alte gerarchie sovietiche. Quando, nel 1945, la “tromba d’oro”, come lo definivano allora, si esibì sulla Piazza Rossa dinanzi a un grande pubblico niente faceva presagire la tragedia imminente. 
Finita la guerra, l’orgoglio patriottico per la vittoria, ottenuta al prezzo di milioni di morti, indusse larghi strati della popolazione sovietica ad attendersi una “liberalizzazione” del regime di polizia imposto da Stalin nel decennio precedente. Ma le speranze di tutti andarono deluse. Il 9 febbraio 1946 Stalin pronunciò al teatro Bolšcoj di Mosca un famoso discorso con cui rese nuovamente attuale il tema della incompatibilità tra sistema capitalista e socialista. I tempi della mobilitazione, del sacrificio e della repressione non erano finiti e con essi la decisa riaffermazione dell’ortodossia comunista in campo sia ideologico che culturale di cui divenne fedele portavoce Andrej Ždanov artefice di una nuova generale campagna contro il “cosmopolitismo e il filoccidentalismo”. Poeti e scrittori famosi, come Anna Achmatova e Michail Zošcenko furono duramente attaccati ed espulsi dall’ “Unione degli Scrittori”, il termine jazz fu proibito e strumenti come il sassofono, la cornetta e la fisarmonica vennero ufficialmente banditi. 
Questa volta neppure Eddy Rosner riuscì a salvarsi. Perse l’occasione di chiedere il rimpatrio come cittadino straniero grazie alla “legge del ritorno”, promulgata sulla base di un accordo stipulato tra Varsavia e Mosca nel luglio 1945 e che consentì a circa 200.000 persone che avevano la cittadinanza polacca prima del 19 settembre 1939 di fare rientro in Polonia entro il 1 agosto del 1946. Consapevole della stretta crescente che il regime andava operando sul mondo culturale e artistico sovietico, Eddy giocò la carta sbagliata rivolgendosi direttamente all’ambasciata polacca per rientrare a Varsavia. A Leopoli, dove nel frattempo si era trasferito in attesa di ottenere il visto, fu arrestato il 28 novembre 1946. Trasferito a Mosca, fu qui torturato per sette mesi e mezzo sino a che non accettò di firmare una fasulla confessione. Condannato in base all’art. 58 come nemico del popolo, fu trasferito prima al Chabarovskij lager, nel cuore della Siberia occidentale, a più di 8000 km da Mosca, e poi tre anni dopo, nel 1950, su sua esplicita richiesta alla “Kolyma”, con la speranza con questo gesto di vedersi ridotta la propria pena, e di poter presto ricongiungersi con la moglie Ruth, a sua volta arrestata, e la figlia Erika, miracolosamente affidata, dopo il loro arresto, alle cure di una vecchia amica. 
Eddy, il brillante artista noto in tutta l’Unione Sovietica per il suo eccezionale numero a due trombe e la sua musica calda e travolgente, trascorse nella “piccola zona” (in russo malenkaja zona), ovvero nel mondo dei lager e degli zek (così si chiamavano i detenuti dei campi) otto lunghi anni. Tra il 1929 e il 1953 il regime creò 476 campi di lavoro che ospitarono 18-20 milioni di persone. Una parte ne uscì dopo aver scontato la pena, molti vi morirono, altri ancora, dopo la liberazione, rimasero a lavorare nei centri urbani che si erano sviluppati intorno al lager in cui erano stati imprigionati. Tra questi 476 campi la fama più sinistra spettava sicuramente al complesso dei campi della Kolyma che fu il più grande di tutta l’Unione Sovietica e in cui Rosner scontò parte della sua pena inesistente. Il clima polare, la lunghissima durata dell’inverno con temperature che arrivano anche a 65 gradi sotto lo zero rendevano durissime le condizioni di vita per i detenuti e molto più alto della media nazionale il tasso di mortalità, tanto che la Kolyma è stata definita l’«Auschwitz» sovietica, ossia la regione simbolo delle condizioni del lavoro forzato in Unione Sovietica. 
Fu in quell’inferno di corpi smagriti e teste rasate che Eddy sopravvisse, una volta ancora grazie alla musica. A Chabarovsk le stesse autorità del campo gli chiesero all’arrivo di formare una “Gulag Band” con la quale rallegrare le loro serate e fare spettacoli per i detenuti del campo. A moltitudini di uomini resi semiciechi dalla avitaminosi e che camminavano reggendosi l’uno all’altro con passo esitante, il regime pretendeva infatti anche di imporre il linguaggio della rieducazione di cui era incaricata in ogni lager la Kul’turno-Vospitatel’naja Cast’ del Gulag, cioè la Sezione educativo-culturale. Questa aveva la funzione di “sensibilizzare” i prigionieri al fine di indurli a lavorare più alacremente per far aumentare le cifre della produzione. Almeno in teoria, in ogni lager era prevista la presenza di un istruttore, di una piccola biblioteca e di un circolo dove si sarebbero dovuti svolgere i concerti, gli spettacoli teatrali, i dibattiti e le conferenze politiche, le gare di scacchi e anche le partite di calcio. Alle volte capitava che fossero i dirigenti stessi dei campi a interessarsi a queste attività per fare sfoggio, in concorrenza con altri lager, della propria orchestra e della propria compagnia teatrale o addirittura per far gareggiare la propria squadra di calcio. Per i detenuti, che fossero o no realmente artisti, commedianti o musicisti o fossero pronti a improvvisarsi tali, tutto ciò equivaleva alla salvezza: turni di lavoro più brevi, vestiti speciali, la possibilità di dormire in baracche più curate e riscaldate. 
Anche da “zek” Eddy Rosner ritrovò il successo e a Magadan un teatro vero in cui suonare, creato nel 1933 grazie all’amore per l’arte di Eduard Petrovic Berzin, primo direttore del campo, che aveva studiato da giovane all’Istituto di Belle Arti di Berlino. Magadan era sorta dopo che nel 1931 il governo sovietico, alla ricerca di nuove fonti d’oro per pagare i materiali e i macchinari acquistati in Occidente, aveva rivolto la sua attenzione ai giacimenti da tempo scoperti nella zona del fiume Kolyma. La colonizzazione della nuova regione sarebbe avvenuta sia grazie all’opera dei lavoratori liberi, sia soprattutto allo sfruttamento del lavoro di centinaia di migliaia di detenuti. Eddy suonò in quegli anni molte volte al teatro di Magadan e molte in giro nei lugubri campi della Kolyma salvando le vite umane dei suoi orchestrali, riaccendendo un barlume di vita negli occhi ormai spenti di tanti detenuti. 
Una storia che ricorda da vicino analoghe esperienze vissute nei lager nazisti ove si assistette a una straordinaria produzione culturale nata nelle condizioni più estreme. Caso più famoso quello del lager di Terezin, costruito dai nazisti a scopo propagandistico per essere mostrato alla Croce Rossa e ai media degli stati neutrali, e dove furono rinchiusi prima di essere inviati ad Auschwitz numerosissimi intellettuali, letterati, artisti, musicisti e furono create opere musicali straordinarie, come l’opera per bambini Brundibar, di Hans Krása il cui autore e i cui piccoli attori furono poi tutti inviati ad Auschwitz. Una musica a lungo dimenticata ma non perduta almeno in parte, quella del mondo concentrazionario tedesco, grazie a un pianista e compositore pugliese, Francesco Lotoro, che l’ha recuperata in anni di lavoro minuzioso e difficilissimo lavoro di ricerca e ha cominciato a suonarla e a dirigerla raccogliendola nell’ “Archivio musicale dei ghetti e dei campi”. 
Nei “Minima Moralia” Adorno affermava che dopo Auschwitz non si poteva più fare poesia. Il recupero della musica concentrazionaria dimostra che addirittura ad Auschwitz la creazione artistica non moriva, così come la vicenda di Eddy Rosner dimostra che addirittura nel Gulag si poteva fare poesia.  
Dopo la morte di Stalin, avvenuta nel marzo del 1953, progressivamente il sistema concentrazionario sovietico venne smantellato. Nel 1954, Rosner fu liberato e fece ritorno a Mosca dove ricominciò a suonare seppur tenendo un basso profilo. Il Jazz era infatti ancora un’arte proibita e i vinili un prodotto introvabile tant’è che i tecnici del suono sovietico incidevano sulle radiografie mediche e per questo in gergo popolare si parlava di “musica delle costole”. Fu con la visita di Nixon in Unione Sovietica nell’aprile del 1959 e poi ancor di più con quella di Chrušcëv negli Stati Uniti pochi mesi dopo che il clima per i musicisti sovietici sembrò mutare tanto che nel 1962 Benny Goodman tenne una serie di concerti in varie repubbliche sovietiche. Ma come sarebbe accaduto anche in altri campi della cultura sovietica, le nuove aperture ebbero vita breve. L’arrivo di Brežnev al potere, nel 1965, sancì il ritorno a un nemmeno troppo velato neostalinismo, alla valorizzazione di tutto ciò che era russo, nel senso più sciovinistico del termine, a uno strisciante antisemitismo. Soffocato dal nuovo clima di restaurazione, Eddy fu licenziato dal Teatro Ermitage, dove lavorava da anni, e trasferito in Bielorussia dove diresse una piccola filarmonica di provincia. Sino a quando, dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, fece domanda di espatrio chiedendo l’intercessione dell’ambasciata americana a Mosca. L’autorizzazione venne solo alcuni anni più tardi, nel 1972, alla vigilia del ritorno di Nixon in Urss, questa volta in veste di presidente degli Stati Uniti. 
Eddy Rosner morì in miseria e nel più completo anonimato a Berlino l’8 agosto del 1976. Ancora prima della sua partenza il Ministero della Cultura aveva dato ordine di bloccare i suoi dischi e mandare al macero quelli che si trovano in commercio e tutte le sue registrazioni conservate alla TV o alla radio di stato. La sua musica fu proibita così come era accaduto in Urss a molti altri artisti a partire dagli anni Trenta. Una rigida censura a cui talvolta qualcosa è miracolosamente sfuggito: il direttore d’orchestra russo Roman Matsov, con l’aiuto della pianista Maria Judina, riuscì per esempio a creare nel suo appartamento a Tallin una sorta di archivio clandestino degli artisti proibiti in cui sono conservati svariate incisioni, spartiti, lettere, quaderni, brani incompiuti del grande compositore russo Dmitrij Šostakovic".

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