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Il forno di Akhnai, una discussione talmudica sulla catastrofe

di J. Bali, V. Franzinetti, S. Levi Della Torre Giuntina, 2010

Tratto dal Talmud babilonese, il racconto verte su una disputa tra alcuni “Saggi”del II sec, apparentemente intorno a un’inezia (la purità o impurità di un forno per alimenti). Ma sullo sfondo c’è la caduta di Gerusalemme e della distruzione del Tempio ad opera dei Romani nel 70d.C e la disputa spazia poi sul rapporto tra umano e divino e sul conflitto tra verità e interpretazione.
In realtà, questo passo solleva un problema universale, senza tempo: come comportarsi dopo un evento catastrofico, che ha sconvolto lo status quo.

L'intervista a Stefano Levi Della Torre, realizzata da Tea Camporesi

Perché questo libro?

Questo passo è molto di moda tra gli ebrei per una sorta di narcisismo: la prima parte, che culmina là dove una voce dal Cielo interviene ad appoggiare uno dei contendenti e un altro afferma “Che cosa c’entra una voce dal Cielo con quel che dobbiamo decidere noi?” E Dio sorride dichiarandosi sconfitto, sembrava, ed è, molto spiritosa e laicamente autoironica, e gli ebrei vanno molto fieri del proprio sense of humor.

Proprio per questa sua popolarità, ci è venuto il desiderio di analizzare più a fondo, e il fatto che l’episodio avvenisse proprio dopo la presa di Gerusalemme ci ha suggerito l’idea della catastrofe. Infatti, con la distruzione del Tempio cade lo statuto di Stato-nazione di Israele e sparisce il sacerdozio ebraico, siamo quindi di fronte a una sconfitta politica, a una mutazione di culto e a una diaspora molto consistente. E spesso l’umorismo ebraico elabora appunto la catastrofe.

Si tratta quindi di un testo umoristico?

Non proprio. Studiando il passo, è affiorata la tragedia. Se la prima parte del racconto fa sorridere in più punti, la seconda parte è molto meno confortante: assistiamo a una serie di catastrofi, distruzioni e morti. Questa evoluzione degli eventi ci ha spinti a varie riflessioni: sulla democrazia e l’integralismo, sulla verità e le sue interpretazioni, sulla legge oggettiva e quella soggettiva…alla fine il libro ci è costato 7 anni di studi!

Questo racconto in realtà è molto attuale: a quale catastrofe dei nostri tempi vi siete riferiti?

Stiamo vivendo un importante passaggio storico: il mondo bipolare, est e ovest, si è disintegrato in innumerevoli nazionalismi all’interno di un mondo globalizzato, proprio come la distruzione del Tempio di Gerusalemme ha disperso gli ebrei in una diaspora nel vasto spazio dell’impero romano. Oggi come allora ci chiediamo cosa mantenere del passato e cosa cambiare.

Il problema delle diaspore è che non c’è più un’autorità precisa, e si perdono i punti di riferimento. La catastrofe infatti genera duplicità: Rabbi Eliezer può rappresentare chi è disposto ad essere in minoranza pur di proclamare la verità (come i Giusti), ma può anche rappresentare la pretesa teocratica “la mia voce è la voce di Dio” tipica dei fondamentalismi; analogamente i Saggi suoi antagonisti possono rappresentare i benpensanti che preferiscono ciò che è opportuno a ciò che è vero (chi tacita la propria coscienza), ma anche chi accetta con coraggio la responsabilità umana etsi deus non daretur, “anche se non ci fosse un Dio”, e accetta il compromesso della democrazia e la responsabilità della maggioranza.

Ogni scelta è sempre duplice, come in tutte le tragedie, da Antigone in poi. E’ la tragedia tipica dei Giusti, la cui scelta di fare il bene implica il sacrificio di sé stessi e spesso anche una prevaricazione su chi non può decidere (è il caso dei Giusti che mettono a repentaglio la vita dei familiari per seguire la propria coscienza). Del resto, una scelta secondo coscienza deve implicare sempre un sacrificio; per questo personalmente trovo assurda l’obiezione di coscienza contro l’aborto, in quanto chi si rifiuta di praticare aborti non solo non viene penalizzato, ma viene addirittura premiato.

Nel conflitto tra verità e decisione umana/interpretazione, sostenete che gli affetti fungono da mediatori: in che modo?

Ci riferiamo alla comprensione umana nel disumano: un conto è il principio, un conto è come incidono le decisioni sugli affetti. Gli affetti possono mediare tra i due poli contrapposti, sono loro che in genere innescano l’ascolto profondo delle motivazioni, che può creare una mediazione all’interno del conflitto tra due posizioni opposte. Gli antagonismi infatti tendono ad espellere le motivazioni: è quello che io chiamo il meccanismo di riparo. Ad esempio, nella giornata della Memoria noi ci sentiamo vicini alle vittime, ma bestializziamo i carnefici, in modo da renderli altro da noi (la “belva” Hitler), invece bisogna interrogarsi su cosa c’è in noi di “bestia”, indagare su cosa ci accomuna ai carnefici.

Un esempio attuale della mediazione degli affetti è il Parents Circle in Israele (www.theparentscircle.com), un forum di genitori israeliani e palestinesi che hanno perso i figli nel conflitto israelo-palestinese, che si sono uniti in quanto affratellati da un comune dolore, contestando quindi la reciproca razzizazione. Un altro esempio di mediazione degli affetti è l’azione di Desdmond Tutu in Sudafrica, che è riuscito a far discutere vittime e carnefici per uscire dall’apartheid e costruire un terreno di verità comune.

Un analogo conflitto investe anche la sfera legale, tra diritto naturale, oggettivo e diritto positivo: può fare un esempio?

È importante rilevare come sia comune a differenti civiltà ed epoche il conflitto tra una legge inderogabile perché la si ritiene senza tempo e istituita da un'autorità superiore e inappellabile, e una legge opinabile in quanto decisione umana. Coloro che pretendono oggi di opporre alle leggi votate da un Parlamento la supremazia della Sharia islamica o il presunto volere del Dio cattolico, sollevano una questione del tutto affine a quella sollevata, ciascuno a suo modo, da rabbi Eliezer e da Antigone: al di là della simpatia o antipatia emotiva che possiamo sentire per Eliezer e i Saggi, Antigone e Creonte, entrambi, Eliezer e Antigone, sostengono le ragioni del passato contro la logica della comunità vivente o della Polis.

E anche quando consideriamo le leggi fatte dagli uomini, esse si devono misurare sulla comunità: le leggi sono concepite per la globalità, ma si misurano sul particolare e possono produrre ingiustizia. Un esempio, riportato nell’appendice del libro, evidenzia quanto il problema delle norme sia attuale: L’Unione Europea ha istituito le leggi che stabiliscono le misure di una banana o la curvatura di un cetriolo affinché possano essere definiti tali, causando gravi conseguenze economiche per i produttori di cetrioli e banane fuori misura.

Riprendendo l’analogia della dispersione degli ebrei nella globalità dell’impero romano e dei nazionalismi nell’attuale mondo globalizzato, è interessante il concetto di maggioranza e minoranza. Lo può approfondire?

Ormai il concetto di maggioranza è del tutto relativo, in quanto ciò che può essere considerato maggioranza può diventare minoranza se considerato in un contesto più ampio. Ad esempio, quando in Italia si dichiara che la maggioranza cattolica vuole il crocefisso nelle scuole, se si considera l’Italia nell’ambito europeo vediamo che chi auspica il crocefisso è la netta minoranza. Ormai è necessario abbandonare il punto di vista della maggioranza, perché nel mondo globalizzato non vige più. Siamo tutti minoranze e dobbiamo costruire una storia comune. Pertanto, se da un lato ci dobbiamo educare a sentirci tutti appartenenti alla specie umana, dall’altro dobbiamo educarci al punto di vista di minoranza: anche la specie umana è minoranza rispetto al mondo, e il disastro ambientale insegna le conseguenze dell’arroganza maggioritaria che in parte ne è causa.

Quindi sostenete il valore del compromesso?

Senz’altro, è necessario trovare un equilibrio tra il bene e il male, che coesistono necessariamente in ognuno di noi, e rappresentano la dinamica dell’universo e della storia. L’essere umano è perennemente al bivio tra il bene e il male e vive nel compromesso tra la sua inclinazione al bene e al male; la sua pace è sempre un compromesso tra lato positivo e lato negativo.

Ogni ideologia utopica che si propone di estirpare il male in virtù di un bene totalitario e definitivo, come gli integralismi ideologici e religiosi, produce di fatto il male più radicale.

C’è un passo chassidico che sostiene che l’universo è diviso quasi equamente tra bene e male, con un’infinitesima maggioranza di bene, e questo piccolissimo vantaggio a favore del bene è fondamentale, perché significa che ognuno di noi può essere il portatore di quell’inezia di bene che permette al mondo di sopravvivere e quindi ognuno di noi ha una grande responsabilità verso il mondo.

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