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Sul senso della dignità

Il "Festival Filosofi lungo l'Oglio"

Il Festival "Filosofi lungo l'Oglio" giunge quest'anno alla settima edizione. Gli incontri quest'anno approfondiscono il tema della dignità. 
Su Gariwo ospitiamo la riflessione di Francesca Nodari, direttore scientifico del Festival.
La kermesse proseguirà fino al 23 luglio.




SUL SENSO DELLA DIGNITA'


Tema evocato da più parti nella nostra contemporaneità, trova la sua origine nell’esigenza enunciata da I. Kant come seconda formula dell’imperativo categorico: "Agisci in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre anche come un fine e mai unicamente come un mezzo". Questo imperativo stabilisce che ogni uomo, anzi ogni essere ragionevole, come fine in se stesso, possiede un valore intrinseco.
Ancora il filosofo di Königsberg, nella Fondazione della metafisica dei costumi, contrariamente a quanto sostiene Hobbes nel Leviatano, afferma che "nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Il posto di ciò che ha un prezzo può essere preso da qualcos’altro di equivalente; al contrario ciò che è superiore ad ogni prezzo, e non ammette nulla di equivalente, ha una dignità. […] Dunque la moralità è la condizione esclusiva affinché un essere ragionevole possa essere un fine in sé, perché soltanto in base ad essa questo essere può costituirsi a membro legislatore del regno dei fini. Ecco perché soltanto la moralità, e l’umanità in quanto capace di moralità, possono avere dignità". 


 Questi concetti kantiani ritornano nello stesso Schiller in Grazia e Dignità: "La dominazione degli istinti mediante la forza morale è la libertà dello spirito e l’espressione della libertà dello spirito nel fenomeno si chiama Dignità".
Si tratta di un concetto importante della tradizione filosofica e di una questione calda del nostro tempo. Nell’incertezza delle valutazioni morali del nostro mondo, incertezza che a più riprese ci fa parlare di un dis-orientamento pericoloso dell’esserci, si potrebbe anche dire, usando le parole di Heidegger, di una tangibile afflizione della fatticità, l’esigenza della dignità si rivela come una pietra di paragone fondamentale per l’accettabilità degli ideali e delle forme di vita instaurate o proposte. 


Un tema con il quale la bioetica, la religione, la morale, le etiche applicate, la politica, la vita civile e pubblica, la società liquida in cui abitiamo non possono non misurarsi. D’altro canto, come non pensare alla distinzione netta che Simone Weil opera tra diritto e obbligo, il primo di ordine oggettivo, e l’altro che non può essere che incondizionato? 


"L’obbligo – nota l’ebrea francese nel Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, pubblicato nel 1949 da Gallimard nella Collana Espoir curata da Albert Camus – lega solo gli esseri umani. […] L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun altra condizione abbia ad intervenire; e persino quando non gliene si riconoscesse alcuno». Ed è sorprendente l’attualità di quanto scrive Weil allorché elenca ciò che lei chiama i bisogni indispensabili per la vita dell’anima: l’ordine, la libertà, l’ubbidienza, l’iniziativa e la responsabilità, l’uguaglianza, la gerarchia, l’onore, la punizione, la libertà di opinione, la sicurezza, il rischio, la proprietà privata, la proprietà collettiva, la verità – il bisogno "più sacro di tutti – dice Weil – eppure non se ne parla mai". Infine viene "il radicamento, forse, il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana. Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l’essere umano ha una radice. […] Ad ogni essere umano occorrono radici multiple. Ha bisogno di ricevere quasi tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene".


Non è casuale, dunque, il fatto che proprio come avvenne nei momenti più drammatici del Novecento di fronte all’orrore dei totalitarismi, in questa nostra era segnata profondamente dalla crisi e dalla recessione si torni a riflettere, nuovamente, sul senso della dignità. 
Ma di quale dignità parliamo: universale poiché è il genere umano a possederla come una dote naturale oppure particolare perché la si può sia acquisire sia perdere, derivando da prestazioni che alcuni individui eseguono ed altri no? La dignità dell’uomo ha, insomma, un carattere ontologico, che gli compete per la posizione che occupa nella natura o deontologico, essendo fondata sull’idea della libertà morale dell’uomo, come già sottolineò S. Pufendorf sulla base della distinzione tra entia physica e entia moralia, anticipando il regno dei fini kantiano ossia la contrapposizione tra il "fatto della ragione" della legge morale e il mero fatto biologico? Con E. Bloch, W. Maihofer e la neoaristotelica M. Nussbaum la dignità umana si estende oltre "la personalità dell’uomo" e implica "la solidarietà degli uomini" oppure è, come sostiene N. Luhmann, qualcosa da costruire socialmente, è il risultato di "prestazioni di rappresentazioni"?


In altre parole, la dignità è da intendersi nella sua dimensione sociale o nella sua dimensione individuale? Destinatario della dignità è il solo animal rationale o è l’"animale con bisogni" cui non viene, molto spesso, garantito il minimo di sussistenza indispensabile per vivere? Quell’uomo di carne e di sangue che, non solo, si trova in situazioni degradanti, ma che non è neppure messo nelle condizioni di esprimere le proprie capacità?
Spunti altrettanto centrali vengono dalla contrapposizione tra la prospettiva di J. Rawls elaborata in un’opera di ampia fortuna – Una teoria della giustizia – in cui si insiste sulla necessità di fondare una "società ben ordinata" e la posizione dell’israelita A. Margalit, che pone l’accento sulla Società decente, la quale può dirsi tale soltanto quando le istituzioni che la costituiscono non offendono il rispetto che ciascun soggetto dovrebbe aver per sé. 
Un altro interrogativo è, a questo punto, inevitabile: in che senso, dopo la Seconda guerra mondiale, la dignità da ideale etico si è trasformata in principio giuridico presente, tra gli altri documenti, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo? E se è vero che, oggi, con l’insorgere dei dilemmi bioetici questa trasformazione è all’origine di un conflitto di interpretazioni, si potrà arrivare ad una bioetica condivisa?
Sono queste, soltanto, alcune delle domande  che sottendono gli interventi dei relatori che si succederanno negli oltre 40 giorni di durata del Festival.
Di qui la declinazione del concetto in chiave ecologica – siamo degni custodi del giardino che ci è stato affidato?; teologica – da un lato l’idea dell’uomo come «imago Dei» e dall’altro il problema della libertà religiosa. E ancora la disamina del termine a partire da una prospettiva teoretica/antropologica/psicanalitica – il rapporto tra la dignità e alcune categorie chiave quali: identità, alterità, dualità umana, prossimità, libertà, responsabilità, vulnerabilità, rispetto; per non dire della dignità degli eroi, dei bambini, delle donne, degli anziani, dei più deboli, del mistico. Per finire con le questioni vitali che animano l’attuale dibattito bioetico.


Ora, a noi non resta che augurare un buon viaggio in compagnia dei Maestri, sotto un cielo stellato e all’insegna dell’incontro e del dialogo. La meta, apparentemente astratta, quest’anno si chiama dignità. Apparentemente, se è vero, come sosteneva Georg Forster, che essa è «il vero segnavia della vita».

22 giugno 2012

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