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Ero a Varsavia quando l'hanno ucciso

un ricordo personale di Padre Popiełuszko

Ho visto per la prima volta padre Popieluszko quando era cappellano alla chiesa di sant’Anna, la chiesa della pastorale universitaria, dove mi fermavo a dormire quando ero a Varsavia; qui avevo sempre l’occasione di trovare informazioni preziose su quanto stava accadendo in Polonia e di incontrare gli esponenti più importanti degli ambienti indipendenti del mondo universitario. Era una parrocchia sui generis, guidata da quel vecchio combattente di padre Uszynski, uno dei sacerdoti più intelligenti e combattivi che abbia mai conosciuto, coadiuvato da quattro giovani sacerdoti che condividevano in pieno la sua concezione di Chiesa e di pastorale. Fra questi c’era padre Jerzy. Poi ci siamo persi di vista per qualche anno. 


Finchè non ho sentito parlare delle Messe per la Patria, che erano ben presto diventate un avvenimento seguito e amato in tutto il Paese. Raccoglievano migliaia e migliaia di persone di ogni ambiente ed erano divenute il punto di riferimento anche degli artisti: poeti, attori, cantanti, musicisti mettevano il loro talento al servizio di quel gesto, che era un gesto religioso, ma era anche un avvenimento culturale, che faceva rivivere la memoria della storia e della cultura polacche. E così si andava alla chiesa di san Stanislao Kostka per pregare, per ascoltare le parole di padre Jerzy ma anche per sentire i canti della tradizione popolare, o le musiche di Chopin, o di Penderecki, o le poesie di Norwid, di Slowacki, di Mickiewicz recitate dai migliori attori della scena polacca, e così si tornava ad essere orgogliosi di essere polacchi, si riaccendeva la speranza, si ritrovava la propria identità e la propria dignità, per quelle due ore ci si sentiva di nuovo parte di una comunità che aveva radici profonde e che non era morta. E si cantavano con un accento di certezza le parole dell’inno polacco: “la Polonia non è morta finchè noi viviamo”. 


Ho vissuto in Polonia i giorni del rapimento di padre Jerzy, e la sera in cui è stato ritrovato il suo corpo dormivo a casa di Maja Komorowska, una delle attrici più importanti del teatro e del cinema polacchi, impegnata a fondo nei Comitati di Aiuto ai Perseguitati Politici sorti dopo l’introduzione dello Stato di Guerra (tra l’altro usava la sua grande popolarità per incontrare i prigionieri politici), grande amica di padre Popieluszko e una delle animatrici delle Messe per la Patria. Siamo subito andate alla chiesa di san Stanislao Kostka, c’era già una folla enorme, con le candele in mano, incurante della presenza delle camionette della polizia e di un fitto cordone di agenti in assetto antisommossa. Siamo rimaste a pregare, a cantare, ad ascoltare la voce del parroco e dei poeti per tutta la notte. Il mattino dopo sono ripartita per l’Italia. Appena arrivata, mi hanno prelevata direttamente all’aeroporto per andare a parlare a Milano, a una manifestazione organizzata dal Movimento Popolare in memoria di padre Jerzy.


Negli anni seguenti sono andata spesso sulla sua tomba. Per anni entrare in quel cortile dava l’impressione di arrivare in un’altra Polonia: sulla recinzione erano appesi a centinaia gli stendardi e le bandiere di Solidarność di tutte le città polacche, il servizio d’ordine era garantito giorno e notte da operai provenienti da tutte le regioni, c’erano fiori, scritte, preghiere, appelli. Tutto ciò che fuori da quel recinto era proibito, lì dentro era possibile. Poi, qualche anno dopo, ho lavorato alla Huta Warszawa e ho conosciuto i “suoi operai”, e ne ho sentito i racconti, e ho compreso quanto fossero ancora legati a lui da un vincolo profondo di affetto e gratitudine, quanto fossero orgogliosi di essere stati la sua comunità e quanto fossero determinati a non disperderne la memoria attraverso l’opera della rinata Solidarność.

Annalia Guglielmi

Analisi di Annalia Guglielmi, esperta di Polonia ed Europa dell'Est

10 luglio 2009

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