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I Giusti dei nostri tempi

di Gabriele Nissim

Al seminario di Gariwo, con il contributo importante di filosofi come Salvatore Natoli, Sante Maletta, Francesca Nodari, di scrittori come Francesco Cataluccio, Shady Hamadi, Hafez Haidar, di giornalisti come Maria Serena Natale e Marina Gersony, di esponenti delle comunità ebraiche, armene e musulmane come Giorgio Mortara, Pietro Kuciukian e Maryan Ismail, di esponenti dell’impegno civile e sociale come Don Gino Rigoldi e Sergio Vicario, di registi e attori di teatro come Andrée Ruth Shammah e Massimiliano Speziani, si è parlato dei Giusti del nostro tempo e si è sentita la necessità di aggiornare quella definizione di “Giusti” - entrata prepotentemente nel dibattito pubblico con la memoria del genocidio ebraico e armeno - all’attualità delle sfide dei nostri giorni.

Perché questa domanda urgente, che non è solo una questione semantica?

Gli uomini Giusti non sono né santi, né eroi, ma hanno una peculiarità che in modo diverso si ripropone sempre nella storia. Si presentano infatti sulla scena quando esiste uno spazio vuoto; agiscono quando le istituzioni non solo si dimostrano impotenti, ma prendono una strada pericolosa; si manifestano in controtendenza, quando l’orientamento dell’opinione pubblica si fa trascinare dalla paura, dall’indifferenza, o addirittura diventa facile preda dell’ideologia dell’odio e del nemico da combattere.

Cosa li spinge ad agire e a prendersi carico del destino del mondo?

Non esiste una predestinazione e nemmeno i loro atti sono determinati da un livello di moralità precedente alle loro azioni. Persone di grande cultura ed eccellenze morali nella loro vita quotidiana possono infatti clamorosamente mancare nei momenti più bui dell’umanità o addirittura sterzare clamorosamente di fronte a un cambiamento repentino dei costumi della società.

La genesi delle loro azioni non nasce da un’idea di rivoluzione, o da un progetto di cambiamento del mondo. Anzi, molto spesso non sono nemmeno consapevoli della portata delle loro azioni. Li guida un sentimento spontaneo di misericordia e una sorta di istinto del bene che li spinge a promuovere degli atti, che non si sarebbero mai sognati di fare nella loro vita. Trovano improvvisamente un coraggio e una forza di cui probabilmente essi stessi non si erano mai resi conto. Fino a ieri erano persone del tutto normali, che come tutti avrebbero pensato prima di tutto alla loro vita e al loro benessere e che avrebbero fatto solo il minimo necessario per gli altri, o per il bene comune. Improvvisamente scatta in loro qualche cosa di miracolosamente umano. Non vogliono che attorno a loro si compiano atti di ingiustizia e non accettano che possa svilupparsi un processo di distruzione politico, sociale, umano.

Quell’inaspettato rifiuto della prevaricazione e della disumanizzazione degli altri non nasce da un’idea di futuro, o da un sogno ideologico o filosofico, ma semplicemente da un rapporto con la realtà. Gli uomini Giusti forse pensano in questo modo: “Se il mondo va a pezzi, non devo forse fare qualche cosa, una piccola cosa?” - come scriveva Marco Aurelio nei suoi Ricordi.

Nelle democrazie funzionanti sono le istituzioni che possono promuovere l’etica e la possibilità di scelta e di comportamenti eccellenti. È questa la normalità di una vita buona e civile in una società matura e avanzata.
Ma cosa accade quando le istituzioni sono assenti e non solo lasciano le persone nella più profonda solitudine, ma cominciano a produrre ondate di odio e fanno crescere negli esseri umani i più abietti istinti di egoismo e paura? Gli uomini che non si rassegnano al peggio si sentono improvvisamente chiamati a una responsabilità. Si devono inventare da soli una nuova etica, perché nessuno dall’alto è in grado di indicare una strada morale percorribile.

Oggi l’Europa che abbiamo conosciuto dopo la Seconda guerra mondiale sembra naufragare su tutti i fronti. Non è capace di dare risposta alle crisi politiche e sociali che lacerano l’Africa e il Medio Oriente; si dimostra indifferente allo sterminio del popolo siriano, schiacciato in una morsa infernale dall’Isis e da Assad; non è capace di diventare un punto di riferimento morale per chi nei Paesi arabi alza la testa contro le dittature e i regimi fondamentalisti. Anzi la totale inadeguatezza delle istituzioni europee alle crisi internazionali che le circondano, invece di diventare uno stimolo a un processo di chiarificazione e assunzione di responsabilità globale, diventa un’occasione per chiudere le porte. In nome di una purezza da preservare, i più importanti Paesi dell’Europa centrale, dall’Austria, alla Polonia, all’Ungheria, insieme a movimenti politici che godono di sempre maggiore consenso in Francia, in Inghilterra - in sintonia con la corsa presidenziale di Trump negli Stati Uniti - hanno fatto quasi diventare un valore etico la lotta all’immigrazione. Sembra paradossale, ma se ieri i nazionalismi nati nel continente tra le due guerre mondiali vedevano negli ebrei i nemici dell’umanità, oggi molti in Europa vedono proprio negli uomini più sofferenti del pianeta, in fuga dalle guerre e dai Paesi colpiti dalla siccità e dai cambiamenti climatici, i nuovi nemici da cui difendersi.

Chi ci chiede aiuto sta così diventando un pericolo per la nostra esistenza, cercano di spiegarci coloro che si presentano come paladini della difesa dell’Europa da ogni forma di contaminazione.

Addirittura per loro l’idea di un’Europa federale e solidale diventa il retaggio del passato da cui dobbiamo liberarci. Alla gente sempre più confusa, personaggi come Le Pen e Salvini, propongono la ricetta miracolosa del ritorno agli Stati nazionali. La minaccia dei migranti può per loro essere respinta con una guerra dichiarata alla solidarietà e alla stessa idea di Europa, concepita dai grandi padri fondatori. Il mondo dunque si capovolge.

In questo spazio vuoto, dove sembrano venire meno le balaustre a cui appigliarsi, si fanno sentire faticosamente i nuovi uomini Giusti. Li possiamo trovare a Lampedusa e nell’isola greca di Lesbo tra chi salva e accoglie i migranti, così come a Parigi, dove al coraggio di Lassana Bathily, che salvò una decina di ebrei nel supermarket kosher, si è aggiunta la voce di Antoine Leris, il giornalista di France Bleu che dopo la morte della moglie, uccisa al Bataclan, ha invitato la popolazione francese a non odiare.

Dobbiamo dare visibilità a tutti gli uomini che su diversi fronti si battono per il dialogo, l’accoglienza, contro il fanatismo, e farli uscire dall’anonimato.

Il loro esempio è la nostra speranza realistica in questi tempi difficili. Essi non lo sanno, ma come é accaduto in altri momenti della storia, possono diventare uno straordinario incentivo all’emulazione.

Li dobbiamo chiamare con forza come i Giusti dei nostri tempi.

Hanno in mano il destino dell’Europa.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

16 maggio 2016

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