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I Giusti della foresta

per i diritti umani, ambientali e sociali

Nel contesto del continente sudamericano, con particolare riferimento all’Amazzonia, i giusti di ieri e di oggi sono rappresentati dalle donne e dagli uomini appassionati, cioè animati dal desiderio, spinto fino al sacrificio della vita, di difendere e potenziare la dignità umana collegandola strettamente all’impegno concreto per la salvezza della terra, entro una visione globale del rapporto tra l’uomo e l’ambiente come ecologia integrale, in cui rientra e acquista senso forte anche la salvaguardia delle popolazioni indigene dell’America Latina e del pianeta intero. Nell’alternativa irriducibile tra i carnefici e le vittime, anche i giusti della foresta e di ogni altro contesto sono protagonisti di una rivoluzione copernicana, intesa in senso antropologico ed etico, nel rapporto io-altro: non è l’altro a “girare” intorno a me, ma sono io a girare intorno all’altro, come scelta morale attenta al noi del vivere comunitario

I giusti sono coloro cioè che, facendosi carico e prendendosi cura dei deboli e dei poveri, dei perseguitati e degli sfruttati, degli ambienti naturali e delle popolazioni discriminate, cercano di promuovere atti di bene, con azioni reali personali e non soltanto con il semplice pensiero. Di contenere cioè il sangue versato e le sofferenze causate dai criminali assetati di potere politico (nel caso dei genocidi e degli altri orrori del totalitarismo ideologico nel Novecento e oltre), ma anche di potere economico, nel contesto di una globalizzazione segnata dagli aspetti perversi, come lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, l’aumento del degrado ambientale, l’ampliamento della disparità sociale, con la conseguente perdita delle identità locali, riduzione della sovranità nazionale, ecc. Fenomeni di intollerabile oppressione pagati dal “sangue dei giusti” che hanno rivendicato la giustizia diventando “martiri dell’America Latina”, comprendenti oltre alle persone comuni anche esponenti dell’alto clero, come ad esempio i vescovi Óskar Romero in El Salvador e Enrique Angelelli in Argentina.

Specchio delle contraddizioni dell’America Latina e del mondo nel suo complesso, l’Amazzonia può essere vista nell’intreccio tra cielo e terra: da una parte, il cielo stellato rappresentato dalla cultura autoctona e religiosità ancestrale, valorizzate dalla teologia della liberazione; dall’altra, la terra martoriata, segnata dalle frontiere di sangue e di resistenza dei popoli indigeni, dei lavoratori rurali, dei senza terra e dei loro sostenitori, che sono animati dalla lotta di liberazione e non sono rassegnati a veder morire, sotto i colpi dei seminatori di morte per conto del capitalismo onnivoro, il rapporto vitale del loro ambiente naturale, da cui traggono la sussistenza e il senso dell’esistenza (flora e fauna, fiumi e risorse del sottosuolo, cultura e tradizioni, religiosità e riti, ecc.) con il polmone di biodiversità più grande e più importante del pianeta. Cioè il centro dell’ecosistema terrestre, esteso in nove Stati: Brasile, Colombia, Bolivia, Equador, Perù, Venezuela e altri), fonte unica della vita dei popoli della foresta. Sulla sua salvaguardia si gioca il futuro ecologico della “casa comune” e la sopravvivenza dell’essere umano. A queste popolazioni ogni cittadino del mondo è chiamato a dare un contributo significativo, come imperativo morale di responsabilità e solidarietà per salvare l’Amazzonia dalla deforestazione, nell’interesse delle future generazioni. Fino anche alla donazione totale e al rischio estremo, come nel caso del vescovo cattolico austro-brasiliano Erwin Kräutler, costantemente minacciato di morte; oppure dei religiosi e laici barbaramente assassinati dai latifondisti, perché schierati dalla parte degli ultimi e della natura. Ad esempio, tra i secondi, il sindacalista brasiliano Chico Mendes, eliminato nel dicembre del 1988 e molti altri ambientalisti e attivisti, come Berta Caceres tra gli ultimi (uccisa nel 2016 in Honduras), che si possono considerare come i giusti della foresta, portatori di una nuova speranza fondata su una fertile utopia ecologista.

Sono donne e uomini, religiosi e laici, testimoni in prima persona della strenua difesa dell’ambiente e degli oppressi, capaci di dare vita e sostenere lotte di liberazione e progetti di sviluppo sostenibile, risoluti a prendersi cura della terra di tutti e perciò di tutta l’umanità. A cominciare dal destino dell’Amazzonia come paradigma universale dello sviluppo distruttivo, del difficile equilibrio tra solidità e vulnerabilità, tra sostenibilità e responsabilità. Perché se muore l’Amazzonia muore il mondo intero, come destino di una nuova era, in corso di affermazione, quella dell’Antropocene, caratterizzata dalle profonde e per tanti versi irreversibili modifiche apportate dall’uomo all’equilibrio del pianeta. Questa è la posta in gioco a cui anche l’enciclica ecologica e sociale Laudato si’, sancendo un ambientalismo naturale e sociale, richiama tutti i cittadini del mondo a gesti di responsabilità all’insegna della giustizia. Perché il problema dell’Amazzonia è una questione mondiale che va risolta nel nome della Madre Terra, che è Madre Dignità: dignità di tutti gli esseri umani. In questo senso, prendersi cura della terra è un imperativo etico a cui non possono sottrarsi sia le istituzioni pubbliche, sia ogni cittadino planetario, per tenere insieme equamente le esigenze della natura e dell’uomo, come prospettiva di una nuova e gioiosa utopia per il XXI secolo, riconoscendo i segni dei tempi che consentono di guardare lontano e scrutare il futuro in profondità.

Un uomo dalla vista lunga e lo sguardo profondo è il vescovo Kräutler (da oltre cinquant’anni missionario in Amazzonia) che può essere assunto come punto di sintesi della questione amazzonica e indigena, vista nella trasformazione strutturale in atto alla luce del retroterra storico dell’America Latina, dalla colonizzazione a oggi. Prima semplice prete, poi vescovo della regione dello Xingu, con la sede apostolica ad Altamira, una città sulle rive dell’omonimo fiume Xingu, costituita da circa cento mila abitanti nell’interno dello Stato del Pará, che ha come capitale Belém, di oltre un milione e mezzo di brasiliani. In entrambi i casi, missionario, ecologista e mistico, significativa espressione dei giusti del mondo d’oggi, che spicca per autenticità di vita e novità di discorso, per l’uso di parole e concetti tipicamente laici, come conflitto, liberazione e altri, fatti entrare nel lessico religioso. Più specificamente si tratta innanzitutto, di un uomo europeo (austriaco), da 50 anni profondamente integrato nella società brasiliana e suo qualificato conoscitore sotto molteplici aspetti: non solo quello religioso, ma anche quello economico, sociale, ambientale e culturale, fusi in un’osmosi feconda. Dotato di una conoscenza delle scienze sociali messa al servizio del riscatto degli ultimi (gli indios, i lavoratori rurali, i senza terra, ecc.) per la difesa dei diritti umani e civili, la promozione della dignità della persona e la salvaguardia del pianeta (il “creato” in senso religioso). In secondo luogo, di un coraggioso missionario di frontiera, espressione della Chiesa latinoamericana più innovativa, soprattutto in riferimento alla causa delle popolazioni indigene della foresta amazzonica, delle quali è stato e continua a essere ostinato difensore, con l’obiettivo di far maturare anche all’interno della Chiesa la consapevolezza della questione dei popoli indigeni. Fino alla battaglia per garantire l’inclusione dei loro diritti, al tempo della Costituente, nella Costituzione brasiliana del 1988, esponendosi al rischio della vita a causa di minacce e attentati (rivolti anche nei confronti dei suoi collaboratori), che lo costringono ancora a muoversi con la scorta e a vivere continuamente sorvegliato e sotto protezione, per la sua avversione a chi attenta all’integrità dell’Amazzonia e calpesta la dignità degli esclusi e degli oppressi. Inoltre, di un ecclesiastico radicale, sostenitore, più nell’azione concreta che nell’elaborazione teorica, della genuina teologia della liberazione e dei suoi sviluppi nell’America Latina, motivata dall’ “opzione preferenziale per i poveri”, che è stata indicata nel 2007 dal Documento di Aparecida (della Quinta Conferenza generale dell’episcopato latino-americano e dei Caraibi) ed è animata da un’autentica ispirazione solidaristica militante, che motiva al coraggio e alla gratuità della vita e genera profonda felicità personale e pubblica. Infine, di un ambientalista competente e attivo, ispiratore di un’enciclica “rivoluzionaria” – la Laudato si’ di Papa Bergoglio - di natura insieme ecologica (custodia della natura come creato), sociale (difesa dei poveri con la promozione della giustizia) e anche politica (giustificazione della denuncia e della lotta per la salvaguardia della “casa comune”) con particolare attenzione alla ricchezza - sempre più esposta a gravissimi rischi - della concentrazione di biodiversità presente nella foresta pluviale amazzonica, la più grande del mondo e la più necessaria all’essere umano. E’ una battaglia sostenuta nella logica della cura del pianeta e salvaguardia del creato, e animata dalla convinzione che la terra è di tutti e, perciò, se rispettata è fonte di bellezza per ogni persona e di vita per l’umanità intera. Ciò a partire dalla condizione delle popolazioni indigene dell’Amazzonia (Kräutler è presidente del Consiglio indigenista missionario), che continuano a subire aggressioni ai loro diritti fondamentali legati alla questione della terra come madre dei problemi del Brasile, in cui la “frontiera” forestale e agricola, nel Nord e nel Centro-Ovest, è disputata a ferro e a fuoco, distruggendo l’ambiente e calpestando la dignità degli ultimi. Una frontiera che è sottoposta violentemente a un processo continuo e macroscopico di espropriazione attraverso recinzioni, privatizzazioni e altre misure legali e illegali per il controllo della terra e l’appropriazione delle sue risorse, dentro l’arco di deforestazione crescente, tendente verso l’interno e il centro del biosistema amazzonico complesso.

E’ un modo concreto e personale di dare senso all’essere giusti inteso nel significato esteso e globale, come è definito anche dalle stesse parole del vescovo austro-brasiliano: “Certamente significa ‘prendersi cura’ della vita nel mondo, portare sulle proprie spalle tutti quelli la cui vita è minacciata, ‘lottare’ per la giustizia”. Combattendo perciò la cultura refrattaria e ostile, o semplicemente indifferente soprattutto nei confronti del povero e del diverso, con particolare riferimento ai diritti umani e ambientali dei popoli indigeni, nel tentativo di salvarli dall’annientamento progressivo e di salvaguardare la foresta amazzonica dalla distruzione costante e sistematica. Risulta centrale in particolare non solo la sua esperienza di vescovo vissuta in prima persona, ma anche la sua analisi storica e antropologica, economica e sociale, culturale e religiosa per capire la condizione vigente e indicare una proposta di soluzione dei problemi dell’Amazzonia e del Brasile, nel quadro di un’America Latina nell’epoca del complesso passaggio epocale in atto. E’ l’intento di leggere la storia brasiliana e latinoamericana dalla prospettiva inedita degli indios, dei poveri, degli ultimi e degli invisibili, indicata dal vescovo brasiliano, che da oltre cinque decenni vive a loro fianco, condividendone l’impegno per salvare la foresta dalla fame insaziabile di profitti delle grandi società idroelettriche e minerarie, dell’industria del legname, delle monocolture di soia, ecc.

La crescita della deforestazione è dovuta alla criminalità ambientale, lasciata per lo più impunita, che elimina i difensori dell’ambiente e i sostenitori dei diritti delle popolazioni indigene e dei coloni. Nel novero delle centinaia di uccisi, in gran parte sconosciuti o dimenticati, tra i rappresentanti delle popolazioni indigene e contadine, vanno ricordati, a titolo di esempio, almeno quelli relativamente più noti, vissuti nei momenti più violenti della recente storia dell’Amazzonia: l’ambientalista Wilson Pinheiro (ucciso nel 1980), il sacerdote Josimo Tavares e la suora Adelaide Molinari (assassinati nel 1986 in quanto esponenti della pastorale della terra), oltre al sindacalista e politico Chico Mendes (l’unico ampiamente conosciuto, anche a livello internazionale). Inoltre, Ademir Federici, detto Dema (soppresso nel 2001 per il coraggio sindacale e per l’impegno politico), il leader sindacalista Valdemar Barbosa de Oliveira (leader sindacale, eliminato per aver guidato la lotta contro il latifondo),la suora statunitense Dorothy Stang (messa a morte nel 2005 per la difesa dei poveri indigeni e la realizzazione di un progetto di sviluppo alternativo), l’indigeno Adelino Ramos (ucciso nel 2010 nella Rondônia per aver denunciato pubblicamente il taglio abusivo degli alberi). Così pure i coniugi José Cláudio Ribeiro da Silva e Maria do Espírito Santo (soppressinel maggio 2011, nel violento Pará orientale, per il loro impegno ambientalista), ecc. Storia di ordinaria violenza nei confronti degli indigeni e meticci, quasi tutti rimasti senza verità giudiziaria da parte dello Stato. Questo è stato assente se non proprio connivente con gli assassini di massa, come ha dimostrato nel 1969 il Rapporto Figueiredo sul genocidio degli indios attuato tra gli anni ’40 e ‘60 (www.gariwo.net, 31 maggio 2013).

Complessivamente, nel 2014 sono stati uccisi 116 ambientalisti e sindacalisti, oltre due per settimana in media, nel quadro di una popolazione amazzonica di oltre 35 milioni di abitanti. Una vera e propria strage senza fine nelle frontiere del sangue. Le minacce di morte non si contano. Tuttavia, i giusti della foresta non smettono di fiorire per promuovere la dignità umana coniugando diritti umani, diritti ambientali e diritti sociali. Se c’è un albero per ogni persona che ha scelto il bene, nella foresta amazzonica gli alberi da salvaguardare per la vita del pianeta sono ancora molti. Un segno di speranza per le generazioni future e la sopravvivenza dell’umanità intera, che per il 20 per cento dell’ossigeno mondiale dipende proprio dalla foresta amazzonica, in cui nelle azioni dei giusti il racconto del male si trasforma nella narrazione del bene, operato da chi dedica la vita a proteggere la “casa comune”.

Giuseppe Deiana

Analisi di Giuseppe Deiana, presidente dell'Associazione Centro Comunitario Puecher

8 novembre 2016

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