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Il mestiere di uomo

di Gabriele Nissim

Umberto Veronesi

Umberto Veronesi

Umberto Veronesi era un caro amico. Faceva parte del Comitato Scientifico di Gariwo. Ci ha aiutato quando abbiamo lanciato la battaglia per la Giornata dei Giusti al Parlamento europeo. È anche per merito suo se abbiamo ragionato su una idea laica di bene e di responsabilità.
Veronesi, infatti, non era solo un grande chirurgo, uno strenuo combattente nella battaglia contro il cancro, ma anche un uomo di grande pensiero.

Amava molto la filosofia antica e in particolare Marco Aurelio. Gli piaceva una citazione del vecchio imperatore che si sposava perfettamente con tutta la sua esistenza. “Al mattino, quando non hai voglia di alzarti, ti sia presente questo pensiero: mi sveglio per compiere il mio mestiere di uomo.”

Perché il mestiere di uomo era il più importante di tutti? Perché l’uomo per costruire il suo futuro non poteva contare sull’intervento di Dio. Gli ebrei non lo avevano incontrato nei campi di concentramento, e i suoi pazienti vivevano lo stesso sentimento di abbandono quando erano colpiti da un male incurabile.

Gli unici miracoli li potevano compiere soltanto gli uomini, quando si prendevano cura di altri uomini e cercavano con la scienza e la ragione di raddrizzare il mondo. Ecco perché Umberto faceva il medico e aveva sperato fino all’ultimo di sconfiggere il cancro con la ricerca.

Veronesi aveva capito, come Etty Hillesum, che era soltanto l’uomo che manteneva in vita l’idea di Dio per tenersi aggrappato a una speranza, ma senza l’attività dell’uomo Dio non sarebbe mai sopravvissuto.
Egli sentiva profondamente la missione di esercitare il mestiere di uomo, perché era consapevole della finitezza e della fragilità della vita umana.
La sua etica nasceva dalla consapevolezza della morte e della brevità della vita.

Da questa constatazione, così cara ai filosofi antichi, Veronesi traeva ispirazione per cercare il modo di migliorare come medico la condizione umana, di fronte alla sfida delle malattie più crudeli.
Aveva sempre in mente due cose. Impegnarsi come scienziato per trovare vie nuove per sconfiggere le sofferenze, ma di fronte alle sofferenze insormontabili di una persona in uno stato terminale, pensava che una persona avesse la libertà di scegliere la propria morte.

La consapevolezza della nostra fragilità umana lo portava sempre a battersi per la pace, la solidarietà, il dialogo tra le persone. Odiava profondamente le guerre e ogni campo di battaglia, dove gli uomini si comportavano da nemici gli uni nei confronti degli altri.
E i campi di battaglia non erano solo quelli militari, ma anche gli spettacoli dei talk show, e quei social network dove gli uomini si azzuffano con invettive e anatemi, rinunciando a ricercare la comprensione delle idee e i bisogni dagli altri.

Veronesi, come Hannah Arendt e Václav Havel, pensava che gli uomini potevano sormontare le loro debolezze e costruire l’unico potere reale su questa Terra, quando costruivano un mondo assieme agli altri.
Il riconoscimento della propria e della fragilità altrui doveva essere la base per l’amore e la simpatia nei confronti del prossimo. Ognuno è chiamato a prendersi cura dell’altro, perché la nostra Terra non è abitata da superuomini, ma da essere fragili.

Veronesi rideva degli uomini che cercano la fama, l’onnipotenza e credono che sia possibile che il loro nome diventi immortale. Era soltanto “vanità delle vanità”, come scriveva il Kohelet, ma anche Marco Aurelio nei suoi ricordi. Umberto faceva spesso una battuta. “Chi si ricorda il nome di chi ha inventato la macchina a vapore?”. Il tempo è inesorabile e cancella la memoria delle persone. 
Cosa rimane allora? Soltanto le idee che si sono seminate con la propria vita e che camminano sulle gambe di altri uomini, continuamente arricchite dall’ingegno di altri. Era questa la sola idea di immortalità a cui Veronesi credeva senza illusioni.

Mi viene in mente un’osservazione di Seneca, nei dialoghi attorno alla brevità della vita. “Se siamo saggi nessuna epoca ci è preclusa, possiamo accedere liberamente a tutte, ed è uno spazio di tempo incalcolabile, se il nostro animo, di per se stesso infinito, riesce a liberarsi delle strettoie della vita materiale che tenta di infiacchirlo. Possiamo così discutere con Socrate, dubitare con Carneade, raggiungere con Epicuro la serenità, dominare con gli Stoici la nostra natura umana e con i Cinici addirittura superarla.”

Noi continueremo a discutere con Veronesi e le sue idee. Le persone, osservava il chirurgo, continuano a vivere quando continuiamo a pensarle.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

10 novembre 2016

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