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Il valore della paura, il senso della precarietà

di Nadia Neri

Domenica 30 ottobre scorso, dopo due mesi di scosse di terremoto, in Umbria e nelle Marche si è verificata nuovamente una scossa forte che ha fatto altri danni gravi e si è sentita anche a Roma producendo piccoli danni, paragonati a quelli dell'Italia centrale. Dopo tanto tempo è stato finalmente ricordato il terribile terremoto dell'Irpinia del 23 novembre 1980, perché l'intensità di questo fenomeno si avvicinava molto ai gradi di quello di 36 anni fa. Io ho sentito bene la scossa di domenica e, pur avendone sentite tante nel corso di tutti questi anni, questa volta mi sono tornati alla mente tutti i vissuti di quello dell'Irpinia. Vivevo a Napoli. Nessuno ricorda più, che la scossa durò un tempo infinito nella percezione soggettiva, ben un minuto e mezzo. Ci furono tremila morti, e fu allora che nacque l'esigenza di creare una Protezione civile.

Si possono fare due ordini di riflessioni, necessarie e profonde entrambe. Iniziamo dall'esterno, anche se nel caso di un terremoto interno ed esterno si intersecano in modo impressionante. La paura di perdere tutto ci assale e si sedimenta dentro di noi in un modo che può diventare pericoloso, se non abbiamo la forza di contattarla e di provare ad elaborarla. Ho sempre rivendicato il fatto che sia sano avere paura, ovviamente distinguendo la paura dal panico - che è la versione patologica della paura, in cui si perde il controllo. La paura principale che proviamo nasce dall'insicurezza profonda sulla tenuta delle nostre case, - condivido le affermazioni del geologo Tozzi che sottolinea proprio questo - cosa che non avviene infatti in Giappone  o California, in cui terremoti come i nostri non arrecano nessun danno perché lì tutto è costruito con severi criteri antisismici.

Il terremoto produce in noi un profondo senso di destrutturazione perché la natura, che è il nostro primo contenitore primordiale, viene meno e mostra il suo lato più distruttivo e misterioso... Le scosse non sono prevedibili e possono colpirci in qualsiasi momento, gli animali le sentono un po' prima ma gran parte degli esseri umani non sa decifrare questi segnali perché non sa essere attento al linguaggio della natura. Anche le donne spesso, più degli uomini sono attraversate tante ore prima da strani malesseri, che si liberano soltanto al momento di una scossa.

Chi non riesce ad avere paura a volte è perché non può permetterselo, troppo impegnato dai propri problemi o dalle proprie angosce, e non riesce a seguire dentro di sè il percorso oscuro che il senso di precarietà scatenato dal terremoto scava nella sua interiorità. Nel 1980 lavoravo come psicoanalista da poco tempo e imparai dal mio paziente ossessivo grave come le persone con una psicosi conclamata si calmano e non solo non hanno paura, ma si sentono come pacificati. Quello che accade fuori dona una pausa ai terremoti interni. Negli anni successivi al terremoto del 1980 si assistette alla slatentizzazione di disturbi psicotici soprattutto in bambini e adolescenti, che altrimenti sarebbero rimasti silenti. Perciò anche ora faccio molta attenzione ai piccoli perché spesso i genitori, gli adulti in genere, non riescono a prestare la giusta attenzione alle loro paure. Molti pazienti in questi giorni mi hanno raccontato delle paure dei figli, dei loro pianti, ma senza la dovuta partecipazione emotiva. Non hanno spazio per questo, eppure il senso di precarietà che si vive, può essere destrutturante. Certamente si innesta in una storia personale e si modula in base a questa, ma è come un'amplificazione, spesso insostenibile, di altre precarietà e non contenimenti vissuti a livello personale. Lo spiego con un racconto personale che mi commuove anche oggi: nell'80, mio figlio aveva quattro anni, sapevamo cosa fare appena iniziò la scossa, aspettammo sotto una colonna di cemento armato che la scossa finisse, poi corremmo giù, io con centinaia di persone che avevano fatto la stessa cosa, mi sedetti su un marciapiede e mio figlio si mise accanto a me e mi disse prendendomi un braccio, "mamma non devi aver paura perché le case non crollano...c'è la colla che le tiene". In quelle semplici parole sentii in un attimo la sicurezza di base che lui aveva interiormente e contemporaneamente la ferita che poteva instaurarsi in lui proprio su questo punto di base e così delicato.

Che cosa si può fare in una situazione estrema come il terremoto, in questi mesi aggravata da una sequenza senza fine di scosse? In questo caso la precarietà si estende anche al futuro, e oltre agli aiuti concreti esistono anche interventi psicologici. Il perdere tutto in pochi attimi potrebbe insegnare come la corsa ai beni materiali assurta a valore portante dell'economia dei Paesi sviluppati possa non essere il valore principale al quale uniformare tutta la propria vita.

Tante persone, la maggioranza forse, hanno poca paura e poi rimuovono, altre portano più o meno coscientemente sempre una sensibilità amplificata a questi fenomeni naturali e conservano i segni del o dei traumi vissuti e le stesse parole che ascoltiamo o leggiamo, faglia, crepe, fratture evocano con la forza dell'immagine le ferite che si instaurano in noi, come nella natura.

Negli anni Novanta confidai a una collega analista che avevo sviluppato un sintomo che non riuscivo ad eliminare... Sentivo da prima un terremoto anche lontano. Non consideravo ciò un fatto positivo, ma lei mi sorprese perché mi disse che io avevo conservato quella sensibilità che avevano gli uomini primitivi e che permetteva loro di salvare la propria vita. Anche Goethe, nel suo viaggio in Italia, racconta di aver sentito prima che accadesse l'avvicinarsi di un terremoto. Conosco tante altre persone che vivono questo e soffrono perciò più intensamente durante un terremoto.

Il terremoto all'interno di una precarietà estrema ti fa sentire che la tua terra prova ad espellerti e capisco perché molti, soprattutto le persone anziane, non vogliano allontanarsi dalle loro zone. Trasferirsi somma precarietà a precarietà e molti sentono di non reggere questo ulteriore trauma. Il terremoto ci mostra come la natura non sia solo madre ma anche matrigna e noi dobbiamo imparare ad accettare l'esistenza di tutti e due questi suoi aspetti opposti. 

Nadia Neri

Analisi di

7 novembre 2016

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