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Isis, le origini del "Califfato"

di Antonio Ferrari

Quando una situazione diventa così devastante e insieme intricata al punto da costringerci a vagare nella nebbia più fitta, bisogna fermarsi a pensare e a riflettere. Occorre dominare la paura, e poi liberarsi dalle superficiali scorciatoie dettate dai preconcetti, e cercare di capire da dove arriva il male, e come oggi si presenta. Perché il male è sempre mutevole, e qui mi pare assai opportuno riprendere il pensiero - come ha fatto Gabriele Nissim - di un grande presocratico, Eraclito, con la metafora dell'individuo che si bagna nel fiume. Per dimostrare quanto la stessa persona cambi nel tempo, esattamente come l'acqua che scorre, e che quindi non è mai la stessa acqua.

È chiaro che molte cose, soprattutto dopo le stragi di Parigi - che hanno portato la morte nel nostro quotidiano, insomma nel nostro modo di vivere e nelle nostre abitudini -, sono cambiate. A questo punto è necessario domandarsi dov'è il punto da cui tutto ha avuto origine.

È stato facile, nell'ultimo anno, concentrare tutte le colpe di quel che succede sull'Isis e sui suoi tagliagole, tendendo psicologicamente a circoscrivere il pericolo a un ristretto gruppo di sanguinari assassini, protetti da un alone misterioso di guerrieri islamici recepiti come invincibili, che decapitano gli uomini, vendono le bambine, stuprano e schiavizzano le donne, offrendole al miglior offerente, e utilizzano nella loro sporca guerra anche i ragazzini. Costretti a imparare, come se si trattasse di un gioco, tutte le bestialità di una guerra infame.

Un quadro agghiacciante, ma insieme sommario e semplicistico, anche perché non tiene conto dell'origine di questo cosiddetto califfato. Che non è nato dal nulla, ma da un preciso parto politico con tante genitrici. La prima delle quali è il Paese più ricco e alleato dell'Occidente, l'Arabia Saudita, culla di sterminate riserve petrolifere. Non è un'ipotesi giornalistica. La prova che sia tutto vero l'ha pubblicata il Financial Times, raccontando quanto disse lo scomparso ministro degli esteri di Riad, Saud el Feisal, al segretario di stato americano John Kerry. Feisal, che ho conosciuto personalmente, era un diplomatico di notevole spessore culturale, che rifuggiva il massimalismo ed era assai poco incline all'ipocrisia di altri membri della pletorica famiglia reale. Anche per questa ragione la sua carriera si era sostanzialmente bloccata. Il ministro, senza tante perifrasi, disse a Kerry che "Daesh (cioè l'Isis, n.d.r.) è la nostra risposta (sunnita, n.d.r.) dopo la vostra guerra che ha consegnato l'Iraq agli sciiti".

Fiera ammissione, che rivela perché il mondo musulmano-sunnita, di cui l'Arabia Saudita è capofila, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di intralciare gli odiati avversari islamici confessionali, cioè gli sciiti. È evidente che con i sauditi si sono allineati subito gli altri ricchi reami della regione. Qatar, Kuwait, e forse anche gli Emirati.

Se si somma a questo fronte l'ambigua e sunnita Turchia, che pur appartenendo alla Nato ha fatto ben poco per contrastare l'Isis, anzi spesso l'ha favorito, si comprende attraverso quali canali le truppe del "califfo" abbiano ottenuto finanziamenti e armamento bellico. Senza dimenticare che le prime forniture di carri armati e di tecnologia sofisticata sono state portate in dote all'Isis dagli ufficiali di Saddam, umiliati, impoveriti e pronti a tutto per consumare la loro vendetta.

Intervenendo in tv dopo le stragi di Parigi, il collega Alberto Negri - bravissimo analista del Sole 24Ore, inviato capace di pensare e di riflettere su quanto ha visto e seguito, come direbbe il mio ex direttore Piero Ostellino, autore del libro Cose viste e pensate - ha spiegato una verità imbarazzante. L'Expo, che è stato l'orgoglio di Milano con i suoi 21 milioni di visitatori in sei mesi, si è svolto infatti senza alcun incidente, nonostante i timori della vigilia e durante tutto il tempo dell'Esposizione universale. Perchè?, si è chiesto Negri, rispondendo: "Beh, vi erano padiglioni di alcuni Paesi che hanno armato e finanziato l'Isis". In sostanza, potrebbe esservi stato un eccellente scudo.

Ma tutto questo non basta ancora per spiegare la crescita dell'organizzazione estremista di Al Baghdadi. Personalmente, ritengo che l'Isis non abbia nulla a che fare con la stragrande maggioranza dei musulmani sunniti. Di sicuro, però, utilizza strumentalmente e cinicamente quella dottrina wahabbita, cioè l'applicazione letterale del Corano, soprattutto nei suoi passaggi più radicali, senza alcun filtro interpretativo, sul modello dei sauditi più estremisti. Una corrente che ha ancora un'influenza devastante in gran parte del Medio Oriente e del nord Africa.

Se non si comprende questo aspetto, è difficile accettare l'idea che la gigantesca coalizione internazionale contro il terrorismo, ormai rappresentativa di mezzo mondo, non sia stata e forse non sia in grado di tagliare la testa al mostro.  

Antonio Ferrari

Analisi di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera

27 novembre 2015

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