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Istanbul, Dacca, Bagdad... e Brexit

di Antonio Ferrari

Si può tessere, evitando devianti semplicismi, una connessione fra Istanbul, la Brexit, Dacca e Bagdad? Quando Gabriele Nissim, fondatore di GARIWO, la Foresta dei giusti, me l'ha chiesto, ho domandato tempo. L'esito, dopo molte riflessioni è, ahimè, affermativo. È un sì che non avrei voluto né pensare, né dire, né scrivere.

In questi giorni, segnati dall'aggressione del caldo, dalla voglia di vacanze, ma soprattutto dai nuovi timori che la sfida terroristica ha iniettato nelle nostre vite, sulle stragi dell'Isis si ascolta di tutto. È il trionfo dell'approssimazione e delle dispute ideologiche. Le prefiche che odiano l'Islam, spesso non disinteressatamente, scaricano veleno su tutto, lasciando intendere che sono loro, i musulmani estremisti (e magari anche quelli moderati e ragionevoli) i veicoli del male assoluto. Poi ci sono quelli, sicuramente accarezzati dai generosi sauditi, i quali sostengono che tutte le atrocità (o quasi) vengono dall'Islam sciita, cioè dall'Iran, cioè dall'Hezbollah, quindi da tutti quei "delinquenti" che osano attaccare l'unico verbo dell'Islam sacro e puro, quello sunnita. Peccato che l'Isis si richiami proprio ai sunniti, agli wahhabiti, e forse i nostrani somarelli interessati non ricordano, o non gli fa comodo ricordare, che gli sciiti sono una piccola minoranza dell'Islam rispetto ai sunniti. Poi si aggiungono quelli che si oppongono agli immigrati, con l'imperativo di fermarli con ogni mezzo, come sostengono i nazionalisti estremisti europei transnazionali, e anche democratici disattenti e supponenti, come i vecchi britannici che hanno votato Brexit. I quali, indirettamente, con il loro voto hanno rilanciato la migranti-fobia. Chissà cosa pensano adesso che i loro eroi, l'ex sindaco di Londra e il razzista Farage, si sono dimessi, dopo aver raggiunto lo scopo di indebolire mortalmente il Regno Unito e di nuocere alla UE.

Per fortuna viviamo in Italia, in un Paese generoso e magari un po' cialtrone, però più intelligente di quello sognato da tante menti inquinate dalla partigianeria. Quando si è diffusa la notizia che un'esplosione a Bagdad, rivendicata prontamente dall'Isis, ha annientato oltre 200 persone, comprese decine di bambini c'è chi ha strillato alla "provocazione". O forse aggiungendo: ma andiamo, se ammazzano gli sciiti non è poi un grave problema.

"Sono terroristi". E allora, vai con la dietrologia che in mano agli ignoranti é una cintura esplosiva.

Personalmente non parteggio per nessuno. Ho conosciuto sul campo, e non negli insopportabili salotti dove si discute sul nulla, la ferocia di entrambi a Beirut, a Bagdad, a Teheran e nella "dolce" Arabia Saudita, notoria patria dei diritti umani. Tuttavia ritengo sano non addentrarmi in dispute velenose. So bene che i sunniti, in certi circoli, vanno molto di moda. Anzi, udite udite, piacciono persino a Israele, che sottobanco e quasi in segreto abbraccia i neo-amici di Riad e dintorni, avidi (ma anche generosi) nel maneggiare petrodollari, e molto tolleranti con gli estremisti, nel nome della propaganda islamica più estrema.

In questi giorni di dolore, sono attratto da un pensiero, cioè dalle storie personali dei terroristi di Istanbul, di Dacca, di Bagdad. E' chiaro che ciascuno ha seguito un percorso diverso, ma ho l'impressione che lo Stato islamico sia diventato un'etichetta di moda. Visto che l'Isis sta conoscendo pesanti e sanguinose sconfitte in Iraq, in Siria, in Libia, cioè sul terreno, ecco che ad entrare nell'élite dei nuovi assassini ci sono giovani benestanti borghesi, vittime e complici di una disperazione esistenziale figlia dei vizi e non dei bisogni. La vicenda del commando di Dacca è davvero paradigmatica. E' come se i terroristi pronti al suicidio, che impongono alle vittime la prova-conoscenza del Corano (come si trattasse di un quiz televisivo), si fossero allenati alle suggestioni di un videogioco estremo. Singolare ma realistico il commento del ministro dell'Interno del Bangladesh, che ha definito l'attacco dei tagliagole un "fenomeno di moda". Chissà come lo avrebbe analizzato, se fosse ancora vivo, Pier Paolo Pasolini.

La bravissima collega Elisabetta Rosaspina, che dopo Charlie Hebdo era andata nella città francese dalla quale provengono tanti "foreign fighters", cioè combattenti attratti dall'Isis, scoprì storie di complessati che vincevano la solitudine abbandonandosi al fascino dei videogiochi e del web, dove i cacciatori di affiliati pescano a man bassa.

Ecco perchè Daesh è diventato un'etichetta, una firma estremamente pericolosa. E la corsa dei nazionalisti e dei razzisti, che odiano i migranti, può esserne uno degli strumenti. Persino inconsapevoli. Voglio chiudere, sul sito di GARIWO, con un appello: cercate un nuovo Giusto? Ecco Faraaz, il giovane musulmano che conosceva il Corano, che poteva andarsene, che aveva superato la prova mnemonica, e che invece ha scelto di restare e di morire per non abbandonare due sue amiche.

Antonio Ferrari

Analisi di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera

5 luglio 2016

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