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La forza del bene

di Gabriele Nissim

Pubblichiamo di seguito l'editoriale di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, comparso su L'Avvenire sabato 28 febbraio 2015.

Quando nel 2012 proposi ai deputati del Parlamento europeo la risoluzione che poi portò all’approvazione della Giornata europea dei Giusti, dovetti rispondere a due particolari interrogativi.

Alcuni tra i miei più cari amici nel mondo ebraico sostenevano che il concetto di “giusto” riguardava solo la Shoah e non bisognava usare questo termine per altri genocidi, perché in questo modo si sarebbe banalizzato il carattere unico dello sterminio ebraico. Se si fosse usato questo termine per altri crimini di massa si sarebbe così creato confusione. Dunque sarebbe stato un errore ricordare le diverse memorie in un’unica giornata. Era meglio che ogni memoria particolare (Shoah, Foibe o genocidio degli armeni) fosse ricordata in una giornata diversa, così si sarebbe rispettata una gerarchia tra le diverse sofferenze, perché la memoria della Shoah doveva essere anteposta alle altre commemorazioni.

La seconda osservazione riguardava invece lo stesso significato della memoria del Bene. Ricordare con troppa enfasi i giusti avrebbe significato creare alibi per le nazioni che avevano rimosso le loro responsabilità per il comportamento che avevano tenuto durante la Shoah o altri crimini di massa. La memoria dei “buoni” avrebbe così nascosto i crimini degli ingiusti e dato l’impressione che di fronte ad un male estremo ci fosse stata una resistenza morale superiore alla realtà dei fatti.

Alla prima obiezione risposi, allora, che la memoria della Shoah, lo sterminio più efferato, acquisiva un senso solo se diventava uno strumento di monito per l’umanità intera, per prevenire ogni forma di genocidio che riguardasse gli ebrei come i non ebrei. Proprio dalla riflessione su quella tragica esperienza era stata individuata una categoria di persone - i giusti - che con il loro coraggio avevano cercato di spingere la storia in un’altra direzione. La ricerca e la valorizzazione di questi uomini in ogni genocidio poteva così offrire alle nuove generazioni degli straordinari esempi morali per comportarsi in modo degno.

Sarebbe stato miope e riduttivo escludere da questa memoria esemplare i soccorritori che erano andati in aiuto degli armeni nell’impero ottomano, dei tutsi in Rwuanda, o dei cambogiani finiti nei gulag di Pol Pot. Giusto non era solo il non ebreo che salvava l’ebreo, ma qualsiasi uomo che andava in soccorso di un altro uomo.

Dopo alcune resistenze ed incomprensioni finalmente questa mia proposta è stata accolta in Israele da alcuni dei più importanti studiosi della Shoah come il grande storico Yehuda Bauer e il professore Yair Auron.

Si è infatti tenuta nel novembre dello scorso anno una grande conferenza alla Open University di Raanana, dove i due professori, ricordando il ventennale del genocidio del Rwuanda, hanno sottolineato come in Israele si rischiava di commettere un grave errore nel momento in cui la memoria della Shoahfosse stata separata dalla memoria degli altri genocidi. Le nuove generazioni in Israele sarebbero state infatti educate in modo distorto se si fosse insegnato loro che il male nella storia era stato solo quello che aveva colpito gli ebrei. Così è stata presa la decisione non solo di celebrare la Giornata europea dei Giusti nella stessa università, ma anche di inaugurare, il 10 marzo, nel villaggio di Neve Shalom, un memoriale che ricordi, accanto a quello famoso di Yad Vashem, anche i giusti degli altri genocidi.

La seconda obiezione, e cioè che la memoria del Bene possa oscurare quella del male, è invece quella più radicata, anche se non è mai espressa chiaramente ed esplicitamente.

Questa paura di parlare del Bene ha come fondamento una visione pessimista della condizione umana che in ultima analisi toglie agli uomini la prerogativa di essere artefici del proprio destino.

Sembra quasi che il male sia l’elemento prevalente della natura umana e che gli uomini siano condannati ad essere soltanto degli eterni peccatori. Essi cosi devono essere richiamati costantemente ad ammettere le loro colpe e solo lo spazio del pentimento sembra essere il possibile ambito della libertà. Così troppo spesso nelle Giornate della Memoria ai giovani viene trasmesso un messaggio negativo: devono liberarsi delle colpe dei padri ricordando l’orrore, ma non si spiega loro che ogni uomo con il suo libero arbitrio può spingere la storia in una diversa direzione. Ecco perché spesso la tematica dei giusti viene relegata in secondo piano, perché deve prevalere il meccanismo dell’auto-pentimento. Non si capisce che in questo modo si toglie ai giovani il gusto della speranza e della responsabilità.

Invece la valorizzazione degli esempi morali positivi nei tempi buoni dell’umanità, lungi dal creare degli alibi per gli ingiusti, diventa uno stimolo per l’emulazione di fronte alle sfide del tempo presente: le storie dei giusti fanno comprendere come l’esito della storia non è mai scontato, perché i singoli individui, ieri come oggi, possono sempre fare la differenza.

Lo scrittore ebreo russo Vasilij Grossman, testimone delle più grandi atrocità di massa del Novecento, dalla carestia in Ucraina, allo sterminio degli ebrei russi, ai gulag staliniani, scriveva in Vita e Destino che nonostante tutti i loro sforzi i carnefici di ogni tipo non erano riusciti a cambiare la natura umana, perché quei comportamenti che definiva come atti di “bontà insensata”, mostravano l’irriducibilità dell’essere umano di fronte ai regimi totalitari. Tanto sorprendenti erano le sue affermazioni, se si pensa che lo scrittore aveva non solo sofferto la perdita della madre per mano dei nazisti, ma era stato oggetto della campagna antisemita di Stalin e i suoi manoscritti erano stati sequestrati perché denunciavano la realtà Gulag. Grossman continuava a vivere in un mondo apparentemente senza speranza, eppure registrava la forza dell’umano, perché era consapevole che anche se c’erano poche fiammelle di luce, l’uomo avrebbe avuto la forza di risorgere e di liberarsi dalla morsa dei lager e del totalitarismo.

Grossman era paradossalmente ottimista perché riteneva che i genocidi, di cui era stato testimone, non erano eventi incomprensibili, ma opera di scelte umane che avrebbero generato una resistenza da parte degli uomini migliori.

La lezione di Grossman vale anche per questi giorni quando si guarda alle vicende del mondo arabo musulmano. Ancora una volta prevale una visione catastrofica del mondo, come se fosse ineluttabile che l’Is e il fondamentalismo omicida possa vincere su tutti i fronti, al punto che per alcuni esponenti politici qualsiasi arabo e musulmano può diventare una minaccia e non si comprende che potrebbe diventarela principale vittima di questa ondata integralista. Altri addirittura propongono l’indifferenza e sostengono che il problema non ci riguarda e che gli arabi debbono risolvere da soli questa situazione. È come se di fronte al nazismo fosse stato giusto sostenere che gli ebrei ( come purtroppo è avvenuto in troppe circostanze) dovessero essere abbandonati al loro destino.

Ecco perché abbiamo voluto dedicare questa terza Giornata europea dei Giusti alla ricerca e alla valorizzazione dei resistenti morali arabi e musulmani che fanno da argine al clima di terrore. Si è molto parlato in Francia della la storia di Ahmed Merabet, il poliziotto mussulmano che si è immolato per difendere la redazione di Hebdo e di Lassana Bathily, l’impiegato che si è prodigato per nascondere gli ebrei nel supermercato, ma sono tante le storie di resistenza ai crimini più efferati che avvengono tra la Libia, la Siria, e l’Iraq.

Per questo nel Giardino dei Giusti di Milano, che è diventata la capitale morale di questa Giornata in Europa, pianteremo degli alberi per ricordare il giovane pacifista siriano Ghayath Mattar, assassinato per la sua battaglia per la non violenza e Razan Zaitouneh, la giovane attivista siriana, premio Sacharov del Parlamento europeo, rapida dai fondamentalisti dal 2013 e di cui si sono perse le tracce.

Inoltre ricorderemo Mehmet Gelal Bey, il sindaco di Aleppo che fu uno dei pochi musulmani nell’impero ottomano che si oppose al genocidio degli armeni. Il suo esempio è oggi molto significativo di fronte alle stragi e alle minacce ai cristiani che avvengono nell’area mediorientale.

È un segnale forte per affermare che non lasceremo soli i giusti di oggi e che anche nel mondo arabo-musulmano il totalitarismo jihadista, come avrebbe sostenuto Grossman, non riuscirà a cambiare la natura umana.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

2 marzo 2015

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