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La missione in Kurdistan tra le vittime dell'ISIS

di Brando Benifei

I ragazzi ospitati nel campo rifugiati di Arbat, Kurdistan iracheno

I ragazzi ospitati nel campo rifugiati di Arbat, Kurdistan iracheno

Il commento dell'On. Brando Benifei, eurodeputato Gruppo S&D, al ritorno da una missione nel Kurdistan iracheno e nel campo rifugiati di Arbat.

Sono rientrato da poco da una breve missione a Suleymaniya, nel Kurdistan iracheno, quasi al confine con l’Iran, dove ho partecipato a una conferenza internazionale organizzata dal PSE (Partito dei socialisti europei), dal Global Progressive Forum e dall’Arab Social Democratic Forum, sulle sfide del conflitto nella regione e la lotta al terrorismo. Oltre all’interessante dibattito, ricco di voci che non si ha sempre l’opportunità di ascoltare in Europa, ho avuto occasione di visitare un campo rifugiati in cui sono ospitate decine di persone appartenenti alla minoranza yazida, oltre al quartier generale Peshmerga in prima linea contro l’ISIS, vicino Kirkuk. Tutto questo, proprio il giorno prima che il Parlamento europeo, riunito in seduta solenne, consegnasse il Premio Sacharov 2016 a Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar, le due ragazze yazide tenute prigioniere e ridotte in schiavitù sessuale dall’ISIS per mesi, prima di essere liberate e iniziare a girare il mondo per testimoniare l’orrore che hanno dovuto subire.

Dopo un viaggio così intenso, rimettere in fila i pensieri non è davvero facile e, soprattutto, lo è ancora meno descrivere a parole quello che ho potuto vedere con i miei occhi in quel campo rifugiati allestito ad Arbat: intere famiglie, molte donne e tantissimi bambini sradicati dal loro territorio che ora cercano, a fatica, di dimenticare, di ritrovare un sorriso, sperando di tornare un giorno alla loro vita normale. Tutto questo a pochi chilometri dal fronte dove ancora l’ISIS impone la propria regola di terrore alle popolazioni dei villaggi ancora sotto il suo giogo.

Gli Yazidi, come altre minoranze, sono stati colpiti in modo particolarmente duro in questa conquista scellerata da parte del Califfato, fino a configurare un vero e proprio genocidio, come denunciato dal Parlamento europeo in una Risoluzione già lo scorso 4 febbraio e ribadito dal Consiglio d’Europa, dal Congresso degli Stati Uniti e da molte altre istituzioni nazionali e internazionali. Ancora questa settimana, a Strasburgo, abbiamo approvato una Risoluzione sulle fosse comuni rinvenute in Iraq proprio in quelle stesse zone, nelle aree già liberate dalle forze Peshmerga curde, a ulteriore riprova delle atrocità commesse da Dae’sh. Nel testo, si ribadisce il sostegno dell’UE alle autorità irachene e alle stesse milizie curde per dare supporto sanitario e psicologico alle vittime, completare la liberazione delle aree ancora controllate dal Califfato e avviare il Paese verso l’agognata stabilizzazione politica, nel rispetto di tutte le minoranze.

Ecco, a maggior ragione dopo questo viaggio e dopo aver ascoltato le parole di Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar, due ragazze traumatizzate a vita che hanno saputo trasformarsi da vittime in combattenti della libertà, dando prova di una forza d’animo davvero fuori dal comune, sono sempre più convinto che quella contro l’ISIS, per la libertà di questi popoli martoriati, deve essere anche la nostra battaglia. L’Unione europea, baluardo del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, deve essere in prima linea, come i Peshmerga, nel combattere il terrore e ridare speranza a migliaia di persone in un futuro di pace e stabilità. 

Brando Benifei, eurodeputato (gruppo S&D)

Analisi di

19 dicembre 2016

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