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Le donne cambieranno l'Iran

di Elisabetta Rosaspina

Le donne cambieranno l’Iran. Non oggi, né domani e forse neppure dopodomani. Ci vorrà tempo, e non potrebbe essere diversamente. Ma, in questi giorni, il voto per il decimo parlamento dell’era rivoluzionaria e la quinta Assemblea degli esperti, in Iran, lo dimostra. Senza l’afflusso di ragazze e ragazzi, donne in chador, mamme con poppanti in braccio, giovani signore con il velo e gli occhiali da sole posati con noncuranza sulla testa, probabilmente il decimo parlamento e la quinta Assemblea degli esperti che scriveranno la storia dell’Iran dei prossimi (rispettivamente) quattro e otto anni non sarebbero gli stessi.

Sono state le donne a rilanciare attraverso i social network l’invito a votare, e a votare i riformisti a scapito dei conservatori, dell’ex presidente (dal 1997 al 2005) Mohammad Khatami che è stato emarginato dalla politica e non può esprimersi attraverso giornali e tivù, ma aveva fatto passare il suo messaggio via internet pochi giorni prima delle elezioni. Il tam tam femminile ha quasi certamente influito sulla scelta dei candidati da votare, meno sulla partecipazione. Entra in blocco lo schieramento di 30 candidati riformisti e moderati (tra i quali 8 donne) riunito nella Lista della Speranza per i 30 seggi destinati ai rappresentanti di Teheran nel parlamento.

Nemmeno la metà degli elettori della capitale, però, è andata alle urne, il 26 febbraio; e il risultato 100% riformista/moderato è firmato perlopiù dalle nuove generazioni cresciute sotto la cappa del regime di Ahmadinejad, dal 2005 al 2013, e il peso di oltre un decennio di sanzioni economiche. Arresti, repressione, divieti hanno afflitto adolescenza e giovinezza di una quota di iraniani, oggi sulla trentina, ansiosi di vivere e interpretare il cambiamento. Se ne parla, senza particolare circospezione, nei caffè, nei ristoranti caratteristici vicino alle università e ai musei del centro, mentre si ascolta in sottofondo la musica internazionale degli anni ’60 e ’70, con qualche puntata fino ai ’90, da Gino Paoli a Demis Roussos ed Elton John: il ritardo da recuperare non è soltanto discografico.

Sono i commenti dei vertici del Paese, prima ancora dei risultati definitivi (che richiedono giorni di attesa) a segnalare che queste non sono elezioni come le altre. Certo, sono le prime dopo lo storico accordo nucleare firmato dal ministro degli Esteri, Javad Zarif, con Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania (a Vienna, il 14 luglio dell’anno scorso), le prime dopo l’annuncio della fine delle sanzioni economiche internazionali, il 16 gennaio, ma sono anche quelle che fanno twittare al presidente Hassan Rohani i suoi allusivi complimenti agli elettori: “Avete creato un’atmosfera nuova”. Ovvio che sia contento: per il presidente, che l’anno prossimo deve ripresentarsi al giudizio delle urne, questo risultato lo rafforza e rappresenta il sostegno popolare che gli occorre per una riconferma.

Ma molti osservatori indicano un altro vincitore, particolarmente soddisfatto dall’affermazione della Lista della Speranza, l’ex presidente Hashemi Rafsanjani che, non solo rientra a 81 anni all’Assemblea degli Esperti con il maggior numero di preferenze, ma è anche il mentore del più votato dei riformisti di Teheran, quel Mohammad Reza Aref che fu vice presidente di Khatami e complice generoso dell’elezione del moderato Rohani, rinunciando a candidarsi nel 2013. Il gioco di squadra sembra essere infatti la vera partita su cui si concentra adesso l’attenzione degli analisti internazionali, per intuire attraverso gli schemi delle alleanze chi conquisterà il potere e, soprattutto, dove si dirigeranno i timonieri.

Occhi puntati dunque sull’Assemblea degli Esperti, che riunisce 88 religiosi non più così conservatori come nella scorsa edizione. Entrano Rohani e Rafsanjani, escono importanti ayatollah ostili alle riforme, come Mohammad Yazdi, che ha guidato l’assemblea negli ultimi anni, e Mohammad Taghi Mesbah Yazdi, consigliere molto ascoltato da Ahmadinejad. Per i prossimi otto anni, i nuovi membri monitoreranno la Guida Suprema della Repubblica Islamica, Alì Khamenei, come previsto dalla loro posizione che include anche la scelta, quando verrà il momento, del suo successore.

Elisabetta Rosaspina

Analisi di Elisabetta Rosaspina, giornalista, già inviata del Corriere della Sera

29 febbraio 2016

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