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L’esempio di Khaled

di Gabriele Nissim

Perché oggi ricordiamo Khaled al-Asaad, l’archeologo che decise di rimanere da solo a presidiare Palmira proprio a cinque giorni dai massacri di Parigi?
Ricordiamocelo, Palmira è uno dei siti archeologici più importanti di tutta la nostra civiltà, simbolo della pluralità umana, dell’incontro tra Oriente e occidente, dove passavano i più importanti traffici commerciali tra Roma, la Persia e l’area mesopotamica e dove si mescolavano uomini e religioni diverse, senza che una cultura prendesse il sopravvento sull’altra.

Perdere Palmira significherebbe alzarsi a Roma la mattina e non vedere più i Fori Imperiali.

Ma perché ricordare Khaled?

Per il coraggio che ci dà forza

Ci sono gesti di uomini coraggiosi che lasciano il segno nella nostra immaginazione e ci fanno vedere il mondo da un nuovo punto di vista, come suggerisce Pierre Hadot, il grande studioso francese della filosofia antica.

Sono infatti quelle azioni che, se anche non cambiano il mondo e spesso si traducono in una sconfitta, ci fanno venire la voglia di agire per il Bene dell’Umanità e ci danno la forza di cambiare noi stessi.

Pensiamo all’ingenuità di Armin Wegner che nel 1933 cercò con una lettera di convincere Hitler a sospendere la persecuzione degli ebrei; allo spirito di sacrificio di Jan Palach che si diede fuoco nella Piazza San Venceslao per convincere i praghesi a resistere al totalitarismo sovietico; alla follia di quel giovane ancora sconosciuto che cercò di arrestare da solo a Pechino l’avanzata dei carri armati nella Piazza Tienanmen, quando il governo cinese decise di mettere fine alle aspirazioni degli studenti; al suicidio del presidente Salvador Allende che di fronte al golpe militare di Pinochet non volle cedere il potere nel Palazzo della Moneda e preferì soccombere sotto i bombardamenti, pur di difendere la democrazia.

Perché dobbiamo capire perché lo ha fatto?

Ci hanno raccontato che i suoi amici gli avevano consigliato di ritornare a Damasco ed aveva la possibilità di mettersi in salvo.
Bisognava essere infatti molto ingenui per sperare di convincere i nuovi conquistatori a risparmiare il sito archeologico o immaginare di nascondere alcuni preziosi reperti dagli occhi di quei criminali.

Ma è proprio l’insensatezza e l’ingenuità che spinge gli uomini ad avere coraggio, come osservò Armin Wegner. Il motivo è molto semplice. Si fanno certi gesti perché non si vuole rinunciare ad avere fiducia nell’umanità. A Khaled l’Isis ha tolto la vita, ma non la fiducia nella bellezza e nell’umanità.

Dico a tutti che i terroristi non possono vincere, perché non ci possono togliere il gusto dell’umanità. I terroristi vincerebbero se noi ci facessimo prendere dall’odio verso l’altro, se ci comportassimo come loro e non avessimo più fiducia nell’uomo e nella possibilità di fare del bene. Se noi non credessimo più alla pluralità umana, alla ricchezza delle differenze tra gli uomini, avrebbero vinto loro.

Vorrei ricordare le parole di Antoine Leris, il giornalista di France Bleu, che dopo la morte di sua moglie Helene, uccisa al Bataclan, ha scritto su Facebook: avete ucciso mia moglie, ma non avrete il mio odio, perché io voglio continuare ad amare la vita, ad amare la musica. Non voglio che mio figlio cresca nell’odio , nella paura, nel risentimento. Sono le stesse parole di Hetty Hillesum.

Perché oggi dopo Parigi dobbiamo ricordare Khaled?

Per ricordarci degli uomini coraggiosi nel mondo arabo e musulmano che combattono l’Isis, e che soltanto con loro possiamo vincere la battaglia. I terroristi vorrebbero che ci dividessimo, che ci fosse uno scontro di culture e di religioni, che le nostre nazioni si trasformassero in una nuova Jugoslavia, una guerra di tutti contro tutti.

Invece noi diciamo che arabi, ebrei, cristiani sono minacciati da un nemico comune che vuole distruggere i monumenti, eliminare gli uomini, stuprare le donne, uccidere gli ebrei, i cristiani e i migliori musulmani.

C’è un nuovo nazismo alle porte e noi dobbiamo sconfiggerlo, come siamo stati uniti nella Seconda guerra mondiale.

Grazie Khaled.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

18 novembre 2015

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