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Siria, è urgente fermare il massacro

Assad a processo o in esilio?

Negli ambienti della diplomazia corre voce che Bush fosse più determinato di Obama nell’affrontare l’incognita Assad: trattava il dittatore siriano come un paria e non considerava strategica la politica di Damasco nemmeno in un’ottica di equilibri regionali. C’erano, sia chiaro, polemiche con Londra a riguardo – del resto il vecchio detto recita che “inglesi e americani sono perfettamente capaci di non capirsi parlando la stessa lingua”. E, di crisi in crisi, il Medioriente è andato sempre più a somigliare a una polveriera. 


L’ultima proposta della coalizione angloamericana, riportata dal giornale inglese The Guardian, è però degna di nota: Londra e Washington sarebbero pronte a offrire ad Assad l’immunità dalla giurisdizione della Corte Penale Internazionale in cambio di un esilio dorato a Teheran o a Mosca. 


La questione riporta alla mente un’altra, fondamentale differenza tra Obama e Bush, che gioca a favore del primo: mentre il Presidente repubblicano aveva osteggiato la creazione di un tribunale internazionale permanente per giudicare i crimini contro l’umanità, il suo successore democratico ha addirittura creato un Atrocity Prevention Board. La sua più fine diplomazia non si deve forse considerare alla stregua di una pavidità. 


La Nato in effetti sta già cominciando a prendere le misure di un possibile intervento, il cui casus foederis potrebbe essere rappresentato dal recente abbattimento da parte di Damasco di un caccia turco. Se Erdogan non perde l’occasione di mostrare i muscoli per candidarsi a leader del mondo musulmano, e per questo dichiara impunemente che “la collera della Turchia può essere devastante”, tuttavia dietro di lui c’è il Trattato nordatlantico, pronto a difendere i confini dell’Occidente dalla follia di un dittatore mediorientale che, reprimendo la rivolta dei siriani, ha causato ben 15.000 vittime in 15 mesi, la maggior parte delle quali civili. 


La Corte Penale Internazionale esercita un potere deterrente rispetto ai satrapi? Se negli ultimi dieci anni figure come il sudanese Bashir hanno agito quasi impunemente inanellando le sentenze dell’Aja al proprio palmares di successi ideologici e militari, ora forse i tempi sono cambiati. La Corte Penale Internazionale è infatti riuscita in qualche modo ad avere ragione su satrapi come Charles Taylor, famigerato per il traffico di “diamanti insanguinati”, Milosevic, che purtroppo è morto prima che si arrivasse a una sentenza, ma almeno è morto in carcere dopo avere causato la distruzione della ex Jugoslavia nelle modalità di un vero e proprio genocidio, e altri.   


Forse è per questo che una volta tanto vi può essere accordo tra le sponde dell’Atlantico: sia pure con una certa diffidenza reciproca Washington e Londra sembrano d’accordo sul fatto di evitare che il bilancio delle vittime in Siria cresca ulteriormente, con un’uscita di scena negoziata di Assad. Ciò è quanto del resto si aspettano coloro che hanno recepito il messaggio di Peggio della guerra, il toccante libro di Daniel Jonah Goldhagen sulla prevenzione dei genocidi e più in generale dei tentativi dittatoriali di eliminare interi popoli, classi sociali o gruppi religiosi, politici o culturali. 


Goldhagen ammoniva: bisogna che per i massacratori di civili inermi vi sia certezza della pena. Ora forse ci stiamo arrivando. Assad potrebbe rifiutarsi di lasciare il potere, anzi, quasi sicuramente lo farà, ma un precedente verrebbe fissato. Sempre con la possibilità di proseguire in arme il discorso sui principi, le grandi democrazie occidentali possono contare sugli strumenti del diritto per ridurre a miti consigli coloro che reggono il proprio potere sulla lesione grave e quotidiana dei diritti umani. L’esilio rimarrebbe residuale rispetto alla sanzione: il mezzo più indolore per salvaguardare la vita di chi si ribella chiedendo democrazia. Ma forse potrebbe consentire un lavoro diplomatico sugli equilibri regionali del Medioriente e dell’Alleanza Atlantica tale da rappresentare un fiore all’occhiello delle democrazie invece che un loro tallone d’Achille, scandito da cadute nell’abisso in cui sprofondano i loro stessi detrattori, quali le vicende di Abu Ghraib e Guantanamo.  


Davvero l’idea di un processo davanti a Fatou Bensouda, “la prova vivente che il diritto non è appannaggio dei bianchi occidentali cristiani” come si autodefinisce il nuovo Procuratore capo dell’Aja rispondendo ad alcune critiche ideologiche alla natura di quel tribunale, può distogliere un Assad dai suoi piani di omicidio su vasta scala? Nel caso in cui il tentativo fallisca vale la pena di riconsiderare l’ipotesi dell’intervento “umanitario”? Se volete far sentire la vostra opinione scrivete a [email protected]

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