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Stragi senza fine

di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera

Pensiero assolutamente sconvolgente: difendersi dalla ferocia dei terroristi è praticamente impossibile. Questa è l'amara verità. La sequenza di orrendi crimini che venerdì 26 giugno sono stati compiuti, più o meno simultaneamente, in tre continenti, è l'ultima prova della nostra totale impotenza. È dura doverlo  riconoscere, ma ammesso e non concesso che in quella sequenza di morte vi sia il filo di una comune e centralizzata strategia (ne dubito fortemente), non basta a spiegare e a motivare quanto è accaduto. Da un anno esatto, da quando cioè fu dichiarato da Abu Bakr Al-Baghdadi il sedicente Stato islamico, che continuo a definire un "Non Stato", siamo tutti scivolati in un abisso di tenebre. Impauriti, fragili, attoniti, terrorizzati o forse persino indifferenti al potenziale terrorista della porta accanto. Che non è la Fanny Ardant, sconvolta dalla passione per Gérard Depardieu, pronta a uccidere l'amante e a suicidarsi nel celebre film di tanti anni fa La signora della porta accanto, ma forse un innocuo vicino di casa. Magari padre di famiglia, rispettoso delle regole del vivere civile, quello che in tutti i chiacchiericci condominiali viene definito "una brava persona".

Oh certo, ora si dirà che Yassin Salhi, il trentacinquenne che ha decapitato il suo datore di lavoro, e che poi voleva far saltare un impianto chimico nel sud della Francia, era stato a suo tempo segnalato, ma senza alcun provvedimento. Tutto qui. Ma quel che offre la dimensione della nostra incapacità a realizzare la gravità del pericolo che stiamo vivendo è quanto è accaduto sulla spiaggia davanti ai sontuosi alberghi di Sousse, in Tunisia. Centinaia di turisti, attratti dalle generose offerte di una settimana low cost, proposte via Internet dopo la strage del museo del Bardo proprio per rilanciare l'economia di un Paese fragile, sono stati aggrediti e ammazzati come animali da macello. Massacrati, a quanto pare da un solo giovanetto, con i pantaloni corti al ginocchio, forse arrivato dal mare con un gommone. Aveva un kalashnikov e ha cominciato a sparare all'impazzata, cercando però di colpire dove più alta era la concentrazione di ospiti stranieri, forse per rispondere all'appello del portavoce dell'Isis Al Adnani, che in occasione del Ramadan aveva incitato alla "calamità per gli infedeli". La morte ha raggiunto i lettini, fra le bottigliette di acqua minerale e di abbronzante, fra i flaconi di creme protettive, e ha annientato decine di persone che non hanno avuto neppure il tempo di rendersi conto della strage. Chi era il giovanetto, forse solo, forse con qualche complice? Un tagliagole solitario? Chi gli ha dato il mitra?

Più leggibili e interpretabili sono le stragi compiute dai kamikaze in una moschea sciita di Kuwait City, e il massacro di soldati africani da parte degli Shebab somali. Odi tribali, concorrenza tra sette religiose musulmane ne possono indicare la spiegazione. Ma il quadro complessivo che vediamo, e le terapie che vengono suggerite, con l'eventuale invio di forze militari di terra per scovare gli assassini, rimandano a teorie spuntate. Prima di tutto, sapendo che parte del pericolo nasce nei sottoscala dell'estremismo islamico, ci si dovrebbe attendere la dura reazione del mondo arabo, e soprattutto dei moderati contro quello Stato islamico che pretende di rappresentare la purezza del pensiero sunnita. Perchè se è vero che sta ingigantendosi il conflitto tra sunniti e sciiti, è ancor più vero che la battaglia più feroce si combatte nel cuore dello stesso mondo sunnita. Fratelli moderati contro fratelli degeneri.

Ma anche questo non è sufficiente, e allora torniamo all'inizio di questo ragionamento. Il pericolo che viviamo è dentro casa e non lo vediamo. Pensare che si possa prevenire semplicemente controllando con la massima severità i luoghi più importanti, più sensibili ma anche prevedibili, non basta. Entrare nell'abisso mentale di uno sconosciuto drappello di frustrati, delusi, depressi, forse vittime di ingiustizie, che vengono attratti da una propaganda ferocemente nichilista, è impresa quasi impossibile. A meno di ricominciare dall'educazione e dalla riscoperta degli ideali, almeno di qualche ideale. Tramontate le ideologie, esaltato il trionfo dell'aggressività quotidiana negli ambienti di lavoro, nei talk show televisivi, nelle scuole, sul web, bisognerebbe riprendere con pazienza il filo della ragione e della solidarietà. E non farsi dominare dalla paura. Se vince la paura, siamo finiti.

Antonio Ferrari

Analisi di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera

27 giugno 2015

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