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​Sud Sudan: sapere ciò che è successo ieri per capire ciò che avviene oggi

di Rita Sidoli

Alcuni cenni storici sul Sud Sudan, l’ultimo (in tutti i sensi)[1] fra i Paesi africani (il 54°), permettono di capire le ragioni della grave situazione attuale.

Il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza dalla Repubblica Democratica del Sudan – che comprende la parte più estesa del Paese (circa Km2 1.500.00), situata nella zona settentrionale – il 9 luglio 2011. Precedentemente, ambedue i Paesi avevano costituito il Sudan anglo-egiziano, parte dell’impero britannico, che solo il primo gennaio 1956 era diventato indipendente. Un territorio grande più di otto volte l’Italia, con una popolazione allora stimata intorno agli otto milioni di abitanti[2].

Appena raggiunta l’indipendenza dalla Gran Bretagna, una lunga guerra era scoppiata fra il nord e il sud del Paese. Si era conclusa nel 1972, con gli accordi di Addis Abeba che riconoscevano alcuni diritti fondamentali agli abitanti del sud, diversi per cultura, religione, lingua, appartenenza etnica. Questa prima fase della guerra era costata circa mezzo milione di morti, essenzialmente civili, e centinaia di migliaia di profughi. Negli anni ottanta del secolo scorso, la scoperta di importanti giacimenti di petrolio nella zona centrale del Paese scatena una nuova guerra (1983-2005) con due milioni di morti e quattro milioni di profughi interni o rifugiati nei Paesi confinanti - prevalentemente Uganda, Kenia ed Etiopia. Ciò provoca la distruzione del tessuto sociale di natura tribale già duramente provato dalle devastazioni precedenti, la fuga dalle zone di guerra e le carestie dovute all’interruzione forzata delle pratiche agricole e di allevamento del bestiame. Nel 2005, nuovo trattato di pace (a Naivasha, in Kenia) e nuovo tentativo di ricostruzione sociale ed economica. Nel trattato di pace viene affermato il diritto all’autodeterminazione del sud del Paese mediante un referendum (avvenuto il 9-15 gennaio 2011): il 98,83% della popolazione del sud vota per l’indipendenza dalla Repubblica Democratica del Sudan. La nascita del nuovo Stato è proclamata il 9 luglio 2011. Restano tuttora aperti due problemi, riguardanti la zona petrolifera: l’attribuzione della città di Abyei, collocata nella zona petrolifera, ad uno dei due Paesi, e la definizione del 20% dei confini, sempre in quella zona.

Il 16 dicembre 2013 riprende la guerra, che continua fino ad oggi. Motivo scatenante, la lotta per il potere fra i due gruppi che ebbero la parte più rilevante nelle guerre di liberazione dal nord: i Denka – la tribù più numerosa del Sud Sudan – e i Nuer, seconda per numero di appartenenti.

Il Sud Sudan è costituito da un insieme di numerose tribù da sempre in lotta, ancor più ora, a causa dei cambiamenti climatici. Accesso ai pozzi e ai pascoli, furti di bestiame, scontri fra sedentari (contadini) e nomadi (allevatori) hanno sempre acuito le divisioni etniche. Salva Kiir, il presidente del Paese (teoricamente fino alle elezioni previste per il 2015), è un Denka, Riek Machar Teny – vicepresidente - è un Nuer[3]. Uno dei problemi più gravi in Sud Sudan – e in molti Paesi africani – è il tribalismo, ossia la divisione su base etnica. Dalla nascita del nuovo Stato, frequenti erano stati gli episodi di violenza fra i due gruppi tribali, talvolta sostenuti da altre etnie, con interi villaggi distrutti e molti morti. Dopo il 16 dicembre 2013 è scoppiata una guerra interna, che coinvolge soprattutto le regioni del Sud Sudan abitate dalle tribù Denka e Nuer (Stati di Upper Nile, Jongley e Unity, sedi di numerosi campi petroliferi). La capitale – Juba (Equatoria Centrale) – è in genere preservata perché collocata nel territorio di un altro gruppo tribale, i Bari.

Le Chiese cristiane unite (South Sudan Christian Churches Council) hanno sempre assunto un ruolo di pacificazione. Anche in preparazione del referendum, i 100 giorni di preghiera (1 novembre 2010 – 31 gennaio 2011) hanno coinvolto tutti i cristiani. L’opera di pacificazione religiosa continua tuttora, ma con scarsi esiti.

Quale senso dare alla presenza in un Paese devastato dalla guerra, dalla fame, dalla carenza di strutture sanitarie ed educative?[4] Malgrado le sofferenze che i fatti descritti fanno immaginare, c’è una grande forza nel popolo sud sudanese, specie nelle donne.

Nelle donne che vedi ai lati delle strade, a vendere i prodotti del loro orto, il cui ricavato diventerà cibo, medicine, la divisa per la scuola dei loro bambini; nelle venditrici di pietre, ridotte in piccoli pezzi a colpi di martello, che serviranno per rendere più resistenti nel periodo delle piogge le case in mattoni di fango; nelle mamme che fanno chilometri e chilometri per portare il loro bambino, a volte incapace di camminare per una paralisi cerebrale, al nostro ambulatorio, per avere una protesi che gli permetta di muoversi; nelle insegnanti che con classi con più di cento alunni chiedono formazione per potere inserire i bambini disabili. Sono loro, le donne sudanesi che ti chiedono – senza parole – di restare, malgrado il caldo, la malaria, le difficoltà e l’insicurezza della guerra.

[1] Sud Sudan: ultimo nato, ma anche fra gli ultimi per scolarizzazione, aspettative di vita, possibilità di accedere a servizi medici ed ospedalieri, acqua potabile, mortalità infantile...
[2] La superficie attuale dei due Stati è approssimativa (il 20% dei confini non è definitivo) in quanto tre aree – la zona dei Monti Nuba, la città di Abyei e lo stato di Blue Nile, in parte sede dei più importanti giacimenti petroliferi - attendono il referendum dal 2008
[3] Il Sud Sudan è abitato da molte tribù: oltre ai Denka (o Dinka) ed ai Nuer, vi sono Shilluk, Azande, Bor, Achili, Luo, Lotuhu, …. Un lamentela diffusa riguarda la concentrazione dei posti di potere nelle mani dei Denka, i principali attori della guerra di liberazione
[4] Chi scrive da anni opera come volontaria presso una ONG italiana che risiede ininterrottamente in Sud Sudan dal 1982, anche durante le fasi più acute della guerra. 

Analisi di Rita Sidoli, Commissione educazione Gariwo

24 novembre 2015

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