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Turchia, libertà "condizionata" per giornalisti e blogger

editoriale di Elisabetta Rosaspina

A volte le elezioni servono davvero a cambiare un paese (magari in meglio). A volte non sono soltanto il fiore all’occhiello di una democrazia di cartapesta, dietro la cui facciata tutto resta come prima. In Turchia, il 7 giugno, è andato a votare l’86% degli elettori, il 60% dei quali voleva arginare la fame di potere del presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdoğan, ma anche contrastare una mentalità ambigua che riconosce la libertà di pensiero ed espressione solamente finché si ferma educatamente fuori dalla porta dell’establishment. L’impertinenza è mal tollerata: giornali, tivù, facebook, twitter, youtube sono stati silenziati in recenti occasioni, con le buone o con le cattive. Proprio nelle ultime ore quattro giornalisti sono stati arrestati (e poi rilasciati) per aver irritato il governatore della provincia sud orientale di Şanlıurfa, İzzettin Küçük, durante una conferenza stampa, con domande indiscrete sulla presenza di elementi dell’Isis nell’area.

Anche se è difficile trovare statistiche aggiornate, almeno una ventina di giornalisti sono rinchiusi nelle carceri della Turchia, che ha guidato la classifica mondiale, nel 2012 e 2013, dei paesi con più reporter dietro le sbarre. Ma dal palazzo presidenziale e dal partito di governo (fino al 7 giugno almeno), l’Akp, si assicura che la loro professione è stata ininfluente per il loro arresto: sono dentro per reati gravi e, casualmente, sono anche giornalisti. O blogger. Quali reati? Beh, per esempio l’oltraggio all’autorità costituita, che altrove nel mondo si chiamerebbe “diritto di critica”. O l’eccessiva simpatia per un’organizzazione rivale, come quella capeggiata dal predicatore Fethullah Gülen, da tempo auto esiliato in Pennsylvania. O addirittura lo spionaggio, come l’accusa mossa alla fine di maggio a Can Dündar, direttore di Cumhuriyet, storico quotidiano laico nato con la fondazione della repubblica da parte di Mustafa Kemal Atatürk, al principio degli anni ’20.

Spionaggio? Il giornale era entrato in possesso di un video, risalente a gennaio dell’anno scorso, che mostrava agenti di frontiera bloccare e ispezionare alcuni camion che, sotto qualche scatola di medicinali, trasportavano verso la Siria granate e munizioni, destinate ai gruppi jihadisti. Secondo il settimanale Nokta, soltanto i tanks dell’esercito siriano e dell’Isis sono compatibili con quel tipo di munizioni. Ma la Turchia è nemica giurata del presidente siriano Bashar Al Assad, quindi è abbastanza improbabile che ne rifornisca l’esercito regolare. I tir erano scortati da uomini del Mit, il servizio segreto turco, e gli incauti ispettori della dogana sono finiti in un mare di guai. Notizie sul traffico d’armi con formazioni di ribelli erano già trapelate sulla stampa turca. Ma le immagini, diventate di dominio pubblico, sembrano confermare quelle che, fino a quel momento, il governo di Ahmet Davutoğlu, il primo ministro, aveva bollato come bugie.

La magistratura ha aperto un’inchiesta, non tanto sul carico di materiale bellico, quanto sul giornalista che ne ha pubblicato le riprese. Il presidente Erdoğan ha reclamato per lui l’ergastolo. “Facciamo soltanto il nostro mestiere e cerchiamo di farlo in modo indipendente” ha obiettato il direttore di Cumhuriyet. L’accusa di spionaggio fa a pugni con quella di aver mentito, si osserva (con una certa coerenza) nella sede, blindatissima, del giornale. E i giornalisti non sono funzionari pubblici imputabili di violazione di segreti di Stato, come nel caso di Edward Snowden, l’ex tecnico informatico della Cia che svelò il programma di sorveglianza su scala mondiale della National Security Agency degli Usa.

Dettagli. Se la giustizia non si affrancherà completamente dal potere politico ed esecutivo, per i giornalisti “irritanti” continueranno a tintinnare le manette. Mettendo fine a tredici anni di potere assoluto dell’Akp di Erdoğan, il popolo turco ha indicato la rotta verso la democrazia. E uno dei suoi pilastri: la libertà di stampa.

Elisabetta Rosaspina

Analisi di Elisabetta Rosaspina, giornalista, già inviata del Corriere della Sera

17 giugno 2015

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