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Un giardino in cerca d'autore

30 progettisti per i Giusti di Milano

Uno dei progetti presentati al workshop

Uno dei progetti presentati al workshop

Venerdì 21 settembre 2012, ore 17.00
presentazione progetti | Giardino dei Giusti
Workshop di progettazione paesaggistica
Politecnico di Milano

Planimetrie, schizzi e modelli tridimensionali all'ora prestabilita sono già disposti sul grande tavolo dell'aula J1, Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano. Raffaello Cecchi, decano dell'Università, una nuvola di capelli bianchissimi e un taccuino in mano, percorre la stanza scrutando i lavori. "Conosco il tema dei Giusti, mi interessa molto e sono curioso di vedere cosa avete fatto. Non è semplice lavorare sui simboli". Intorno docenti, studenti, tutor si confondono tra i banchi, la presentazione sta per iniziare.

L'atmosfera è informale, rilassata ma allo stesso tempo densa di attesa. I 30 giovani chiamati a ripensare il Giardino dei Giusti, in pochissimo tempo hanno dovuto "centrare il tema", elaborare un'idea, trasformarla in progetto."Il risultato è ottimo - dice Lorenzo Consalez, architetto e docente del Politecnico - sembra una banalità ma non è affatto scontato perché quella del seminario è un'esperienza estremamente concentrata. Se si riesce a centrare il tema e costruire un processo che funzioni, l'esito, come in questo caso, può essere particolarmente buono". 

Difficile per un profano constatarlo alla prima occhiata. L'impressione, però, è che i dieci progetti - i ragazzi hanno lavorato in gruppi da tre - siano completamente diversi l'uno dall'altro, unici. Mentre si passa veloci da una presentazione all'altra, si intravedono nei discorsi dei protagonisti del workshop - quasi tutti studenti del Politecnico, alcuni stranieri - le tracce di idee germogliate durante le open lecture con Gabriele Nissim, l'architetto Stefano Valabrega, il paesaggista Neil Porter, il critico d'arte Francesco Bonami e il politologo Vittorio Emanuele Parsi. Non si è parlato solo di architettura ma anche di questioni che stanno attorno al tema dei Giusti, delle premesse, degli obiettivi e delle possibili strategie per dare nuova vita a un luogo di grande valore simbolico. 

“I ragazzi hanno ragionato molto su questi interventi  – racconta il professor Alessandro Rocca – Non si sono limitati a fare né un bel giardino, né un bel monumento, ma hanno affrontato il tema con coraggio e ampiezza di vedute, trovando soluzioni che era difficile prevedere. Il risultato è un ventaglio di proposte, immagini e visioni molto ampio e suggestivo”. 

C'è chi ha privilegiato l'azione rispetto alla monumentalità e ha immaginato il giardino come un grande vivaio per la coltivazione di piante con cui ornare altri spazi della città dedicati ai Giusti; chi ha pensato ad aiuole colorate e alberi da frutto per accompagnare i visitatori lungo nuovi e più suggestivi percorsi tra le loro storie. Alcuni hanno ricondotto il giardino a un'immagine più classica di memoriale, inserendo muri, scale o elementi architettonici per delimitare le aree destinate alle cerimonie e distinguerle dal resto del parco o, al contrario, per inglobare più ampie porzioni dello spazio circostante. Altri, affascinati dall’aspetto 'emozionale', hanno giocato con i colori delle piante nelle diverse stagioni dell'anno, con i riflessi - e la simbologia - del fiore di loto su uno specchio d'acqua. Altri ancora hanno cinto i tronchi nudi con un intreccio di vite americana, come in un ideale abbraccio ai Giusti. 

Sono progetti da perfezionare ma colpiscono la sobrietà e l'intelligenza con cui, senza cedere alla retorica, trenta giovani hanno colto e sviluppato le sfaccettature di un discorso complesso ed “estremamente concettuale” come quello sul Giardino dei Giusti. Hanno saputo dare un’interpretazione personale e "contemporanea" di concetti come memoria, tempo, crescita, contaminazione, identità. E hanno colto nel segno, a giudicare dall'appassionante dibattito finale con il professor Cecchi e gli altri docenti sul senso di un simile giardino. 

Fa un certo effetto assistere a un confronto tra docenti di architettura che giunge, infine, alle stesse considerazioni e agli interrogativi mille volte affrontati in redazione e ancora aperti. Del resto, proprio “per chi fa cose fisiche - sottolinea Consalez - è fondamentale il rapporto con le motivazioni, perché le sottraggono alla boutade o all'improvvisazione, soprattutto quando si incrociano questioni fondamentali per uomini europei del nostro tempo". 

Forse avevano avuto sentore di tutto questo i ragazzi, più di cento, che hanno inviato il curriculum per partecipare al seminario. Alla chiusura dei lavori, infatti, si sente parlare di "sfida", della "spontaneità" spesso sacrificata nei laboratori che durano mesi, del senso di "libertà" che dà lavorare su un tema così "affascinante" e su uno spazio fisico così ampio. "Hanno colto - conclude Rocca - il senso di sacralità ma anche lo spirito laico dell'iniziativa che non esclude nessuno, che vuole comunicare e creare uno spazio per un dialogo aperto a tutti e comprensibile da tutti".

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