Alganesh Fessaha, da quarant’anni in Italia, è di origine eritrea. Specialista in medicina Ayurveda, è fondatrice e presidente della ONG Ghandi, nata nel 2003 dall’unione di un gruppo di medici, professori universitari e avvocati e rivolta al sostegno di bambini, adolescenti e donne attraverso progetti di assistenza in diversi Paesi africani, in Europa e in India.
Il suo impegno è rivolto in particolare alle migliaia di persone che, in fuga dalla leva obbligatoria e dai lavori forzati del regime eritreo di Isaias Afewerki, diventano vittime del traffico di esseri umani. Cercando di sfuggire ai regimi dittatoriali dei Paesi d’origine, i migranti vengono catturati dai trafficanti e reclusi nella penisola del Sinai, in Libia e in Sudan, in quelli che la dottoressa chiama, senza mezzi termini, “lager”. Tenuti in prigionia in condizioni di vita inumane (descritte da Fessaha, nel suo libro Occhi nel deserto, attraverso immagini di crudeltà che danno voce alla loro sofferenza, fisica e psicologica), allo scopo di ottenere un riscatto da parte delle famiglie, vengono sfruttati come leva per spingere i famigliari a cedere al pagamento. In caso di mancata corrispondenza, il guadagno economico è raggiunto attraverso lo sviluppo di una rete di traffico illegale di organi. Nel rapporto The Human Trafficking Cycle: Sinai and Beyond, presentato nel 2013 al Parlamento Europeo dalla commissionaria europea Cecilia Malmström, si parla di 25-30 mila persone vittime del traffico in Sinai solo tra il 2009 ed il 2013.
Nei numerosi viaggi nelle zone interessate, Alganesh è riuscita a salvare migliaia di persone grazie all’aiuto di uno sceicco salafita, Awwad Mohamed Ali Hassan. Dal giorno del loro incontro, avvenuto in un’occasione di grande rischio per Alganesh - si trovava infatti, donna e per di più cristiana, da sola nel Sinai -, i due hanno portato a termine numerose missioni, riuscendo a scarcerare, senza pagare alcun riscatto, migliaia di uomini. Neanche la violenza è riuscita a spezzare la determinazione di una donna che, nonostante le ossa rotte e le minacce, è tornata più volte in quei luoghi e continua ad essere riferimento per le famiglie delle migliaia di eritrei tuttora ufficialmente scomparsi.
Molto forte è anche il legame di Alganesh con l’isola di Lampedusa, dove è accorsa in più occasioni a seguito delle tragedie che hanno coinvolto i migranti. È qui che, oltre ad assistere i sopravvissuti e a fornire sostegno alle famiglie, la donna ha denunciato la presenza di ambasciatori del governo eritreo, incaricati dalla polizia e dai carabinieri italiani di fare da interpreti per raccogliere le testimonianze dei superstiti. Lei stessa si è opposta a questo nuovo tentativo di prigionia, all’annichilimento del coraggio, della dignità, della vita di quei pochi che erano riusciti a raggiungere le nostre coste.
È in nome della potenza della sua voce, la voce di una verità priva di censure, che le viene conferito nel 2009 il Premio per la Pace dal presidente della Regione Lombardia; nel 2013, inoltre, viene insignita dell’Ambrogino d’oro, massima benemerenza civica milanese.
Il 6 Marzo 2015, un albero e un cippo sono stati dedicati ad Alganesh Fessaha al Giardino dei Giusti del Monte Stella di Milano.