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Natale nello Stato di Guerra

di Annalia Guglielmi

Quel primo anno di introduzione dello Stato di Guerra fu incredibilmente intenso.

Il mio passaporto fin dai primi di dicembre era alla Milicja per il rinnovo del visto. Temevo che non mi venisse rinnovato, ma dopo un interrogatorio in cui sfoderai tutta la mia faccia tosta, mentendo spudoratamente sulle ragioni per cui volevo rimanere in Polonia - e in cui mi resi conto che “loro” sapevano molte cose su di me, e che quindi fra i miei amici c’era qualche infiltrato, come poi si è scoperto dopo il 1989 -, fortunatamente ottenni la proroga del permesso di soggiorno.

Trascorsi il primo Natale dello Stato di Guerra dalla famiglia di un amico sacerdote che abitava in un villaggio di campagna. Eccezionalmente quella notte fu sospeso il coprifuoco, per permettere alla gente di andare alla Messa di mezzanotte, ma con il divieto, però, di usare le auto. La chiesa distava 4 chilometri; ci incamminammo nella neve insieme agli altri, con le lanterne in mano. Sembrava un presepe vivente.

Il 25 dicembre il cardinal Macharski ottenne il permesso di recarsi nel carcere di Wiśnicz per celebrare la Messa di Natale con gli internati di Solidarność. In quell’occasione disse: “Io sono con voi, poiché voi avete diritto al vostro vescovo e io ho diritto a voi. Ecco una scintilla di speranza, piccola, perché il diritto alla messa di Natale, alla confessione e alla comunione è stato rispettato, ed è stato rispettato il mio diritto a voi. Fratelli miei, devo cercare di non commuovermi a Natale. Lo sentite che ci provo, e coloro che vedono, vedono che ci provo. Ricordatevi, vi dico: una scintilla di speranza. Essa sola salva l’uomo dalla bestialità, apre l’uomo alla voce della coscienza, alla voce di Dio che in essa parla, e alla voce dell’uomo. (…)
Nella mia presenza voi avete la prova che non siete stati dimenticati, che non siete soli. Con il vostro amore, con la vostra apertura, senza sorprese, senza amarezza, cresce, cresce un grande bene, se si «impadronisce» del cuore dell’uomo la beata novella di oggi: ci è nato Cristo, la nostra speranza!”.

Durante la Messa gli internati cantarono questo inno:

Gesù! Consola il Paese che piange
Semina il grano della verità nei cuori
Da’ la Tua forza a quelli che piangono
Benedici Solidarność
Ai prigionieri dona la tenacia
Abbi cura delle famiglie
Il Verbo si è fatto carne
Ed abita in mezzo a noi

Il 6 gennaio, inaspettatamente, arrivarono due amici italiani con un carico di viveri: erano i primi stranieri a entrare nella Polonia dello Stato di Guerra. Fu possibile perché i documenti erano al Consolato già prima del 13 dicembre e mia madre tanto fece e tanto disse che alla fine poterono partire ai primi di gennaio. Furono una boccata d’ossigeno e un grande conforto, soprattutto perché ci parlarono dell’enorme movimento di solidarietà che si era messo in moto. Inoltre raccolsero molte informazioni preziose da comunicare in Italia e in Vaticano, riuscendo anche a portare con sé alcuni microfilm con le foto delle devastazioni e degli interventi degli ZOMO, e con l’elenco degli attivisti di Solidarność arrestati.

Il lavoro nel Comitato di Aiuto ai Perseguitati Politici impegnava tutte le mie giornate, la mia auto era l’unico mezzo di locomozione e servì per gli approvvigionamenti dalla sede della Charitas, dove arrivavano gli aiuti internazionali, e per la distribuzione dei pacchi alle famiglie che abitavano fuori città. Qualche volta servì anche a trasportare il ciclostile “Zuza”, la carta o l’inchiostro.

Creammo un archivio dettagliato delle famiglie in difficoltà, che tenevamo costantemente aggiornato. La mobilitazione all’estero era molto intensa e dai primi mesi del 1982 cominciarono ad arrivare quasi quotidianamente camion o pulmini soprattutto dalla Germania, dal Belgio, dalla Francia e dall’Italia. Su iniziativa dell’onorevole Nicola Sanese, il Parlamento italiano varò un provvedimento di esenzione dalle spese postali per i pacchi spediti in Polonia, in tal modo decine di migliaia di pacchi permisero letteralmente di sopravvivere a migliaia di famiglie polacche, instaurando spesso duraturi rapporti di amicizia.

Accanto all’azione umanitaria, fu molto importante anche l’informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica italiana su quanto stava accadendo in Polonia: CSEO pubblicò sistematicamente documenti e testimonianze della repressione e della stampa clandestina, fra cui la raccolta di poesie e ballate Cos’hai fatto, Generale?, mentre il settimanale “Il Sabato” tenne continuamente viva l’attenzione dell’opinione pubblica.

In tutte le maggiori città italiane si svolsero manifestazioni di solidarietà con la Polonia: spesso, seguendo la tradizione polacca, al termine dei cortei venivano disegnate per terra delle croci di fiori e candele, e in molte città si cominciò a dire una Messa ogni 13 del mese.

Per me fu anche un anno di incontri straordinari, che in molti casi si trasformarono in amicizie che continuano ancora oggi. Fra gli altri conobbi l’attrice Maja Komorowska, che, sfruttando la sua grande popolarità, riusciva a entrare nelle carceri e nei campi di internamento dove incontrava i detenuti, di cui poi ci portava notizie e, quando poteva, lettere e biglietti.

A giugno rientrai in Italia. Il mio contratto era stato rinnovato, quindi a settembre sarei dovuto tornare a Lublino. Purtroppo una grave malattia di mia madre mi costrinse a cambiare i miei progetti. Andavo però in Polonia il più frequentemente possibile su invito dell’Università, oppure con dei carichi di aiuti.

Ero a Varsavia nel 1984 quando fu rapito il beato padre Popiełuszko e la notte del 30 ottobre, quando fu ritrovato il suo corpo, ero a casa di Maja Komorowska, che lo conosceva bene e partecipava regolarmente alle Messe per la Patria durante le quali recitava i classici della poesia polacca. Ci precipitammo alla chiesa di San Stanislao Kostka, dove trovammo una folla enorme, con le candele in mano, incurante della presenza delle camionette della polizia e di un fitto cordone di agenti in assetto anti sommossa. Rimanemmo tutta la notte a pregare, a cantare e ad ascoltare le parole del parroco e dei poeti recitate dai più grandi attori polacchi, fra cui Maja. Sono andata spesso sulla sua tomba, che si trova nel cortile della chiesa di San Stanislao Kostka. Per anni entrare in quello spazio dava l’impressione di entrare in un’altra Polonia: sulla recinzione erano appesi a centinaia gli stendardi e le bandiere di Solidarność di tutte le città polacche, il servizio d’ordine era garantito giorno e notte da operai provenienti da tutte le regioni, c’erano fiori, scritte, preghiere, appelli. Tutto ciò che fuori da quel recinto era proibito, lì dentro era possibile.

Nel 1985, dentro la chiesa diroccata di via Żytnia, potei assistere alla messa in scena “clandestina” del Cenacolo di Ernest Bryll per la regia di Andrzej Wajda e con la partecipazione di alcuni fra i più grandi nomi del teatro polacco, fra cui Krystyna Janda, Krzysztof Kolberger e Daniel Olbrychski.
Le domande degli Apostoli nel Cenacolo dopo la morte di Gesù in quel momento corrispondevano alle domande del popolo polacco, come ha ricordato Wajda: “Sono andato a trovare Ernest Bryll (…) Parlando della situazione attuale della Polonia mi ha fatto notare come sia vicina a quella dei primi giorni dopo la morte di Gesù (…). Proprio quei giorni terribili potrebbero essere il contenuto di una nuova opera teatrale”.

Krystyna Janda, invece, racconta: “La chiesa di via Żytnia era diroccata, le prove si svolgevano di notte, eravamo tutti infagottati in enormi cappottoni imbottiti e dalle nostre labbra uscivano sbuffi di vapore. Ma è così che si creano eventi come quello! Sapevamo di partecipare a qualcosa di straordinario. Eravamo tutti così emozionati, che quando adesso riguardo il video del Cenacolo, mi rendo conto di essere stata coinvolta emotivamente come non lo ero mai stata in tutta la mia carriera”. E così ricorda la sera della “prima”: “Venerdì Santo del 1985 nella parrocchia di via Żytnia. Stiamo finendo le ultime cose in vista della prima, che tra poco si svolgerà dentro le mura di questa chiesa devastata, che ricorda il massacro della città e le ultime sanguinose giornate dell’Insurrezione di Varsavia. Sul piazzale della chiesa c’è già una lunga fila di persone che aspettano di entrare. Sul portone c’è il manifesto disegnato da Antoni Rodowicz con in primo piano, in posizione ieratica le figure di Tommaso e Maria Maddalena. Il manifesto (…) rappresenta molto bene l’idea dell’autore dell’opera: Tommaso e Maddalena presentano due posizioni diverse di fronte alla realtà dell’Incarnazione e della Redenzione, e di fronte alla nuova situazione di pericolo in cui si trovano”.

Fino al 1989 seguii passo dopo passo l’evolversi della situazione: la scarcerazione di tanti amici, che finalmente potei riabbracciare, l’allentarsi dei rigori dello Stato di Guerra, l’amnistia. Fino ad arrivare ai lavori della Tavola Rotonda. Assistetti a un’accelerazione inaspettata e inimmaginabile. Andavo su ogni mese e ogni mese c’era qualcosa di nuovo. Si aveva veramente l’impressione del “disgelo”: la crosta di ghiaccio che teneva congelata la vita si stava spaccando e le crepe si allargavano sempre di più mostrando tutto il fermento che fino a quel momento era rimasto nascosto.

Il 4 giugno 1989 ero a Lublino mentre si svolgevano le prime elezioni semilibere in un Paese del blocco sovietico. Non ho mai visto tanto entusiasmo nella gente. Per noi il voto è qualcosa ovvio e scontato, per il Polacchi quello era il primo giorno da quasi un secolo cinquant’anno in cui potevano esprimere la propria volontà. Ero nella sede del Comitato Elettorale di Solidarność e fu indimenticabile l’abbraccio fra le lacrime con il professor Stanowski, docente dell’Università Cattolica, che negli anni ’50 era stato arrestato dai Servizi di Sicurezza e condannato a sette anni in carcere, appena eletto senatore. Difficile dimenticare anche la prima volta in cui misi piede in Parlamento, divenuto improvvisamente un luogo amico popolato di amici: il professor Geremek, Jacek Kuron, Tadeusz Mazowiecki, il professor Stanowski, Henryk Wożniakowski e così via.

Eravamo tutti stupiti e un po’ attoniti, ci sembrava di vedere realizzarsi davanti ai nostri occhi un miracolo che solo pochi anni, o forse addirittura pochi mesi, prima appariva impossibile, di cui non solo eravamo spettatori, ma, chi più chi meno, protagonisti. Per questo, come ha detto Konstanty Gebert: “Chi ha visto l’89 perde per sempre il diritto morale di essere pessimista”.

7 maggio 2015

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