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Se la religione fosse un gioco

i bambini giornalisti di Terezín

I bambini di "Vedem" documentarono l'esistenza dei forni crematori (foto di Carolina Figini per Gariwo)

I bambini di "Vedem" documentarono l'esistenza dei forni crematori (foto di Carolina Figini per Gariwo)

Era chiaro, ai bambini che crebbero durante la guerra mondiale, che il mondo odiava gli ebrei. Era quanto annotò Anna Frank nel suo Diario, era ciò contro cui molti cercavano di lottare almeno interiormente. 
Alcuni bambini hanno fatto di questa lotta un capolavoro. Tra loro voglio ricordare i ragazzini che pubblicarono la rivista “Vedem” nel campo di Theresienstadt (in ceco Terezìn), tra il 1942 e il 1944. Avevano tra i 12 e i 16 anni e sapevano due cose: di avere una religione, alcuni quella ebraica e altri quella cristiana, e di voler vivere insieme. Contrariamente a chi pensa che i bambini siano creature conformiste, che non possono giudicare moralmente e anzi in alcuni i casi fanno i bulli con chi è diverso, questi ragazzi trasformarono l’orrore in giornalismo, arte, comunicazione tra di loro, con le famiglie e addirittura tra due fedi tra le quali permangono numerosi steccati dovuti anche a quegli anni terribili. 

Ho visto per la prima volta un numero di “Vedem” al blocco 27 del museo del lager di Auschwitz, dove l’ente che conserva questo luogo di memoria ha allestito una mostra dal titolo “Shoah”. Una sezione della mostra è dedicata alla sorte dei bambini vittime del nazismo. E qui si parlava di questa esperienza redazionale, e venivano mostrate anche le pagine dove i bambini di Terezìn mostravano purtroppo di conoscere non solo l’esistenza, ma anche il funzionamento dei forni crematori
Credo che non si possa pensare a una prova più schiacciante di questa contro i carnefici del nazismo. 

La storia della rivista “Vedem”, fondata ufficialmente nel 1941 dal 14 enne Petr Ginz, è raccontata nel dettaglio sul sito http://www.vedem-terezin.cz/, che è curato da insegnanti, studenti, sopravvissuti dell’Olocausto e curatori del Museo del lager di Theresienstadt che desiderano passare ai giovani del futuro la “staffetta morale” iniziata da quegli straordinari adolescenti. 

I ragazzi di “Vedem” non consideravano il cristianesimo e l’ebraismo come due “razze”, ma come due fedi, che davano loro forza e potevano arricchirsi reciprocamente. Invece di sentirsi oppressi dalla vita nel ghetto, andarono a esplorare i dintorni con occhio da reporter. Erano ben 40-50 ragazzi, e dunque avevano necessità di riunirsi per discutere i loro progetti e problemi. Il loro insegnante li aiutò a costituire un proprio sistema di “autogoverno” che si dimostrò efficace. Di fatto questi giovani formavano un ministato, che essi chiamavano la repubblica di Škid. “Tutto ciò che vi serve – così si rivolgevano al pubblico del futuro nel primo numero – sono le opportunità e le condizioni, dopodiché potete fare l’impossibile. Da questo momento in poi avrete tutto questo. Noi siamo convinti che possiate fare grandi cose anche con i mezzi modesti di cui disponiamo ora. Dopo tutto qui è in gioco l’onore della nostra patria, lo Škid. Avete il vostro inno: cantatelo con anima onesta e virtuosa. Avete la bandiera e lo scudo: teneteli immacolati, in modo da poter essere i veri successori dei ragazzi dello Škid originali”. Il motto di questo ministato era: “Ogni uomo è nostro fratello/che sia un ragazzo ebreo o cristiano/uniti marciamo sotto la bandiera della nostra repubblica”. Quindi gli inni, gli stendardi, tutto ciò che a quei tempi poteva terrorizzare intere nazioni – pensiamo a quando in lontananza si sentivano arrivare i tedeschi – venne trasformato da questi giovani in un rituale di pace e di fratellanza.  
I giovani autori della rivista Vedem erano anche poeti. In un posto come Terezín, dove su 144.000 ebrei deportati alla fine della guerra ne sopravvissero poco più di 12 mila, riuscirono a scrivere componimenti leggiadri e pieni di speranza, come questo:


Una sera di sole
 
In una sera di sole, sotto l’azzurro del cielo,
sotto le gemme fiorite di un robusto castagno,
me ne sto seduto nella polvere del cantiere.
È un giorno come ieri, un giorno come tanti.
[…]
Ogni cosa fiorisce e senza fine sorride.
Vorrei volare, ma come, ma dove?
Se tutto è in fiore, oggi mi dico,
perché io non dovrei? E per questo resisto!
 
1944 Anonimo

Mi pesa dire che forse questi bambini condannati da un regime spietato erano un po’ gli antesignani dei nostri “e-citizen” o “e-journalist”. Sembra ricordarci un po’ tristemente che il prezzo da pagare per dire la verità è molto alto ancora oggi nel mondo e un destino crudele, anche se non paragonabile a quello di un lager nazista, forse attende ancora molti giovani e meno giovani giornalisti che vivono sotto i più disparati regimi. Dopotutto quei tempi dovrebbero essere ormai acqua passata e noi tutti pensiamo che magari, se il nostro blog viene conosciuto, possiamo vincere una cosiddetta “ospitata” in un programma televisivo o un certo numero di Like che ci rendono popolari su Internet. Questi giovani però anche se sono stati sconfitti dalla storia hanno vinto una battaglia enorme, quella di una resistenza culturale e morale di fronte al male, armata solo di penna e buona volontà, di cui forse non sarebbe capace nemmeno il più “scafato” degli adulti. Mi piace per questo ricordare Petr Ginz, i suoi compagni e maestri come dei veri e propri “giusti”. 

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