Gariwo
https://it.gariwo.net/magazine/diritti-umani-e-crimini-contro-lumanita/affrontare-i-problemi-con-il-cuore-aperto-15260.html
Gariwo Magazine

Affrontare i problemi con il cuore aperto

intervista ad Alganesh Fessaha

Il 6 marzo 2015, in occasione della Giornata europea dei Giusti, abbiamo dedicato un albero e un cippo al Giardino dei Giusti di Milano ad Alganesh Fessaha, attivista di origine eritrea, Ambrogino d’oro nel 2013, impegnata nel soccorso dei migranti in Africa e a Lampedusa.

“Su questo albero - ci diceva Alganesh lo scorso anno - in questa città che mi ha adottato, su un monte nato sopra le rovine della guerra, sono incisi decine di migliaia di nomi.” I nomi di chi ha perso la vita nel Mediterraneo, vittime dei viaggi, nei deserti del Sahara e del Sinai, uccisi dagli stenti di traversate massacranti, e di chi attende nelle mani dei mercanti di morte di essere imbarcato.

A pochi giorni dalla Giornata mondiale del rifugiato, abbiamo parlato con Alganesh dei nuovi progetti a cui sta lavorando, di accoglienza, integrazione e inserimento, e della speranza che, di fronte a chi fugge da guerre, fame e violenze, non ci si dimentichi della dignità umana.

Di cosa ti sei occupata, insieme alla Ong Gandhi, in quest’ultimo anno?

Il mio impegno è stato soprattutto rivolto ai minori non accompagnati in Etiopia e Sudan. Abbiamo costruito un refettorio nel campo profughi per bambini dai 3 ai 6 anni, e il nostro obiettivo è quello di raggiungere tutti e tre i campi etiopi. Tra i minori non accompagnati abbiamo anche i ragazzi dai 10 ai 17 anni, e per loro stiamo cercando di costruire una scuola professionale, sempre nel campo profughi. In questo modo diamo ai ragazzi la possibilità di tenere occupata la mente e il corpo e, una volta usciti da questa realtà, di avere un mestiere. Pensiamo a corsi di falegnameria, elettricista, informatica, e ci stiamo attrezzando per creare corsi di infermieristica.
I minori non accompagnati purtroppo sono tanti, serve dargli una guida, un’istruzione, affinché poi possano fare le loro scelte.

I minori non accompagnati sono molti anche in Italia?

Purtroppo sì. A Lampedusa ci sono 130 tra eritrei e sudanesi a cui hanno preso le impronte e che ora sono bloccati negli hotspot dal mese di giugno - anche se gli hotspot possono tenere i migranti al massimo una settimana e poi dovrebbero indirizzarli verso i luoghi di collocamento.
La conseguenza di queste situazioni è che i ragazzi, appena possono, fuggono.

Quale invece la situazione a Milano? La nostra città è stata presa come modello di accoglienza e gestione dell’emergenza migranti, anche per la collaborazione sul territorio di istituzioni, volontari e associazioni…

La prima accoglienza, iniziata nel 2014, è stata sicuramente molto buona. Ora quello che manca è l’inserimento: a questi ragazzi serve di qualcuno che li guidi, che li aiuti a capire cosa succede. Chi arriva qui ha paura di farsi prendere le impronte perché non conosce la burocrazia, gli accordi internazionali e le relative regole. I ragazzi che cercano di salire sui treni diretti in Svizzera vengono allontanati dalla polizia, e spesso non riescono nemmeno a comunicare con gli agenti - uno dei problemi più gravi è infatti la comunicazione, la lingua. Sono immagini umilianti, disumane…
Penso comunque che la Lombardia sia molto generosa, e spero che tante famiglie aprano le porte ai rifugiati.

Cosa fare quindi per avere un'integrazione - e quindi un inserimento - efficace?

Sicuramente è importante che i rifugiati non restino solo nei centri di accoglienza, ma che conoscano e vengano accolti anche dalle famiglie del territorio. Questo, insieme alla scolarizzazione, aiuta realmente un inserimento pacifico e senza traumi. Se i migranti sono invece tenuti segregati, pensano solo a fuggire...

La stagione estiva è alle porte, si attendono nuovi sbarchi con ritmo sempre maggiore…

Con la Ong Gandhi stiamo ora cercando di collaborare sui corridoi umanitari con Sant’Egidio, per evitare ai ragazzi di morire in Etiopia nel tentativo di attraversare il deserto.
C’è poi un altro fenomeno che sta crescendo, ovvero l’immigrazione da Alessandria d’Egitto verso Turchia, Grecia e Italia. La cosa più incredibile è che queste navi, più grandi, si incontrano con le barche provenienti dalla Libia per far salire i profughi trasportati da queste ultime. 

La Comunità europea deve dare una risposta a tutto questo, tenendo presente che l’immigrazione come fenomeno umano non si può fermare, ci sarà sempre.
Purtroppo le politiche europee non vanno in questo senso: se osserviamo il Migration Compact, il punto di partenza è proprio “come fermare i profughi”. La soluzione individuata è il finanziamento dei Paesi da cui i migranti provengono - Sudan, Etipioa, Somalia, Eritrea. Ma se viene dato denaro ai vari dittatori, come pensiamo che tale denaro verrà usato? Di certo non per i profughi...
Prima ancora che con i governi, è necessario lavorare sul tessuto sociale, con le associazioni.

La Commissione d’inchiesta creata nel 2014 dal Consiglio Onu per i i diritti umani ha recentemente accusato il tuo Paese natale, l’Eritrea, di crimini contro l’umanità. Durante la cerimonia per la Giornata europea dei Giusti 2015 ci raccontavi infatti che uno dei drammi più grandi in Eritrea - motivo della fuga di tanti giovani - è il servizio militare a vita…

Per appoggiare questo processo della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, il 23 giugno è stata indetta una manifestazione di solidarietà a Ginevra di tutti gli eritrei. La Commissione dovrà quindi decidere quali provvedimenti prendere alla luce del rapporto che ha presentato. In Eritrea, così come in tanti altri Paesi purtroppo, non ci sono libertà civili e prospettive di sviluppo.
La gente spesso non si rende conto del perché queste persone scappino. Io vorrei ricordare che la morte non è solo di fame o di guerra, la morte è schiavitù, tortura, prigionia. Chi scappa lo fa perché pensa di avere anche una sola, piccola, possibilità di trovare una realtà diversa, in cui vengano rispettati i diritti e la dignità umana.

Lo scorso anno, al Giardino dei Giusti di Milano, dicevi che il tuo albero era il simbolo delle migliaia di vittime scomparse nel Mediterraneo o nel deserto, ma anche di vita e speranza. A più di un anno da quelle parole, qual è la tua speranza?

È la stessa speranza dell’anno scorso, la speranza che venga rispettata la dignità dell’essere umano. I problemi ci sono, è evidente. Noi però non dobbiamo affrontarli con paura, ma piuttosto con il cuore aperto. 

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

22 giugno 2016

Non perderti le storie dei Giusti e della memoria del Bene

Una volta al mese riceverai una selezione a cura della redazione di Gariwo degli articoli ed iniziative più interessanti. Per iscriverti compila i campi sottostanti e clicca su iscrizione.




Grazie per aver dato la tua adesione!

Contenuti correlati

Scopri tra le interviste

carica altri contenuti