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​“L’Ungheria ha la sindrome del baluardo”

intervista a Federigo Argentieri

Il professore della John Cabot University Federigo Argentieri, esperto di Ungheria, ci svela i retroscena del rifiuto di Viktor Orbán di accogliere gli immigrati. Secondo lui è la componente islamica del flusso di neo-arrivati che scoraggia il multiculturalismo: anche le comunità ebraiche ungheresi e perfino il premio Nobel Imre Kertész sarebbero inclini a sostenere il governo. 

Anche se non si tratta di un rifiuto categorico. Federigo Argentieri, nell’articolo Le radici storiche della durezza ungherese pubblicato sul Corriere della Sera del 16 settembre, attribuisce anche al vicino serbo “il merito” di non erigere muri o barriere, nonostante in Serbia possa divampare piuttosto facilmente un’ostilità anti-musulmana, a detrimento di tutte le conquiste fatte finora dagli Stati balcanici. Che hanno lentamente varato delle “riforme”, che riguardano l’economia, ma anche i diritti umani e civili e sono richieste sia agli europei occidentali che a quelli orientali. Tali riforme, osserva lo studioso, talvolta diventano delle “trappole” per l’Unione Europea, a cui l’Ungheria chiede di riconoscere le soggettività e di gestire in modo “non burocratico” la distribuzione delle quote di immigrati.

Ci spiega i motivi non riconducibili a islamofobia o razzismo che spiegano il rifiuto di accogliere gli immigrati da parte dell’Ungheria?

L’Ungheria non è interessata a una società multietnica. Esplicitamente non è interessata. E siccome il rischio è che qualcuno di quelli che transitano possa pensare di fermarsi lì, perché tutto sommato non si sta malissimo, i numeri eccessivi creano allarme. E “numeri eccessivi”, su dieci milioni di abitanti, sono già qualche migliaio. Anche perché ci sono già problemi di coesistenza, per esempio con una numerosa comunità rom, e dunque aggiungere altra “umanità potenzialmente problematica” non viene ben considerato.

C’è una specificità “europeo orientale”? Culto della memoria storica? Paesi di frontiera?

Questi Paesi hanno sviluppato una forte sindrome del baluardo, i polacchi baluardo contro i russi e gli ungheresi contro gli ottomani. Quindi in Ungheria non vogliono fare come la Francia, la Svezia o l’Italia che sono già multietniche. Questo discorso della distribuzione un po’ burocratica delle quote di immigrati viene mal visto, Budapest chiede di guardare non alla “purezza etnica”, ma alla composizione della sua popolazione, perché alterandola teme di avere più problemi o di non avere nessun tipo di vantaggio.

Ci descrive la società ungherese, se sta vivendo una “crisi” come l’Italia e che cosa rappresentano gli immigrati in questo contesto?

Economicamente la recessione c’è stata ma è stata assorbita abbastanza bene, perché Orbán ha varato politiche di razionalizzazione, ad esempio vincolando gli investimenti stranieri a determinate condizioni, sequestrando depositi bancari superiori a una certa cifra etc. Orbán sta cercando di costruire uno stato sociale sulla base delle rovine di quello socialista che qualcosa riusciva ad apportare. Ha avuto un certo consenso per farlo, conseguendo due volte la maggioranza assoluta. Le opposizioni di sinistra si contendono il secondo posto con Jobbik, per capirsi. Quindi Orbán può fare tutto quello che vuole. E Orbán vuole rassicurare l’elettorato che la società ungherese non si farà annacquare da nessuno. L’Ungheria sente di aver rischiato varie volte non la scomparsa, ma il declino sia demografico che culturale e ora non vuole assolutamente che questo possa ripresentarsi, per cui non rifiuta gli stranieri per principio, ma come immigrazione stabile che vuole insediarsi. Chi vuole andare in Francia, in Olanda o in Germania può transitare dall’Ungheria, ma Orbán intende dare un messaggio che non si lascerà scoraggiare nel modo più assoluto. D’altra parte, e ne abbiamo già parlato in un’intervista tre mesi fa, il muro di Orbán che ha suscitato tante polemiche non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo.

Secondo lei, alla luce delle analisi espresse da Gabriele Nissim nel libro Ebrei invisibili, la componente degli ungheresi che non vuole gli immigrati fa parte di quel nucleo nazionalista che un tempo si opponeva anche agli ebrei?

No. Anche la comunità ebraica mi sembra di capire che sostenga il governo anche perché i siriani non sono percepiti come amici. Se arrivassero, come succedeva cento anni fa, degli ebrei della Galizia non ci sarebbe forse tutta questa opposizione. Ma i siriani imparano a scuola che Israele non esiste, che la Palestina dev’essere libera etc. E Orbán ha gioco facile. Anche il premio Nobel della Letteratura Imre Kertész nell’ultimo anno subendo le critiche sostiene Orbán. Kertesz è al centro di polemiche perché lo scorso anno ha avuto una grande onorificenza, che era stata istituita da Horthy, sospesa dai comunisti ed è stata reintrodotta da Orbán ai geni del popolo ungherese. Sono stati premiati Kertesz e Rubik, quello del cubo, perché sono effettivamente due geni ungheresi al di là di chi ha istituito il premio, e subito sono stati tacciati di essere dei traditori. In realtà se Orbán premia questi due personaggi fa bene, e Kertész ha dichiarato che l’arrivo di qualche migliaio di siriani non è che lo rassicuri molto.

Che cosa rappresenta l’UE per gli ungheresi?

Rappresenta un’entità alle cui leggi aderire, ma che va costantemente stimolata e alla quale va ricordato che ci sono delle soggettività. Per cui, in generale, aderire alle regole e ai parametri, però in maniera a volte indisponente. Come ha detto la sociologa Kim Scheppele dell’università di Princeton, il sistema politico creato da Orbán e dai suoi è “legale ma non leale” (loyal but not fair). In un certo senso l’Ungheria si comporta un po’ come la Grecia, che ora si è rimessa in carreggiata. Con la differenza che l’Ungheria nei parametri ci sta. E per esempio è molto più avanzata dell’Italia sul tema delle unioni gay o dell’interruzione di gravidanza. Ha scritto nella Costituzione che il matrimonio deve essere, anzi è, tra un uomo e una donna, ma non ha preso alcun provvedimento contro i gay. Ha scritto che la vita va protetta fino dal concepimento, ma non ha preso alcun provvedimento per evitare le interruzioni di gravidanza. Sono tutte trappole in cui l’Unione Europea tende a cadere.

Parliamo del vicino dell’Ungheria, la Serbia da cui arrivano gli immigrati. Lei dice “non per sminuire i meriti di Belgrado”, ci parla di questi meriti? Perché lei dice che la Serbia farebbe una politica diversa se facesse parte dell’UE?

I meriti di Belgrado sono di non avere eretto né barriere, né muri. In Macedonia i serbi hanno preso qualche bastonata, ma non sono una grande terra di approdo, come non lo erano nel ’56 quando erano gli ungheresi a fuggire. Gli immigrati ci mettono un paio di giorni ad attraversare la Serbia e avvicinarsi all’Unione Europea. Se la Serbia fosse già nell’UE probabilmente erigerebbe i muri. Come fa la Bulgaria. In Serbia non ci vuole molto a incendiare un sentimento antimusulmano, per questo i serbi accettano di più un flusso di immigrati che passa e non si ferma che non gruppi che intendessero stanziarsi. Può diventare una cosa pericolosa. 

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