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​Separiamo le uova ed evitiamo di fare l’omelette

Un colloquio con Shimon Peres, di Gabriele Nissim

Ho avuto la fortuna di intervistare Shimon Peres nell’Hotel King David di Gerusalemme nel 1991, poco dopo la conferenza di pace di Madrid. Allora Peres temeva la crescita della destra israeliana guidata dal falco Shamir, ma aveva una grande fiducia che la società israeliana avrebbe sostenuto le trattative di pace. Durante quel colloquio Peres mi spiegò come vedeva il futuro del Medio Oriente. Rileggendo oggi le sue parole mi accorgo di come la sua visione sia di grande attualità. Il suo sogno si è infranto di fronte a due ostacoli: l’estremismo palestinese che rifiutava il compromesso territoriale e la destra israeliana che lo ha sconfitto alle elezioni dopo la morte di Rabin. Ma le sue analisi rappresentano l’unica possibilità per riportare la pace tra palestinesi e israeliani.

Peres è scomparso, ma tutti prima o poi in Medio Oriente dovranno ricominciare da Peres. Egli aveva capito una cosa fondamentale. Quando si è fatta l’omelette non si recuperano più le uova, perché l’uomo non ha la possibilità di riportare indietro le lancette dell’orologio. Ecco perché invitava a dividere le uova in due Stati amici, ma separati.
Il miraggio dell’omelette è purtroppo la visione degli estremisti dei due campi. Gli uni vogliono la Grande Palestina senza gli ebrei, gli altri una grande Israele che inglobi i palestinesi. Ma quella prospettiva può solo riprodurre nuovi disastri.

Ecco il testo del mio colloquio con Peres:

Come valuta l'esito della conferenza di Madrid? Lei è uscito con il suo partito dalla coalizione di governo, proprio perché Shamir era contrario ad una conferenza internazionale. Paradossalmente il suo obiettivo si è realizzato senza la sua presenza.

Tutti qui avevano paura dei rischi di una conferenza internazionale. Dicevano che si sarebbe imposto a Israele un diktat politico. Invece la conferenza è andata bene, ha mostrato che il mondo è unito nel desiderio di realizzare la pace e che la leadership è oggi in mano a delle persone serie, gli americani. Per la prima volta è emersa sulla scena internazionale una rappresentanza palestinese accettabile per il mondo e per Israele. Una delegazione che ha mostrato una flessibilità sconosciuta tra i palestinesi. E anche i Paesi arabi - come l'Egitto e l'Arabia Saudita - che hanno spinto per la conferenza hanno valutato che Israele si è presentata con una posizione ragionevole.

I problemi difficili cominciano però ora con la seconda fase della trattativa…

Per la seconda fase la situazione è più complicata. Infatti gli israeliani sono divisi. Il Likud vuole mantenere tutti i territori, per ragioni di sicurezza e motivazioni storiche. Noi laburisti invece pensiamo che ciò sia un errore, non solo perché questa posizione blocca il processo di pace, ma per delle ragioni israeliane ed ebraiche. Perché dobbiamo fare un compromesso territoriale? Prima di tutto per un problema molto pratico. Oggi tra la riva del Giordano ed il Mediterraneo abitano quattro milioni di ebrei e tre milioni di arabi. Questa situazione prima o poi può portare alla creazione di un Paese binazionale. Oggi il binazionalismo in Israele è più pericoloso di uno Stato palestinese. Noi non vogliamo diventare un nuovo Libano o una nuova Jugoslavia. Sarebbe un errore terribile. Lei sa che con le uova si fanno le omelette, ma da una omelette non si ritorna alle uova. Dobbiamo oggi avere il coraggio di dividere le uova, ciascuna al suo posto.
La seconda ragione è morale. La storia ebraica è una storia di 4mila anni. Mai nella nostra storia abbiamo dominato un altro popolo.
C'è poi una terza ragione. Senza un compromesso territoriale non c'è alcuna possibilità di arrivare alla pace. 
Ci sono quindi due ipotesi; o la pace con un compromesso territoriale, o il mantenimento di territori senza la pace.

Se lei oggi si trovasse al posto di Shamir, cosa farebbe?

Per cominciare, fermerei gli insediamenti nei territori occupati e offrirei ai palestinesi un compromesso territoriale.

Cosa pensa degli uomini della delegazione palestinese? Anche se Feisal Husseini e Hanan Ashrawi non erano presenti ufficialmente a Madrid lei li considera come i rappresentati dei palestinesi?

Ho appena incontrato Husseini e la signora Ashrawi. Sono pronto a incontrarli anche domani, non ci sono problemi.

Nel programma che si accinge a presentare al suo partito politico si parla di diritti nazionali dei palestinesi, ma non di autodeterminazione. Perchè? Che soluzione volete dare ai palestinesi?

La migliore soluzione è una confederazione giordano-palestinese. In questo quadro i palestinesi potranno trovare la loro autodeterminazione. Dopo tutto non esistono molte differenze tra i giordani e i palestinesi..Una confederazione di questo tipo, dove una parte della terrà ridata dagli israeliani sarà demilitarizzata, sarebbe la migliore soluzione.

Ma non pensa ad un’autonomia totale?

Sì, sono per un’autonomia totale. Ci saranno dei cantoni - come quelli della Svizzera - in un area demilitarizzata. Uno si chiamerà Gaza e l'altro Cisgiordania. Entrambi saranno attaccati alla Giordania.

Ma lei, quando il signor Husseini e la signora Ashrawi le parlano di uno Stato palestinese, che cosa risponde?

Prima di tutto sono ancora oggi cittadini giordani; è la loro scelta non la mia. Inoltre ritengo che i palestinesi e i giordani siano pronti a fare una confederazione insieme. Non penso che ci saranno grandi problemi.

Ma come risponde al desiderio dei palestinesi di essere indipendenti?

Non sono contro la loro indipendenza, ma sono per una soluzione comune tra le due rive del Giordano… Perché se si creassero due Paesi al posto di uno, cioè uno Stato palestinese ed uno Stato giordano, ci sarebbe la continuazione del conflitto con Israele. Un Paese solo è la soluzione. Bisogna terminare il conflitto.

Nella conferenza di Madrid si è verificato un fatto straordinario. I palestinesi hanno voluto continuare la trattativa, anche se i siriani hanno cercato di fermarla. Come valuta tutto ciò?

Io spero molto che i palestinesi continueranno a mostrare la loro indipendenza e la loro flessibilità. Credo che solo in questo modo potranno ottenere dei risultati. Hanno tutto da perdere se si mettono al carro della Siria o di altri Paesi.

Come pensa di trattare con la Siria? È favorevole a un compromesso territoriale? E come si risolverà la questione del Golan?

Personalmente sono pronto a fare un compromesso territoriale sul Golan. Un Golan demilitarizzato e diviso.

Come vede la soluzione del problema di Gerusalemme?

A mio avviso, nell'agenda dei colloqui, dovremo trattare il problema di Gerusalemme solo all'ultimo momento. Tuttavia già oggi esiste un problema di rappresentanza dei palestinesi di Gerusalemme est: Ashrawi e Husseini sono di Gerusalemme, devono potere partecipare alla trattativa.

Lei ha sostenuto che, nell'ambito dei colloqui di pace, la conferenza regionale è in realtà la più importante. Perché?

Ho sostenuto che la conferenza regionale è il punto focale per il futuro del Medio Oriente, ma non si può arrivare alla terza fase senza passare dagli accordi sui confini e sui territori.

Il Medio Oriente deve fare sua l'esperienza storica dell'Europa. Dopo la Prima guerra mondiale gli europei pensarono di evitare il rischio di una nuova guerra con delle misure tecniche: limitando gli armamenti, la potenza dei cannoni, la grandezza delle navi. Tutto ciò è stato inutile. È arrivato Hitler che ha iniziato la guerra con delle armi "limitate". Dopo la Seconda guerra mondiale gli europei hanno capito che la pace si doveva fondare su delle strutture comuni di collaborazione economica e militare, come il mercato comune e la Nato. Solo in questo modo si è garantita la pace in Europa occidentale. Dobbiamo fare la stessa cosa in Medio Oriente, se vogliamo una pace effettiva.

Cosa può significare per Israele un accordo di sicurezza regionale?

Nell'epoca dei missili le frontiere hanno perduto una parte del loro ruolo, perché i missili sorvolano le frontiere, sorvolano gli ostacoli naturali e artificiali. Non possiamo vivere in sicurezza, se tutte le nostre difese sono basate solo sui carri e sui cannoni. Quando la minaccia è di mille chilometri, non possiamo essere soddisfatti con una difesa che ci garantisce solo per trenta chilometri. Bisogna cercare di trovare una soluzione militare più larga, geograficamente, di quella che esiste oggi. C'è poi una minaccia più pesante, quella delle armi nucleari. Abbiamo visto che l'Iraq ha cercato segretamente di costruire una bomba H.. Quale è l'opzione per Israele? Invadere l'Iraq e cercare nei nascondigli le ogive nucleari, oppure coordinare un intervento internazionale con gli americani? Malaguratamente oggi non si possono arrestare le minacce nucleari ed i missili, senza un intervento internazionale. Ma questo non è sufficiente, ci vuole anche l'appoggio arabo. Gli americani non possono intervenire senza la legittimazione araba. Tutta la storia della diplomazia è una storia di legittimità..Ora non c'è alcuna possibilità di creare una coalizione araba, senza una soluzione dei nostri problemi con gli arabi. Non c'è altra soluzione.

Durante i lavori del congresso laburista lei ha sostenuto che non c’è futuro in Medio Oriente senza una collaborazione economica tra i popoli della regione. Perché?

Oggi in Medio Oriente c’è più scarsità di acqua che di terra. Il grande dramma è la questione dell'irrigazione e il reperimento delle risorse idriche. La popolazione nella regione è aumentata di dieci volte nell’ultimo secolo. Nessun fiume, compreso il Giordano, ha invece aumentato la sua portata. Non solo dobbiamo dividere le acque disponibili, ma dobbiamo reperire l'acqua in grandissima scala con degli impianti di desalinizzazione. Per rispondere a questa dura sfida della natura c'è una sola possibilità, la cooperazione regionale di tutti i Paesi del Medio Oriente.

È quindi in Medio Oriente che lei vede il futuro dell'economia israeliana?

Tutto il mondo sostiene che l'economia moderna è l'economia di mercato. Ma l'economia di mercato presuppone degli sbocchi per i propri prodotti. E dov’è il mercato di Israele? Forse in Europa? È diventato difficile con i problemi dell'Europa dell’est. Lo sbocco economico di Israele è il problema più importante di oggi. La grandezza di un Paese nei tempi moderni non dipende dalla grandezza geografica, ma dalle attività economiche. Il Giappone geograficamente è un piccolo Paese, ma è un grande Paese economicamente. Il contrario vale per la Russia. In Israele abbiamo avuto una emigrazione di trecentomila russi, e ce ne aspettiamo un milione nei prossimi tre anni. In questo milione ci saranno 40 mila medici, 100 mila ingegneri, 30 mila scienziati, 30 mila artisti. Cosa fare di questa gente? Con 40 mila medici, dovremo essere due volte malati? Con 100 mila ingegneri, dovremo costruire tre volte la nostra casa? La soluzione è che Israele diventi un centro medico per il Medio Oriente, un centro tecnologico per tutta l’area. È possibile? Non penso che gli arabi avranno un sogno d'amore con gli israeliani, tra le nazioni non esiste l’amore. Esiste però la ragione. E tutti i leader arabi sono al corrente che senza uno sviluppo economico nei loro Paesi, i fondamentalisti faranno cadere i loro governi.

Possiamo cominciare domani mattina? Sì, se gli israeliani decidono di fermare gli insediamenti nei territori, e gli arabi annunciano di essere disponibili ad arrestare il boicottaggio di Israele. La fine del boicottaggio economico contro di noi è il primo passo di un mercato comune in Medio Oriente.

Quale sarà il ruolo del partito laburista in questo processo di pace?

Senza il partito laburista non ci sono grandi possibilità per la riuscita del processo di pace. Se oggi il partito Likud si è mosso, è perché esiste l' alternativa del partito laburista.Noi avevamo annunciato che avremmo lasciato il governo nel momento in cui si esso avesse fermato il processo di pace. Oggi siamo pronti a sostenere tale processo, anche se ci troviamo fuori dal governo.

Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

29 settembre 2016

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