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Fuggire da un gulag di Pyongyang

la storia di Ahn Myeong Chul

“Mi occupavo della sorveglianza, dovevo fare in modo che nessuno tentasse di fuggire”. Così Ahn Myeong Chul, guardia del Campo 22 dal 1987 al 1994, racconta a LaStampa la sua esperienza nei kwalliso, i campi di lavoro del regime nordcoreano di Kim Jong-un.

Queste “total control zone”, nelle quali sono detenute circa 200mila tra uomini, donne e bambini, sono basate sui lavori forzati, praticati essenzialmente nelle zone agricole del Paese. Si lavora dalle 5 del mattino alle 10 di sera, si mangia tre volte al giorno ma “su base meritocratica”: chi lavora meno, salta i pasti. “In sette anni - racconta Ahn - ho visto morire più di duemila persone per fame, esecuzioni, torture, incidenti e malattie”.

La vita nei gulag coreani rimanda a quella dei lager nazisti: torture, alienazione, esperimenti sui detenuti.

Ahn è passato da una parte all’altra del sistema concentrazionario. Assunto come guardia perché il padre era un funzionario del governo, è stato arrestato e detenuto insieme alla sua famiglia quando lo stesso padre ha criticato le politiche di distribuzione del cibo del Paese. Fuggito dal Campo 22, che fino a pochi anni prima era chiamato a sorvegliare, Ahn si è rifugiato a Seul e oggi lavora per un’organizzazione che si occupa dei sopravvissuti ai kwalliso.

La sua storia ricorda quella di Shin Dong-hyuk, nato nel Campo 14 e testimone di violenze continue - tra cui lo stupro di una sua cugina e l'uccisione tramite percosse di una ragazza colpevole di avere del grano nelle sue tasche -, fuggito dal campo dopo aver trascorso 22 anni all'interno del Gulag a causa dei presunti crimini commessi dai suoi genitori. Anche Shin ora si è rifugiato in Corea del Sud.

Le attività del Campo 22 erano state rese note nel 2002 da alcuni testimoni che avevano narrato le torture e i massacri che avvenivano tra le mura dell'edificio. Nel 2012 il neo eletto Kim Jong-un aveva annunciato la decisione di chiudere questo centro di detenzione, che ha ospitato circa 50mila persone.

Nonostante il regime continui a negare l’esistenza di questi campi - peraltro documentata anche da numerose foto aeree -, nel settembre 2013 gli esperti delle Nazioni Unite inviati ad indagare sulla vicenda hanno rilevato "atrocità indicibili, in grado di evocare le immagini dei campi di concentramento nazisti" nell'ambito di una violenza di Stato "di larga scala". A seguito di questa indagine è stato redatto un rapporto, pubblicato nel febbraio 2014, in cui si denunciano questi crimini e si chiede il deferimento dello Stato totalitario alla Corte Penale internazionale o a un Tribunale ad hoc da costituire in seno alla stessa ONU.

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