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È così lieve il tuo bacio sulla fronte

di Caterina Chinnici Mondadori, 2014

Rocco Chinnici, a capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo all’inizio degli anni ’80, è il primo magistrato ucciso per l’esplosione di un’autobomba: nel centro della città, il 29 luglio 1983, salta in aria insieme alla scorta e al portiere dello stabile mentre si accinge a salire sull’auto blindata che lo conduce ogni mattina in ufficio.

Nemmeno un anno prima, il 3 settembre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa era stato falcidiato da una mitragliata di kalashnikov insieme alla giovane moglie mentre rientrava in prefettura a Palermo, dove era stato chiamato a dirigere le operazioni delle forze dell’ordine contro la criminalità mafiosa. Le incertezze, le ipocrisie, le collusioni con le cosche avevano segnato il destino dell’uomo che aveva saputo piegare i terroristi delle Brigate Rosse. Un cartello lasciato sul luogo dell’agguato recitava: “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. Nell’omelia di quel funerale, il cardinale Pappalardo aveva pronunciato la sferzante citazione di Tito Livio rivolta ai politici:  “Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”. Non potevano essere trovate parole più eloquenti per denunciare la situazione drammatica in cui versava una città e l’intera nazione per colpa delle sue più importanti istituzioni.

In un clima arroventato Chinnici coordina le indagini antimafia di un giovane manipolo di magistrati, che ne raccoglieranno fieramente l’eredità, purtroppo fino alle estreme conseguenze: sono Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Giuseppe Di Lello. Il primo salterà in aria allo stesso modo esattamente nove anni dopo, ad appena due mesi dalla strage di Capaci del 23 maggio 1992,  “l’attentatuni” che aveva eliminato con quintali di tritolo Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo. Gli uomini della scorta vengono anch’essi colpiti senza pietà in ognuno di questi attentati. “Ho sempre creduto – ci dice la figlia Caterina – che non sia stato un caso che loro tre, e solo loro tre, siano stati uccisi con la stessa oscena, spettacolare modalità. Prima di loro, altri con scorta e tutele di ogni tipo erano stati uccisi con il kalashnikov. Forse non avevano potuto fare altrimenti, posso sbagliarmi, ma ho sempre pensato che quelle tre bombe non siano state una necessità dettata da una super protezione, ma una scelta ben precisa, un segnale per dire: ‘guarda cosa facciamo a chi mira alto’. Come se non fosse sufficiente ucciderli, come se volessero polverizzarli, cancellarli”.

Ai funerali di Falcone succede il finimondo: le più alte cariche dello Stato, i politici, i militari, sono duramente contestati. Sembra di rivivere un film già visto, ora esposto all’ennesima potenza. La gente di Palermo si ribella alla mattanza continua che riempie di sangue le strade della città. Lenzuola bianche pendono dalle finestre per chiedere giustizia.
Dopo la morte di Chinnici arriva a sostituirlo un fiorentino coraggioso e fiero, Antonino Caponnetto. Sotto la sua direzione il “pool” serra le fila e prosegue le indagini fino al compimento del maxiprocesso, il vero primo risultato inattaccabile della lotta alla mafia. Sotto l’ala protettiva di Caponnetto, Falcone e Borsellino sferrano un colpo durissimo alle cosche, ma gli anni seguenti saranno segnati da grandi amarezze per questi giudici di straordinario talento, messo al servizio di una grande passione con eccezionale coraggio.
Un’epopea irripetibile, una stagione vibrante di impegno e speranza che ci ha regalato figure di altissimo rigore morale. Un esempio unico per i giovani, un punto di riferimento preziosissimo non solo per la terra siciliana, martoriata e svilita, ma per l’intero Paese.

Rocco Chinnici aveva intuito, negli anni ’70, la dimensione e la pericolosità del fenomeno mafioso, ne aveva svelato i risvolti, imbastendo le prime ipotesi efficaci sulla sua natura e struttura. La sua lucida consapevolezza lo aveva spinto a oltrepassare l’involucro criminoso per allargare l’analisi alla società, deducendone la necessità di intervenire tra le nuove generazioni per spezzare l’intreccio devastante degli interessi mafiosi con l’economia e la politica.Testimoniava nelle scuole, incontrando insegnanti e studenti, rispondendo a tutte le domande e confrontandosi con loro sulla sua esperienza, partecipava a dibattiti, dirigeva tavole rotonde. Era convinto - ricorda Caterina - che il rimedio fosse la mobilitazione delle coscienze. E riporta le sue parole: “Solo così, quanto tutti noi saremo sensibilizzati, quando ci sentiremo solidali con chi è caduto, quando avvertiremo imperioso il bisogno di compiere il nostro dovere di cittadini: solo così si potrà dare un contributo per la lotta contro la mafia”.

Il ritratto che Caterina Chinnici ci dipinge in questo libro è commovente e pieno di amore per un padre meraviglioso, un uomo di grande levatura, con un forte senso morale e un’enorme personalità, ma soprattutto di grande dignità e umanità. Ci restituisce anche il quadro dolente di una città, di una famiglia, di un microcosmo immerso in un mondo che sembra impazzito, che ha perso ogni punto di riferimento civile. Il rimpianto per una pace goduta fin dall’infanzia, per una serenità irripetibile e troppo presto smarrita nella tragedia della perdita del padre diventa motivo di denuncia - sempre pacata e mai sguaiata – e di riflessione, decisione rafforzata di impegno per proseguire sulla strada tracciata da un così straordinario protagonista.

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