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Shoah, Ruanda - Due lezioni parallele

di Niccolò Rinaldi Giuntina, 2014

“Memoria”, “unicità”, “mai più”: moniti che dopo la Shoah vengono messi in discussione dal Ruanda del 1994, un genocidio dei nostri tempi, il primo della società globale. Il massacro di oltre 800.000 tutsi e hutu moderati non è mai stato un “conflitto tribale”, come all’epoca qualcuno provò a definirlo, ma un genocidio che ripercorre molte delle modalità dello sterminio nazista degli ebrei, di cui è un “figlio maggiore”. Dal cuore dell’Europa al cuore dell’Africa, la meccanica dei due genocidi si può confrontare in un percorso in venti “stazioni”, con somiglianze stridenti e alcune differenze, comprese le responsabilità di una parte dell’Occidente che in Ruanda, cinquant’anni dopo la Shoah, si ritrova meno sicuro dei suoi antidoti politici e culturali che considerava acquisiti. Le Due lezioni parallele sono un percorso a specchio ricco di riscontri inaspettati e inquietanti, che rende ancora più attuale la terribile lezione della Shoah e svela menzogne e ipocrisie del nostro tempo.

L'11 aprile del 1994, l'agenzia Adnkronos comunica due lanci. Uno riguarda Gorazde, in Bosnia: “Nella notte i serbi hanno ripreso ad attaccare la città, dove i combattimenti si svolgono ormai casa per casa. L'ospedale cittadino è stipato di feriti, e migliaia di profughi musulmani stanno abbandonando la riva destra del fiume Drina, attraversando il corso d'acqua con imbarcazioni di fortuna o a nuoto. L'aggressore serbo ha dato alle fiamme i villaggi circostanti l'enclave e vi sono denunce di atroci crimini contro i civili”. L'altro comunicato, ad appena quattro giorni dall'inizio del genocidio ruandese, annuncia un inferno addirittura peggiore. Col titolo “Ruanda: scontri sempre più cruenti, ventimila morti a Kigali”, riporta l'appello del delegato locale del Comitato internazionale della Croce Rossa, Philippe Gaillard: “'Siamo un goccio di umanità in un oceano di sangue, avremmo bisogno di centinaia di fuoristrada ed autoambulanze. Migliaia di persone stanno morendo e hanno bisogno di noi''.

“Hanno bisogno di noi”: era proprio così, ma nessuno colse quell'appello.

Esattamente sette anni prima, l'11 aprile del 1987, muore Primo Levi, cadendo, probabilmente depresso e suicida, dalle scale di casa. Nel 1987 pochi avrebbero creduto possibile nel cuore dell'Europa nuovi deliberati e indiscriminati massacri di civili, e una sinistra riedizione dei campi di concentramento con internati scheletrici. Ancora meno si sarebbe ritenuto plausibile lo sterminio sistematico di un intero popolo, sotto gli occhi del mondo, un altro genocidio che è stato il primo dell'Africa e l'ultimo del XX secolo – un secolo che in quanto a genocidi ha segnato i suoi primati. Tuttavia Primo Levi aveva avvertito che senza memoria quel che è accaduto è destinato a ripetersi. Non si era sbagliato.

Non si era sbagliato nemmeno Hitler: “Chi parla ancora oggi dell’annientamento degli armeni?” (Wer redet noch heute von der Vernichtung der Armenier?), secondo questa frase attribuitagli nel 1939 da Louis Lochner, capo dell’ufficio berlinese dell’Associated Press, e ripresa in un rapporto trasmesso a Londra, il 25 agosto del 1939 dall’ambasciatore britannico sir Nevil Henderson. Il documento riassumeva quanto dichiarato dal Fuhrer ai comandanti in capo dell’esercito a Obersalzberg, il 22 agosto del 1939, alla vigilia dell'invasione della Polonia: “Siate duri, siate spietati, agite più in fretta e più brutalmente degli altri”.

In molti hanno fatto propria la raccomandazione, dalla Cambogia al Kurdistan irakeno, al Darfur. La mappatura degli stermini di massa è un esercizio che si presta al rischio di abusare dei termini, come lo è l'esercizio degli accostamenti, inevitabilmente esposto a superficialità e a confusione.

La Shoah non è stata né il primo né l'unico genocidio del XX secolo, ma la sua dimensione e la sua modalità non hanno precedenti e sono unici - la Shoah è una storia irripetibile. Il Ruanda non è stato il solo genocidio del dopoguerra, ma più di ogni altro ha avvertito che, per dimensione e modalità, un altro Olocausto di un intero popolo è stato possibile. Anche il Ruanda del 1994 è una storia irripetibile. Eppure il genocidio si è ripetuto. Eppure il genocidio non era così unico.

Così ebrei e ruandesi si sono spesso riconosciuti reciprocamente, vittime di accanimenti che con i primi hanno reso possibile l'inimmaginabile, e con i secondi hanno dimostrato che anche l'inimmaginabile è ripetibile.

Ognuno di loro porta ieri un destino di vittima e oggi di testimone, e le rispettive letterature scientifiche e dei sopravvissuti a volte si guardano come in uno specchio, altre, per quanto raramente, addirittura si ritrovano nelle stesse pagine.

Ancora una volta cerchiamo di capire dove abbiamo sbagliato e cosa è stato scordato. Viviamo in una stagione di confronti costanti, fonte continua di malintesi e di strumentalizzazioni. Per questo si provi a muoversi in punta di piedi e, tra differenze e insegnamenti comuni, ci si limiti ad alcune brevi tesi, per due lezioni parallele – per due popoli, due continenti, due epoche, con l'assoluto della Shoah che pare trovare nel genocidio ruandese una sorta di sventurato figlio maggiore.

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