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Netanyahu: la vittoria in tasca?

di Gabriele Eschenazi

Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele

Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele

Manca più di un mese alle elezioni in Israele e per Netanyahu sembra avvicinarsi il quarto mandato da primo ministro. Molti sondaggi danno il suo partito, Likud, in crescita e in vantaggio sul Mahanè Hazionì del duo Herzog-Livni, che sembra aver perso slancio nelle ultime settimane. Ma non è il leggero vantaggio del partito ciò che più rassicura Bibi, quanto altri due elementi decisivi. 

Il primo è quello di non avere più concorrenti alla sua leadership a destra. Avigdor Lieberman, l'ambizioso ministro degli esteri, naviga col suo partito Israel Beitenu intorno ai 6 seggi, contro i 13 che aveva nel parlamento precedente: il suo partito, travolto dagli scandali, ha perso la fiducia dell'elettorato. Naftali Bennet, leader del partito nazional-religioso Habait Haieudì, primo alleato di Netanyahu, è tornato ai 12 seggi attuali, dopo che i primi sondaggi gliene avevano attribuiti oltre 16. Yair Lapid, la sorpresa delle scorse elezioni quando ottenne col suo partito Yesh Atid 19 seggi, è in crisi: la sua prestazione da ministro delle finanze non ha soddisfatto l'elettorato israeliano, che ha visto crescere i prezzi e la disuguaglianza sociale. A Lapid i sondaggi danno 12 seggi contro i 19 che aveva: la sua capacità comunicativa e il suo spirito battagliero lo stanno facendo parzialmente risalire, ma non può più aspirare ad essere l'erede di Netanyahu. Moshe Kahlon, ex-delfino del primo ministro, si presenta a queste elezioni con una sua lista, Kulanu, ma i sondaggi non gli danno più di 6/7 seggi. 

Dunque nè Lieberman, né Bennet, né Lapid, né Kahlon, insidiano Netanyahu nel centro destra. I partiti religiosi ultraortodossi Shas, Agudat Israel e il neonato Yahad hanno dichiarato che non entreranno a far parte di un governo di centro-sinistra. 

Netanyahu sembra dunque avere la vittoria in tasca, ma i problemi non gli mancheranno. Con i suoi probabili 25/26 seggi ne avrà bisogno di almeno altri 36/40 per costituire la sua coalizione, che quindi sarà composta da molti partiti e presumibilmente vittima spesso di veti incrociati e litigiosità. La stabilità di governo non è assicurata. Da qui, la possibilità che il primo ministro proponga ai laboristi di entrare in un governo di "unità nazionale", che lo aiuterebbe sul piano internazionale e lo libererebbe dai ricatti dei piccoli partiti. Il duo Herzog-Livni non ha finora escluso questa possibilità, pur rivendicando la certezza che il prossimo governo sarà guidato dal loro partito. Per ottenere questo risultato, stanno conducendo una campagna elettorale molto prudente sui temi della politica estera e molto aggressiva su quelli di politica sociale.

Se il Mahanè Hazionì dovesse prevalere sul Likud anche di un solo seggio, rivendicherebbe il diritto di ricevere il primo mandato a formare il nuovo governo dal presidente Rubi Rivlin. In quel caso, qualche partito di centro o ortodosso potrebbe cambiare idea e aderire alla coalizione di Herzog. Si tratterebbe di un governo debole, che dovrebbe contare in certe occasioni su una benevola opposizione dei partiti arabi, ai quali i sondaggi accreditano dodici seggi per effetto della lista unica, che hanno costituito per la prima volta nella storia.

Lo scenario della politica israeliana appare dunque immobile e le prossime elezioni sembrano foriere di poche novità. In realtà, non tutto è come prima. L'elettorato arabo e ortodosso è in crescita e aumenterà leggermente la propria rappresentanza in Parlamento. Il malessere sociale non si è placato e potrebbe esplodere da un momento all'altro. Gli israeliani di origine russa non votano per partiti etnici, ma si distribuiscono su tutto l'arco dei partiti. Il conflitto coi palestinesi bussa alle porte di casa ed è più minaccioso di quello con l'Iran, che Netanyahu continua a sbandierare come emergenza nazionale per raccogliere voti di paura. Infine ci sono gli attriti con Obama, che stanno rendendo problematici come non mai i rapporti con gli Usa.

Poche settimane e sapremo dove va Israele.


Di questi argomenti si discuterà nell'incontro
Il dilemma del riconoscimento, il 9 febbraio alle ore 21 presso il CAM Garibaldi di Milano. Si confronteranno sul tema Pia Locatelli, deputata PSI - Commissione Esteri Camera; Lia Quartapelle, deputata PD - Commissione Esteri Camera; Arturo Scotto, presidente gruppo SEL; Janiki Cingoli, direttore CIPMO; Giorgio Gomel, Jcall Italia; Carmel Luzzatti, gioarnalista del Canale 2 della Tv Israeliana. Modera Luciano Belli Paci, Sinistra per Israele. Nel box approfondimenti la locandina dell'iniziativa

di Gabriele Eschenazi, giornalista e scrittore

Analisi di

6 febbraio 2015

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