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Riconoscere i giusti musulmani

di Robert Satloff

Lo storico Robert Satloff, direttore esecutivo del Washington Institute for Near East Policy, è l'autore del libro Among the Righteous: Lost Stories from the Holocaust’s Long Reach into Arab Lands, nel quale racconta le azioni coraggiose di alcuni arabi che rischiarono la propria vita per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista.

In occasione della Giornata della Memoria ha dedicato una riflessione, pubblicata dal The Daily Star, per ricordare l'attualità di questo argomento, anche alla luce degli attacchi di Parigi del gennaio scorso.

Parecchi anni fa salii per una scala poco illuminata di un quartiere operaio di Parigi e bussai alla porta di un minuscolo bilocale. Feci lì la conoscenza di Joseph Naccache, un vecchio ebreo costretto a letto. Avevo trovato il nome di Joseph su una lista di sopravvissuti dei campi di lavoro nazisti nella sua nativa Tunisia ed ero venuto a intervistarlo sulla sua esperienza del periodo bellico.

Joseph non aveva avuto una vita facile, né in Tunisia né in Francia, sua patria di adozione. Era pieno di amarezza e malinconia. I musulmani erano fra i capi villaggio; avevano gioito quando i tedeschi fecero sfilare gli ebrei per le strade di Tunisi sulla strada per il lavoro forzato. E due generazioni dopo erano ancora lì a perseguitare gli ebrei per le strade di Parigi. Era fuggito da una terra di musulmani, disse mestamente Joseph, ma si ritrovava ancora in una terra di musulmani. Poi, quasi in una sorta di ripensamento, si ricordò di un musulmano chiamato Hamza Abdul Jalil che, sosteneva, gli aveva salvato la vita. Questa è la storia di Hamza e Joseph.

Nel quartiere sovraffollato di Tunisi dove viveva Joseph, dove lo strepito degli scalpellini e degli ambulanti faceva a gara col richiamo del muezzin alla preghiera, il centro dell’attività sociale era lo hammam o bagno turco. Ben più che un semplice luogo dove lavarsi, era un punto di ritrovo dove uomini e donne (separatamente) condividevano notizie, diffondevano pettegolezzi, si raccontavano barzellette e si rilassavano.

Sulla strada principale vicino allo stretto vicolo dove viveva la famiglia Naccache, Hamza Abdul Jalil era il proprietario del suddetto hammam. Questo bagno era il luogo dove sia ebrei che musulmani sedevano fianco a fianco, su basse panche, riempiendo d’acqua bollente secchio dopo secchio.

Era il dicembre 1942, un mese dopo l’arrivo a Tunisi delle prime truppe tedesche, quando le SS ordinarono agli uomini ebrei di radunarsi per essere avviati al lavoro forzato. Poiché furono pochi quelli che si presentarono volontariamente, le truppe naziste andarono di sinagoga in sinagoga, di ospedale in ospedale e perfino di casa in casa per trovare gli uomini ebrei e trascinarli a eseguire lavori che comportavano il rischio della vita come disinnescare bombe o riparare strade nel bel mezzo delle incursioni delle forze alleate.

Hamza Abdul Jalil sapeva che era un momento pericoloso per gli ebrei del suo quartiere. Quando cominciò la retata degli ebrei, Hamza disse a Joseph che, se mai avesse avuto bisogno di un posto in cui nascondersi sarebbe dovuto andare nel bagno turco. Quando Joseph cominciò a temere che la rete tedesca stesse per intrappolarlo, si avvalse dell’offerta di Hamza. Per due settimane Hamza lo protesse nel profondo labirinto dello hammam, procurandogli riparo e cibo, facendo in modo che Joseph sfuggisse ai suoi persecutori. Hamza non richiese né accettò alcun compenso.

Dopo aver lasciato lo hammam per nascondersi in un altro posto, Joseph alla fine venne catturato dai tedeschi e venne mandato ai campi di lavoro all’interno della Tunisia. Ancora dopo una vita, tuttavia, ricordava la gentilezza del proprietario dello hammam.

“Non si può dire che il mondo intero fosse malvagio”, mi disse Joseph, “alcuni erano gentili, erano umani”.

Non appena ebbi sentito questa storia, mi recai a Tunisi e cercai lo hammam. Era esattamente nel posto in cui Joseph aveva detto che sarebbe dovuto essere. Quasi come congelato nel tempo, trovai l’attuale proprietario seduto alla piccola entrata. Era Faruq Abdul Jalil, il figlio di Hamza.

Dopo che ebbi spiegato a Faruq il motivo della mia visita, egli si scusò del fatto che non aveva mai sentito prima questa storia riguardante suo padre. Ma era ovvio, spiegò. Perché suo padre aveva aiutato Joseph? Questo anziano tunisino, che indossava un copricapo di feltro simile al fez tradizionale che suo padre portava sulla testa in una foto appesa alla parete, rispose come fosse un fatto naturale: “mio padre nascose Naccache perché i musulmani e gli israeliani – ‘Giudei’, come li chiamate voi – erano quasi come fratelli.”

Mi è venuta in mente questa storia leggendo dell’eroismo di Lassana Bathily, il musulmano originario del Mali che ha salvato 15 persone, compresi molti ebrei, nascondendole in un frigorifero nel supermercato kosher attaccato a Parigi poche settimane fa. “Sì, ho aiutato gli ebrei. Siamo fratelli”, ha detto a un intervistatore. “Non è un problema di ebrei, cristiani o musulmani. Siamo tutti sulla stessa barca”.

Queste storie sono importanti. Naturalmente non devono essere usate per sorvolare sui reali pericoli rappresentati da quello che il primo ministro francese Manuel Valls chiama senza mezzi termini “islamismo fondamentalista”, o per aumentare il numero degli eroi giusti – musulmani o di altre etnie – disposti a rischiare le loro vite per salvare innocenti, sia durante l’Olocausto sia oggi. Piuttosto, il motivo per raccontare nuovamente queste storie a voce alta, e il più spesso possibile, è che queste storie sono il promemoria impellente della forza della libera scelta. Le persone che, a partire dalle idee tradizionali di nazionalismo o di Islam, conducono queste idee agli estremi del fascismo o del jihadismo, stanno facendo una scelta. Ma anche le persone che resistono di fronte a coloro che tirannizzano gli altri sulla base di questi estremismi stanno facendo una scelta.

Per quanto i francesi rafforzino le loro unità antiterrorismo e gli americani inviino in Siria e Iraq più “consiglieri” delle forze speciali, rimane il fatto fondamentale che la lotta che si estende da Parigi a Raqqa sarà vinta solo quando più individui – in questo caso musulmani –faranno la scelta che hanno fatto Hamza e Lassana.

Traduzione di Salvatore Pennisi, Commissione didattica Gariwo

6 febbraio 2015

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