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Bodil Katharine Biørn (1871 - 1960)

l'infermiera che ha documentato il genocidio armeno

Bodil Katharine Biørn nasce nel 1871 nella città norvegese di Kragerø. Suo padre Heinrich Bolmann Biørn è un armatore e spedizioniere marittimo ed è l’uomo più ricco della regione. Compie gli studi superiori a Kristiania (oggi Oslo) grazie all’intercessione di suo zio che è preside della scuola. Prosegue studiando musica a Berlino per diventare una cantante da concerto, finché a 25 anni si sente chiamata da Dio per mettersi al servizio del prossimo sviluppando una profonda fede cristiana che l’accompagnerà per il resto dalla sua vita. 

Inizia subito a formarsi come infermiera ginecologica e levatrice presso la scuola diaconale di Kristiania. Legge dei massacri hamidiani del 1894-1897 nei giornali norvegesi e ne rimane profondamente addolorata. Nel 1903 inizia a partecipare ad incontri tenuti da missionari scandinavi e tedeschi riguardo alle sofferenze del popolo armeno. Nel 1904 si trasferisce a Copenaghen per unirsi all’organizzazione “Donne Missionarie” (Kvindelige Missions Arbejdere, KMA), fondata due anni prima dalla missionaria danese Emsy Collet. Dopo aver seguito un corso di formazione di 9 mesi, nel 1905 raggiunge Costantinopoli e Smirne, nell'Impero Ottomano. L’organizzazione Women Missionary Workers (WMO) [Lavoratrici Missionarie] la invia inizialmente nella città di Mezereh e due anni dopo, nel 1907 a Mush, dove continua l’opera iniziata da missionari tedeschi principalmente in favore di vedove e orfani. Oltre a lavorare come infermiera e levatrice per pazienti armeni, curdi e turchi, con i fondi forniti dal WMO amplia l’ambulatorio dell’ospedale di dieci posti letto, apre un orfanotrofio per ragazzi e ragazze e una scuola e assume lavoratori locali. Impara l’armeno ed il turco in aggiunta al tedesco e all’inglese. Diventa inoltre responsabile della missione e, aiutata dalla missionaria svedese Alma Johansson, insegna a giovani ragazze nubili e sposate a leggere, scrivere e contare.

Bodil diventa testimone del Genocidio Armeno verso la metà di luglio del 1915, quando i soldati ottomani arrivano a Mush per deportare i circa 10,000 armeni che costituiscono un terzo della popolazione della città. Il mutasarrif di Mush ordina a Bodil di lasciare la città, ma lei si rifiuta e documenta fotograficamente e nel suo diario gli incendi ed i massacri che nei 3 giorni successivi distruggono interamente il distretto armeno della città. Pochi giorni dopo i soldati ottomani danno fuoco anche all’orfanotrofio dove era missionaria. Mentre ciò accade Bodil è distesa a letto malata di tifo, si salva, ma annota nel suo diario il turbamento psicologico procuratole dalle urla dei suoi orfani chiusi nella stalla in fiamme e dall’essere riuscita a salvare solo 3 insegnanti e 3 bambini. Dopo cinque mesi trascorsi a Kharberd [Harput] senza mai perdere la speranza, riesce a tornare a Mush dove aiuta ad ospitare, sfamare e curare i sopravvissuti ai massacri e agli incendi.

Nel 1917 adotta un orfano armeno di due anni, Rafael Sefarian, che porta con sé in Norvegia dove viene ribattezzato con il nome di Fridtjof in omaggio al suo connazionale Fridtjof Nansen che ha salvato migliaia di armeni rilasciando passaporti speciali. Bodil non si sposerà mai e Fridtjof sarà il suo unico figlio. Mentre è in Norvegia raccoglie fondi per le sue opere missionarie. Nel 1921 riparte per Costantinopoli dove fonda un orfanotrofio. Dopo aver saputo che molti armeni sopravvissuti sono emigrati nella neo-fondata Repubblica d’Armenia, lascia suo figlio Fridtjof alla Scuola Francese di Beirut e nel 1922 parte per Alexandrapol (oggi Gyumri), dove istituisce, con le donazioni raccolte in Norvegia, l’orfanatrofio Lusaghbyur [Fonte di Luce] i cui 33 orfani la chiamano “Madre Katherine”. Nel 1924 i bolscevichi chiudono Lusaghbyur e trasferiscono gli orfani presso altri orfanotrofi di Amercom espellendo lei e tutte le organizzazioni missionarie cristiane dall’Unione Sovietica. Dopo un breve periodo a Costantinopoli nel 1926 si reca ad Aleppo, in Siria, per fondare un altro orfanotrofio per prendersi cura dei sopravvissuti alle stragi in Siria ed in Libano. Resta in Siria fino al 1934-35 quando, a 64 anni, torna definitivamente in Norvegia. Anche dal paese natio continua il suo impegno umanitario mettendo in atto raccolte di fondi, scrivendo articoli sui giornali e tenendo conferenze per aiutare i rifugiati armeni e gli orfani sopravvissuti al genocidio.

Bodil Biørn vive il resto della sua vita in Norvegia con il figlio ed il nipote Jussi Flemming Biørn e muore ad Oslo nel 1960 all’età di 90 anni, lasciando un ricordo indelebile nel cuore degli armeni che ha aiutato, tanto che nel 2007 la comunità armena di Aleppo le dedica un memoriale in pietra all’esterno della sua casa natale a Kragerø. Oltre ad aver salvato centinaia di armeni, Bodil ha sempre documentato con la macchina fotografica ciò a cui ha assistito, tenendo un diario dettagliato e raccogliendo le testimonianze, le esperienze e le storie degli armeni sopravvissuti. Il fondo Bodil Katharine Biørn oggi conservato presso l’Archivio di Stato Norvegese rappresenta una fonte di risorse preziose per la documentazione del genocidio armeno. Il 22 luglio 2008 si è svolta a Yerevan, presso il Museo del Genocidio sulla Dzidzernagapert, la cerimonia di posa della lapide contenente terra della tomba di Bodil Katharine Biørn nel Muro della Memoria dedicato ai “Giusti per gli armeni”.

Bibliografia Essenziale

  • Bjørnlund, Matthias. “Scandinavia and the Armenian Genocide.” in The Armenian Weekly. Watertown, Hairenik Association, 26 aprile 2008.
  • Kolbjørnsen, Mia. Med Guds blikk i Armenia. [Online] 2 agosto 2009.
  • Svante Lundgren & al: Folkmord, flyktingar och fortlevnad. Tre skandinaviska kvinnors arbete för armeniska kvinnor och barn. Skellefteå, Artos & Norma Bokförlag, 2020.
  • Okkenhaug, Inger Marie. En norsk filantrop. Bodil Biørn og armenerne 1905-1934. Kristiansand, Portal, 2016.

Francesco Moratelli, ricercatore

Giardini che onorano Bodil Katharine Biørn

Bodil Katharine Biørn è onorata nei Giardini di Marcon - Istituto GF. Malipiero e Yerevan.

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