"Se gli integralisti si lanciano nella guerra santa agli infedeli, le teologhe musulmane si scatenano nel gender jihad e cioè nella lotta per la giustizia di genere perché per secoli 'la giustizia e la piena dignità umana concesse da Dio sono state ignorate o abusate'.
A dichiararlo è la teologa - musulmana e statunitense - Amina Wadud, che aggiunge: 'La storia di un'interpretazione e una codificazione dell'Islam androcentriche e quasi esclusivamente maschili non ha quasi per nulla riconosciuto l'importanza del contributo delle donne". Armina Wadud è soltanto una delle protagoniste dell'interessante e valido saggio Teologhe, musulmane, femministe dell'arabista Jolanda Guardi e della teologa Renata Bedendo. Le altre sono Asma Barlas, Nimat Hafez Barazangi, Aziza al-Hibri, Ghazala Anwar e Asma Lamrabet. Pur avendo alcuni punti in comune, tra cui il Corano come punto di partenza e il forte impegno nel sociale, ogni teologa si caratterizza per un approccio originale senza dimenticare che l'Islam non è l'unica variabile a determinare la condizione delle cittadine nei Paesi a maggioranza musulmana. La teologia femminista musulmana si inserisce così nel ripensamento femminista della teologia e muovendosi all'interno del sistema, riscrive l'esegesi coranica, spiega Jolanda Guardi, docente di lingua araba a Milano. E cita Asma Barlas che insegna alI'Ithaca College, negli Stati Uniti, e ritiene che i musulmani possono e debbano 'leggere il corano come un testo liberatorio e contrario al patriarcato senza che questa lettura sia vincolata al genere del lettore'.
Ghazala Anwar affronta invece la tematica da un'altra prospettiva, introducendo nel dibattito la questione degli omosessuali e rivendicando il loro diritto di vivere la propria appartenenza all'Islam. Un tabù, questo dell'omosessualità, che le è costato la cattedra in Pakistan e l'ha portata a optare per un ateneo in Nuova Zelanda. Segno che non sempre il Jihad di genere si può combattere in prima linea.