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Il terrore rosso in Russia. 1918-1923

di Sergej P. Mel’gunov a cura di Sergio Rapetti e Paola Sensini, Jaca Book, Milano, 2010

"Esce in questi giorni in Italia - a quasi novant’anni dalla prima apparizione in lingua russa a Berlino nel 1923 - Il terrore rosso in Russia. 1918-1923 di Sergej P. Mel’gunov. Si tratta di un libro che - pochi mesi dopo aver visto la luce - venne subito ristampato in una doppia edizione in russo e in tedesco accresciuta con estratti provenienti dall’archivio della commissione Denikin, preposta a indagare sulle atrocità bolsceviche. Due anni dopo, nel 1925, venne pubblicata la traduzione inglese, nel 1927 uscirono la francese e la spagnola. In America il libro di Mel’gunov arrivò nel 1975, mentre nel 1990, in piena glasnost’ gorbacëviana, fu stampato anche in Russia (circolava già in fotocopia presso alcune case editrici dell’emigrazione). Fino a oggi non si poteva avere accesso nella nostra lingua a questo che ormai è uno dei documenti imprescindibili sulla Rivoluzione d’ottobre (e sarebbe interessante capire cosa ne ha ritardato così tanto la pubblicazione).
È un libro agghiacciante. 'Si devono veramente avere i nervi di acciaio per soffrire ed elaborare interiormente tutto l’orrore che si dispiegherà nelle pagine che seguono' scrive Mel’gunov nella prefazione [...].
Mel’gunov, di fatto, visse in prima persona il massacro sistematico e allo stesso tempo assurdo che Lenin e soci misero in atto per 'raddrizzare l’umanità' e portarla alla felicità, quella comunista, ça va sans dire: e di questo volle testimoniare in presa diretta con Il terrore rosso. 'Nelle varie Ceka - scrive - e non soltanto in provincia ma anche nelle capitali, sevizie e torture erano all’ordine del giorno'. Lo erano pure le uccisioni di massa: in una sola notte del 1921 a Kronštadt, durante la repressione bolscevica della rivolta socialista-libertaria, «trecento marinai vennero passati per le armi». Solo un esempio tra centinaia. Nel 1920 a Odessa le fucilazioni 'si susseguivano senza sosta, cento e più al giorno, i cadaveri venivano sgomberati con autocarri'. Idem a Sebastopoli, Balaklava, Astrachan’, per non parlare di quel che accadeva alle isole Solovki, per esempio. A volte non si aveva nemmeno il tempo di uccidere con un colpo alla nuca ogni vittima: si usava la mitragliatrice. Come 'proseguirono' le cose lo sappiamo poi da Solženicyn e Šalamov, di cui Mel’gunov è un tragico precursore [...]. L’unicità dello scritto di Mel’gunov è però di ordine filosofico: composto soltanto da fatti - quasi un reportage - si configura tra le righe come una critica radicale a qualsiasi rivoluzione 'ideologica' imposta dall’alto".

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