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Un movimento giovanile panarabo?

Egitto, Tunisia e le rivoluzioni via Facebook

Durante le proteste in piazza Tahrir, i manifestanti si sono difesi dai lacrimogeni mettendo aceto e cipolle dentro i loro fazzoletti. Secondo il New York Times l’avrebbero imparato su Facebook, grazie a una collaborazione biennale in linea tra giovani tunisini ed egiziani.

Sulla piattaforma fondata da Mark Zuckerberg gli utenti dei due Paesi si sarebbero incontrati “per scambiare pareri sull’uso delle tecnologie al fine di eludere la censura, per lamentare le torture subite e per apprendere come organizzare barricate e difendersi dai proiettili di gomma”. Alla fine di questo percorso, segnato anche dalle relazioni con alcuni attivisti serbi che applicano la non violenza nelle proteste antigovernative, sarebbe nato, continua il quotidiano americano, “un movimento giovanile panarabo che si dedica a diffondere la democrazia in una regione in cui essa è assente”.

Si tratterebbe di un’inedita fusione tra laiche capacità di comunicare via Internet e disciplina appresa nella pratica religiosa, legata solo parzialmente alla giovane età (il loro avversario sarebbe il coetaneo Gamal Mubarak, figlio dell’ex leader egiziano Hosni, che avrebbe preparato gli ultimi discorsi di sfida del padre).

Se il movimento tunisino si è propagato all’Egitto, i suoi leader fanno ora sapere che la prossima tappa è estendere la rivoluzione anche ad altri Paesi. La collaborazione online però risale a parecchio tempo fa. Ahmed Maher, un trentenne di professione ingegnere che guida il movimento 6 aprile in Egitto, viene dall’esperienza del movimento Kefaya (“Ne abbiamo abbastanza”), nato su Internet nel 2005. Esso aveva dato origine a una formazione chiamata Gioventù per il cambiamento, che però è stata decimata dalla censura e dagli arresti. Entro il 2008 il gruppo si era ritirato in buon ordine dietro le tastiere, da dove ha dato vita al movimento di blogger che organizza – la Frankfurter Allgemeine scrive “pianifica” – le manifestazioni odierne.

La Tunisia

Un movimento analogo si è registrato anche in Tunisia, dove qualche mese dopo uno sciopero i giovani blogger diedero vita al “Movimento progressista per la Tunisia”, sempre intenzionato a sfidare i vecchi leader della stessa opposizione oltre che a contestare i governi. Questi due gruppi si sono interfacciati via Facebook attingendo anche da esperienze estranee all’area maghrebina, per esempio il movimento serbo Otpor ispirato al pensatore americano Gene Sharp. Otpor vanterebbe un record di proteste nonviolente culminate nella vittoria contro la dittatura di Slobodan Milosevic. La teoria principale di Sharp è che la nonviolenza è particolarmente efficace contro quei regimi che possono invocare l’esistenza di un’opposizione violenta per reprimere tutto il dissenso dei Paesi. Un’altra voce diffusa online sarebbe la cosiddetta “Accademia del Cambiamento” formata da trentenni egiziani emigrati in Qatar, uno dei cui massini dirigenti, Hisham Morsy, è detenuto ora al Cairo. Altri dirigenti sono connessi con il Movimento 6 aprile e perfino con gli Stati Uniti, che finanziano le loro attività di monitoraggio elettorale, anche se secondo le parole di Basem Fathy, citate dal New York Times, “L’Accademia del Cambiamento è come Karl Marx e noi siamo come Lenin”. Durante le proteste in piazza Tahrir, Fathy dice di avere usato la Rete per raccogliere 5.100 dollari per comprare tende per i manifestanti.

La sintesi politica di Wael Ghonim

Un anno fa il movumento ha acquisito un altro importante partecipante, il blogger trentunenne Wael Ghonim, “poco esperto di politica ma decisamente critico verso la polizia egiziana, il pilastro su cui si sostiene il potere di questo Paese”. Con Ghonim il movimento dei blogger ha acquisito alcune tecniche tipiche della sua provenienza professionale, il mondo del marketing. Il risultato è la nascita di un gruppo Facebook, “Siamo tutti Khalid Said” dal nome di un ragazzo picchiato dagli agenti, che secondo il blogger avrebbe “istruito, a partire dal caso del manifestante malmenato, gli egiziani sui movimenti democratici”.

Questa pagina, politicamente collocata nell’area di ElBaradei, è piena di video e articoli sulle violenze della polizia e ha semplificato al massimo le sue richieste: “Questo è il vostro Paese e i governanti sono i vostri dipendenti che devono rendere conto a voi, che avete i vostri diritti”. Gli utenti sarebbero centinaia di migliaia. Allo scoppio della rivoluzione egiziana, Ghonim è stato incarcerato, ma il suo movimento si era già connesso con quello di ElBaradei, il Movimento 6 aprile e l’ala giovanile della Fratellanza Musulmana e si è mostrato in grado di portare in piazza almeno 50.000 persone.



Volontari hanno affisso nelle piazze cartelloni che pubblicizzavano una Giornata contro la Polizia sul modello delle proteste tunisine, collegandolo alla celebrazione della lotta contro l’imperialismo britannico e a rivendicazioni socioeconomiche. Alla fine, il 25 gennaio, era nato il movimento di piazza Tahrir al completo. Da qui sono partite tutte le successive manifestazioni in Yemen, Algeria, Iran e Bahrein, in quello che potrebbe forse essere definito “effetto domino” della rivoluzione via Facebook.

15 febbraio 2011

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