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"Date un voto all'opposizione"

L'Economist contro il premier turco Erdogan

Il prossimo 12 giugno gli elettori turchi andranno alle urne per rinnovare l'Assemblea nazionale, il parlamento, eletto ogni 4 anni. L'editorialista del Corriere della Sera Antonio Ferrari scrive sul quotidiano che "Il premier turco Recep Tayyip Erdogan [...] grida scompostamente la sua rabbia per un’entrata a gamba tesa: non da parte di un oppositore interno ma di un giornale straniero, The Economist. Che Erdogan non ami i giornalisti è noto. Oltre 50 reporter sono in prigione in Turchia perché accusati di complotti contro il leader e il suo partito. Ma che il prestigioso settimanale britannico, bandiera mediatica di un Paese da sempre sostenitore della Turchia, si spingesse ad un aperto endorsement preelettorale contro il premier lo ha sconvolto. Non si tratta del capoverso di un articolo che può far sorgere equivoci, ma di un titolo e di un sommario che sono l’inequivocabile sintesi di un’opinione: 'Il miglior modo per i turchi di promuovere la democrazia sarebbe di votare contro il partito che è al governo'. Quindi non votare per gli islamici moderati dell'Akp, ma per l’opposizione. È sottinteso che il beneficiario dell’endorsement è il laico Partito repubblicano del popolo, che fu fondato da Kemal Ataturk. La spiegazione del sostegno dell’Economist è chiara. A Erdogan non basta vincere le elezioni, conquistando la maggioranza assoluta. Vorrebbe infatti conquistare i due terzi dei 550 seggi dell’Assemblea per poter riscrivere la Costituzione. Trasformare la Turchia in repubblica presidenziale, e indebolire la democrazia con un’abbondante dose di nazionalismo. Il premier, che non sopporta le critiche e soprattutto gli ostacoli sul proprio cammino, non accetta i limiti posti dall’accettazione dei pesi e contrappesi. Forte dei lusinghieri risultati politici e soprattutto economici ottenuti dal suo governo, pensa davvero d’essere onnipotente. E allora, scrive l’Economist, 'One for the opposition'".

Il ruolo chiave della borghesia

Antonella De Biasi su Lettera43 scrive: "L’economia di Ankara è quella con il più alto tasso di crescita in Europa (8,2% nel 2010). Tra i Paesi del G20 di cui è membro attivo, si colloca al terzo posto dopo la Cina e l'India.
Grazie agli stretti e gli oleodotti del Paese, la quantità giornaliera di oro nero che attraversa il territorio turco corrisponde a più del 5% dell'offerta giornaliera in tutto il mondo, pari a 85 milioni di barili.
La crescita frenetica dell'economia ha portato all’affermarsi, negli ultimi anni, una media borghesia che ha visto nel partito del premier Erdogan un punto di riferimento: prima per i propri interessi e, solo in seconda battuta, per motivi religiosi. Non è un caso se il Chp, il Partito repubblicano laico di ispirazione kemalista sta ripensando alcune sue posizioni per intercettare nuovi bisogni e aspirazioni, e quindi non restare confinato a minoranza.
Se il Prodotto interno lordo è in ascesa, il tessuto sociale resta però frammentato. La sfida è superare l’esistenza delle 'due Turchie', una islamico-conservatrice e l'altra laico-nazionalista. Nel nome della ricchezza nazionale".


(Foto del World Economic Forum)

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