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Giusti tra le Nazioni italiani

aiutarono i perseguitati disobbedendo alle "leggi razziali"

I “Giusti tra le Nazioni” riconosciuti da Yad Vashem sono più di 20mila. Tra questi gli italiani hanno raggiunto ormai la soglia dei 500 nomi.

Molte delle loro storie sono raccontate nel libro I giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei. 1943-1945, curato, per l’edizione italiana, da Liliana Picciotto, storica del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano.

Dal volume emerge come “la percentuale di sopravvissuti in Italia fu alta per la grande ondata di solidarietà e di attiva partecipazione della popolazione italiana alle azioni di soccorso. Molti italiani sabotarono le vessazioni degli occupanti e compirono atti di generosità salvando in diversi modi gli ebrei: dalla spontanea ospitalità dei contadini e di gente semplice alla creazione di reti clandestine di soccorso”.   

Le cifre elencate da Liliana Picciotto per il periodo successivo all’8 settembre 1943, sono già di per sé eloquenti: circa 43 milioni di italiani nelle regioni rimaste sotto il regime della Repubblica Sociale e dell’occupazione tedesca, a fronte di 32.300 ebrei intrappolati nelle stesse regioni. Di questi, circa 8.000 furono arrestati e quasi tutti deportati. Scamparono alle retate i restanti 23.500. Gli ebrei italiani, completamente assimilati al resto della popolazione, non si distinguevano in nessun modo ed erano quindi facilmente “mimetizzabili”. In quegli anni andarono a rinfoltire le schiere di coloro che per mille ragioni avevano bisogno di aiuto: soldati disertori dopo l’armistizio, partigiani, prigionieri alleati fuggiti dai campi di internamento.

Senza gli italiani che conducevano una vita normale, alla luce del sole, tutti questi gruppi di clandestini non avrebbero potuto sopravvivere: occorreva procurarsi le tessere annonarie per il cibo, i documenti per circolare liberamente, i rifugi dove nascondersi, il denaro per le necessità quotidiane.

L’aiuto ai diseredati e agli oppositori si può annoverare sotto la fattispecie della “resistenza civile”, intesa in primo luogo come “resistenza morale”, declinata nelle varie forme dell’opposizione civile militante o del dissenso e dell’ostilità verso gli occupanti, o ancora del soccorso umanitario o della sottrazione al reclutamento di manodopera coatta. Secondo la definizione di Jacques Semelin richiamata nell’introduzione, “la resistenza civile comprese una serie di comportamenti conflittuali con il potere costituito che si avvalsero non di armi ma di mezzi civili come: il coraggio morale, l’invettiva, l’aggiramento della violenza, la capacità di manovrare i rapporti e di cambiare le carte in tavola a dispetto e ai danni del nemico”. Picciotto distingue inoltre il tipo di soccorso prestato dagli ecclesiastici, non specificatamente indirizzato agli ebrei, ma che  li riguardò in modo speciale “per motivi di quantità e di particolare allarme per le loro vite. Il rifugio nei conventi e nelle case religiose, l’aiuto dei parroci nei piccoli centri, la disponibilità e il soccorso prestato da esponenti o semplici iscritti all’Azione Cattolica fu di tale proporzione da assumere un aspetto corale, significativo sul piano ideale ma anche sul piano semplicemente dei rapporti affettivi tra le persone coinvolte”.

Le storie dei Giusti ci raccontano le condizioni di estrema precarietà in cui si svolsero le azioni di occultamento e salvataggio degli ebrei e gli strumenti necessari per attuarle; ci descrivono i diversi livelli di intervento degli attori sociali coinvolti; ci indicano i meccanismi che agiscono a favore di una mobilitazione di forze variegate spinte da un comune sentire morale e le implicazioni politiche che ne derivano.

La narrazione dei Giusti diventa così una forma di approfondimento storico, politico, sociale e morale particolarmente adatto alla sensibilità giovanile, in grado di colpire emotivamente e di catturare l’attenzione a fini didattico-cognitivi. Un esercizio di memoria educativa di grande spessore civico.

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