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Alcune considerazioni sul negazionismo: il caso armeno

editoriale di Pietro Kuciukian

Stefano Levi Della Torre, in merito alla proposta Pacifici per una legge che punisca il negazionismo, scrive: “La falsità per legge presuppone una verità per legge e questa è un’idea familiare alle inquisizioni e ai totalitarismi, e ostica per la democrazia e per la ricerca scientifica” ... “non si può delegare a una legge una battaglia culturale”. Argomentazione di estrema importanza che, oltre a trovarmi totalmente d’accordo, segnala l’articolazione e la complessità del dibattito interno alla comunità ebraica e testimonia la ricchezza di riflessioni condotta sul tema della memoria della Shoah. La battaglia contro il negazionismo va condotta sul terreno della ricerca e della cultura. Le istituzioni, stati e governi, raramente restano fedeli ai principi della democrazia sostanziale e alle scelte costituzionali e tendono a scendere a compromessi (caso emblematico quello delle alleanze dei governi con i partiti xenofobi e i gruppi razzisti) sulla base delle esigenze del presente; in altri casi tendono a utilizzare le tragedie dei popoli per legittimare il loro passato o un loro presente o per interessi economici.
A questo proposito si segnala, salvo alcune eccezioni, la tendenza a deboli reazioni e lo scarso “attivismo”del mondo della cultura e della ricerca in senso lato, ma anche delle comunità internazionali. Una giusta “ira”, che poi, come osserva Salvatore Natoli, è “intolleranza nei confronti del male” e “indignazione fattiva”, una ribellione contro la negazione dei fatti e la riscrittura della storia da parte di singoli e governi è compito al quale tutti siamo chiamati.

 Quale efficacia può avere una battaglia antinegazionista condotta “per legge”? Una prima risposta è stata data nell’argomentazione di cui sopra. E tuttavia credo sia utile operare alcune distinzioni tra il negazionismo dei singoli individui, il negazionismo delle persone influenti e il negazionismo di stati e governi:


1. Una legge che punisca il negazionismo individuale della gente comune andrebbe contro la libertà della persona e sarebbe un danno per la democrazia. Il negazionismo individuale può essere combattuto non con la censura ma con la cultura, con l’istruzione. Hrant Dink, il giornalista turco- armeno assassinato da un fanatico nazionalista a Istanbul nel 2007 aveva dichiarato: “Sono figli dell’ignoranza, negano il genocidio perché non ne sanno nulla”. Il buio che sta dietro la loro istruzione fin da piccoli li fa diventare potenziali assassini”; è il caso dei nazionalisti turchi o dei kamikaze quaedisti formati da insegnamenti negazionisti e fondamentalisti, quindi vittime di un abuso, come osservava Yves Ternon. Ciò che è successo a Varallo Sesia, quando un giovane turco residente in Italia,in buona fede, sentendosi offeso per la scelta pro-armeni degli italiani ha cercato di distruggere i pannelli di una mostra sul genocidio, è una conferma dell’inutilità dell’antinegazionismo per legge.


2. Nel caso del negazionismo di persone influenti, storici o letterati come John Irving e Robert Faurisson, Justin MacCarthy o altri, la questione è più complicata. Louis Brandeis avvocato e giurista statunitense, membro della Corte Suprema degli Stati Uniti dal 1916 al 1939, la cui memoria è legata all’impegno profuso nelle tematiche sociali e al contributo da lui dato in campo giuridico, nel settore del “diritto alla privacy” e della difesa della libertà di parola e di opinione, così si era pronunciato sul valore della libertà di espressione: “Ci sono situazioni in cui si può proibire un dibattito: quando esistono rischi imminenti o incombenti”.
Pensiamo alla possibilità che una persona influente manifesti il proprio pensiero negazionista in un raduno o in un’assemblea, provocando un incitamento all’odio razziale o alla violenza, con possibili conseguenze sull’incolumità delle persone; oppure se queste manifestazioni di pensiero venissero espresse in momenti storici critici per le relazioni tra gli stati e i governi. Una limitazione temporanea e circoscritta della libertà di parola potrebbe essere alla fine l’unica scelta possibile per preservare la convivenza democratica.


3. Diverso è il caso del negazionismo di stati e governi. È il caso, per fare qualche esempio, della Turchia per il genocidio armeno o dell’Iran per la Shoah. È possibile ipotizzare l’approvazione di una legge sovranazionale diretta a colpire i rappresentanti dei governi responsabili di azioni o espressioni pubbliche negazioniste?


Relativamente alla domanda posta, vorrei riferirmi ad alcune situazioni problematiche, conseguenza diretta del negazionismo di Stati e governi:


  • al Museo Archeologico di Milano, nel 1995, all’indomani dell’inaugurazione della mostra che esponeva le fotografia dell’ufficiale tedesco Armin T. Wegner, testimone oculare del genocidio degli armeni nei deserti della Mesopotamia, il console turco di Milano, in assenza del direttore, è riuscito a farla chiudere. Dopo un giorno la mostra è stata riaperta per intervento del sindaco;
  • nel 1996 le spoglie di Enver Pascia, uno dei triumviri del governo dei Giovani turchi responsabile del genocidio furono traslate dall’Asia centrale e portate in Turchia per essere onorate e anche recentemente sono stati eretti monumenti a ricordo dei carnefici che hanno suscitato reazioni assai vivaci nella comunità armena in patria e in diaspora;
  • a Lione, nel 2008 è arrivato un nutrito gruppo di rappresentanti dei Lupi grigi turchi, (partito estremista dell’MHP) per impedire la commemorazione del genocidio armeno del 24 aprile; sono scoppiati scontri e tafferugli;
  • Amadinhedjad, in Iran, insiste a negare la Shoah. Ha organizzato una conferenza internazionale sul tema della Shoah per avere il sostegno dell’Accademia alla sua posizione negazionista. Visti i delicati rapporti internazionali tra gli stati, queste scelte appaiono nella loro sostanza provocatorie e assai rischiose, soprattutto se ci sta a cuore l’obiettivo della pace nelle aree di conflitti in atto o “sospesi”.

Dagli esempi emerge chiaramente che ci troviamo di fronte al negazionismo come menzogna deliberata portata avanti da uno stato sulla base di esigenze del presente, all’esercizio di un abuso nei confronti di coloro ai quali non è dato di conoscere la verità storica, un negazionismo che ha avuto e continua ad avere conseguenze pesanti sulle comunità che hanno subito il crimine di genocidio e sugli eredi dei sopravvissuti che non possono dare sepoltura ai loro morti.
Alcuni stati, sfruttando in modo cinico e strumentale la debolezza dei propri cittadini, la loro ignoranza e la loro buona fede, riscrivono la storia alterando i fatti e negano la realtà criminosa delle persecuzioni e dello sterminio di intere generazioni; seminano la cultura dell’odio e della paura dell’altro, costringendo i popoli a crescere nei fondamentalismi, nelle radicalizzazioni del pensiero, negli estremismi: a questo punto, non dobbiamo forse ricordarci che siamo ancora una volta di fronte a regimi totalitari e oppressivi , a vari gradi e livelli, e che questo costituisce un attacco violento alla democrazia?
La verità storica è negata, e se è vero che è sbagliato portare in tribunale le argomentazioni storiografiche, perché si entra su un terreno difficile e delicato, (come ha osservato Simonetta Fiori in merito alla Decisione Quadro sul tema dei negazionismi del 28 novembre 2008 adottata dall’Unione Europea), è anche vero che una puntuale , immediata e unitaria protesta che partisse dai vertici dell’Unione Europea ,dell’ONU, delle Associazioni che lottano per i diritti umani nel mondo, una protesta che avesse la massima diffusione, una protesta reiterata di fronte alla negazione reiterata , una protesta che fosse anche un appello a tutti gli uomini di buona volontà, potrebbe costituire un contributo decisivo per una possibile inversione di rotta e una base per l’elaborazione di una legge condivisa ed efficace, capace di superare i nazionalismi e le questioni nominalistiche.
Non si tratta di punire le opinioni, o di stabilire per legge ciò che storicamente è vero, usurpando il terreno degli storici; si tratta di far emergere una questione morale per uno scopo morale: sanzionare pubblicamente e concordemente con energia il negazionismo di stati e governi che è menzogna nel grado più alto. Una voce comune, caratterizzata da una forte “universalità”, perché espressione della nuova coscienza dei diritti umani sorta dalle macerie delle guerre, darebbe nuovo vigore all’autorità dei testimoni, la cui voce è diventata sempre più debole in quanto progressivamente inascoltata. Il negazionismo di stati e governi non si combatte, come ha osservato Yves Ternon, con una legge nazionale, ma con una legge sovranazionale: una legge ”antinegazionista “ da sottoporre all’ONU, analoga alla Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio approvata dall’Assemblea generale il 9 dicembre del 1948, pietra miliare per aprirsi alla speranza di una storia non più segnata dalla violenza politica di massa e da operazioni di pulizia etnica.
Nel caso armeno, la negazione del genocidio, costruita contestualmente alla sua stessa esecuzione, ha provocato il silenzio delle prime generazioni, un ritardo storiografico e, come ha osservato Catherine Coquio, “la difficoltà della letteratura armena a costituirsi in pensiero testimoniale e critico dell’evento”.
Va tuttavia osservato che in tempi recenti si assiste ad una realtà diversa: di fronte al negazionismo ostinato del governo turco, le seconde e terze generazioni in patria e nella diaspora si sono compattate, hanno manifestato un nuovo impegno per contrastare la negazione dei fatti; la memoria, rinforzata dal negazionismo, è diventata strumento di costruzione identitaria, si sono moltiplicate le testimonianze, raccolte e condivise dai non armeni; si è diffuso un rinnovato interesse tra gli storici di professione, e accanto al racconto del Metz Yeghérn, la grande catastrofe, assistiamo oggi ad una rivisitazione della storia e della cultura armena. Le memorie individuali delle sofferenze sono diventate memoria storica condivisa. Il recupero della verità storica compiuto dagli armeni per se stessi, condiviso da tanti non armeni nei paesi della diaspora e, sia pure ancora debolmente, anche in Turchia, aiuta a superare la frattura che il genocidio crea nella storia dei popoli.
In conclusione avanzo l’ipotesi che la Turchia, avendo eliminato con gli armeni, i greci e altre minoranze, la parte più europea della sua realtà etnica, è andata incontro ad una sorta di “suicidio politico” (così come è accaduto alla Germania hitleriana che con la distruzione degli ebrei, ha distrutto la cultura, la scienza,la letteratura, la poesia, la musica, l’arte ai livelli più alti). Se tutto ciò non fosse accaduto, oggi la Turchia potrebbe essere da tempo nell’ Europa Unita. Allo stesso modo l’ostinato negazionismo dei governi turchi, come ho già sottolineato, non ha fatto altro che rinvigorire la memoria degli armeni, compattare la diaspora in tutto il mondo (sette milioni) e congiungerla saldamente con la madrepatria (tre milioni).
Aprire un dibattito e un confronto trasversale sul tema del negazionismo, nel cui ambito si segnalano posizioni diverse, costituisce, nel lavoro di riflessione sui genocidi del novecento,un’occasione per operare un allargamento della memoria così come è avvenuto nel passaggio dall’approfondimento del male alla riflessione sul bene. La memoria del bene, le figure esemplari dei giusti, dei testimoni di verità,dei resistenti morali, entrati a pieno titolo nella ricerca storica, hanno affiancato i temi classici della riflessioni sulla Shoah e sui genocidi del XX secolo, gettando una nuova luce sull’età dei totalitarismi.

Pietro Kuciukian

Analisi di Pietro Kuciukian, Console onorario d'Armenia in Italia e cofondatore di Gariwo

21 dicembre 2010

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