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Egitto, vincono gli islamisti

analisi di Pietro Somaini

Le prime due giornate elettorali  delle complessive sei che per un mese e mezzo toccheranno i governatorati egiziani del Basso, Medio e Alto Egitto per le consultazioni elettorali per la Camera Bassa (Majliss) si sono svolte regolarmente e con un’altissima affluenza alle urne rispetto agli standard mediorientali. Un analogo iter, a distanza di qualche settimana dovrebbe essere seguito per la Camera Alta o Consiglio della Shura. Il corpo legislativo della democrazia rappresentativa dovrebbe esprimere la nuova Carta costituzionale su cui nelle ultime settimane prima del voto il Consiglio dei reggenti militari aveva cercato di allungare le mani riservandosi dei poteri che loro non spettavano e che poi furono la causa scatenante de i dieci giorni di sollevazione, prevalentemente giovanile, di piazza Tahrir. Secondo i primi dati ufficiosi degli exit poll ( quelli ufficiali riguardanti il Cairo, Alessandria e le zone toccate dalla prima tornata elettorale sembrano vedere un sorprendente successo, superiore alle previsioni del Partito Giustizia e Libertà (Fratelli Musulmani) con circa il 40% dei voti e una relativamente forte (forse attorno al 20 / 30% a seconda delle zone ) affermazione tra i ceti più poveri, incolti e derelitti del Partito Nur (Luce) 


I salafiti


 Salafiti che si richiamano ad una interpretazione letterale ed integrale del Corano, degli Hadith del Profeta e del corpo giuridico della Sharija, la legge islamica, non solo come punto di riferimento e guida per la Costituzione e la legislazione positiva, ma essa stessa come legge da applicare indefettibilmente anche oggi senza alcuna mediazione interpretativa ( ijtihad) ed applicativa alla differente realtà del giorno d’oggi. I voti e i seggi parlamentari conquistati dai Fratelli Musulmani e dai Salafiti ( sui quali grava fortemente il sospetto di essere finanziati dal wahhabismo saudita)  non saranno facilmente sommabili. Non solo e tanto perché i Salafiti hanno una concezione estremamente retrogada del ruolo della donna, del diritto ereditario e famigliare, della piaga della “circoncisione femminile” (alias infibulazione) molto praticata in tutto l’Egitto e in tutta l’Africa orientale islamica, cristiana ed animista, come in gran parte del Continente Nero. Quanto perché il divieto assoluto dell’alcool anche per gli stranieri, i modelli vestimentari (anche per gli uomini) islamici, il velo obbligatorio per le donne, anche straniere, minano alla base sia la convivenza con l’importante minoranza cristiana dei copti d’Egitto (oltre il 10 per cento della popolazione), sia vanno a distruggere quella che era, fino ad un anno fa la principale industria del paese, la prima fonte di divise pregiate: il turismo balneare della penisola del Sinai e delle coste del Mar Rosso e quello culturale tra il Cairo e le Piramidi di Giza e i siti archeologici del Medio e Alto Egitto. Qualunque regime politico civile, militare o religioso non potrà rinunciare per lungo tempo agli introiti del turismo mentre la demografia è già sugli 87 milioni di abitanti ed è in rapida marcia verso i cento fra non molti anni. Da subito i Fratelli hanno preso le distanze dai Salafiti e potranno convergere con essi solo su certe tematiche, magari di politica Estera ( è una mera ipotesi), ma più facilmente si troveranno a formare un governo, se non si interporranno i militari, con i partiti del Blocco egiziano definibili vagamente come di centrosinistra.


I liberali 


Secondo i dati di cui, finora, si è a conoscenza, i piccoli partiti di ispirazione liberale o libertaria di recente formazione sembrano essere stati spazzati via.  Di qui al periodo di maggio – giugno, sempre che il lungo e contorto  iter elettorale proceda senza troppi intoppi da parte dei militari che continuano a fare un’estrema fatica a cedere al governo civile, che a poco a poco si formerà e si autolegittimerà, crescenti parcelle di potere politico, istituzionale ed economico. Pochi sanno che interi settori non solo dell’industria militare sono in mano ai vertici militari. Numerosi comparti dell’economia civile, persino nel turismo e nella produzione di acqua minerale, che in Egitto è un bene strategico e prezioso, sono di proprietà di conglomerate che fanno capo alle istituzioni militari e concorrono a sostenere il relativamente alto status economico e sociale raggiunto dalla “casta” dei militari durante un sessantennio di dittatura militare da Gamal Al Nasser, a Anwar Al Sadat a Hosni Mubarak. In fondo le tanto disprezzate “bonyad” iraniane dei Sepah e Pasdaran assomigliano non poco alle imprese paramilitari dei militari egiziani, alleati, fino ad ora, dell’Occidente.   In ogni modo al di là di roboanti proclami di qualche alto ufficiale nostalgico dei tempi di Mubarak  nel periodo di transizione tra oggi e il  luglio 2012 quando entrerà in carica il nuovo presidente civile democraticamente eletto, che potrebbe essere Amr Mussa o Mohammed Al Baradei, al momento i più quotati, difficilmente il Consiglio militare potrà prendere iniziative prescindendo dalle forze politiche rappresentate in Parlamento . In somma un’epoca è finita. Le nuove forze politiche dovranno redistribuire la ricchezza, in qualche modo, tra i quasi 90 milioni di egiziani, decine di milioni dei quali nelle grandi città come nelle campagne vivono con meno di due dollari al giorno con la distribuzione a prezzi politici di pane e farina, come ai tempi delle “frumentationes” dell’Impero Romano. 
Dopo la vittoria degli islamici moderati in Marocco con un’ideologia assai simile ai confratelli egiziani e turchi resta aperto nel Nord Africa il nodo insoluto dell’Algeria, dove 20 anni fa con l’incoraggiamento dell’Occidente e della Francia in particolare si volle soffocare nel sangue (200 mila morti) l’esperimento elettorale del Fis trascinandolo per oltre un decennio sul terreno della guerra civile, fonte primaria di incubazione per il terrorismo islamico di matrice Al Qaidiana di cui ancora non abbiamo finito di pagare nella zona del Sahel tutte le conseguenze. 


Il Medio Oriente


Shematicamente due altre grosse conseguenze possono essere derivate dal voto egiziano se verà confermato nelle prossime tornate: molto cambierà nei rapporti di forza politici e geopolitici in Giordania e nella complessa questione israelo – palestinese, sia nei rapporti tra le componenti di Al Fatah e Hamas all’interno dell’Olp e dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) sia rispetto alla questione dell’ammissione alle Nazioni Unite, anche nella forma depotenziata di Stato osservatore. Israele ha già dovuto recedere dall’appropriazione delle tasse e dei diritti doganali ( diverse centinaia di milioni di dollari) che spettano all’Anp. Si dovrà, comunque, attendere che passino le elezioni francesi prima e, poi, soprattutto, quelle americane, estremamente condizionate in ogni collegio elettorale dalla questione israeliana, poi, forse, sarà più facile superare certe resistenze ad una sistemazione pacifica della questione sulla base dei nuovi rapporti di forza che ora di allora si saranno creati nel Grande Medio Oriente.
I nuovi equilibri politici del principale polo politico del mondo arabo, daranno, forse, il definitivo colpo di grazia al regime sempre più impotente ed isolato di Bashar al Assad, più che il regime di sanzioni voluto dall’Unione europea e dalla maggioranza della Lega Araba, ma non rispettato da Libano, Iraq e Giordania.
Questi effetti si dispiegheranno progressivamente nelle prossime settimane e potrebbero avere conseguenze dirompenti spingendo al movimento anche quei ceti urbani di Damasco ed Aleppo che finora hanno preferito attendere nella paura.
 

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