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Dans le nu de la vie: récits des marais rwandais

di Jean Hatzfeld Editions du Seuil, Parigi, 2000

La copertina del libro

La copertina del libro

Jean Hatzfeld è un reporter di Libération che è rimasto particolarmente colpito dal genocidio del Ruanda, e soprattutto dalla scarsa importanza attribuitagli dai media internazionali; per questo si è recato sulle colline di Nyamata per raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti al massacro.
La prima cosa che ha notato tra gli intervistati è stato che, se da una parte conservavano quel pudore silenzioso denso di senso di colpa tipico dei sopravvissuti, dall’altra, una volta rotto il ghiaccio, molti ammettevano che tra di loro non parlavano che del genocidio, e anzi, che "non passava una sola giornata senza che pronunciassero la parola genocidio .


Tutti i racconti, provenienti da persone di ogni età e classe sociale, sono stati raccolti dall’autore, non per farne un documento storico o informativo, ma semplicemente per dare voce a chi ha vissuto, ed è sopravvissuto, al massacro, e attraverso di loro, anche a quelli che vi hanno trovato la morte. Per la maggior parte degli intervistati questaè la prima volta in cui raccontano la loro storia  a uno straniero, e lo fanno con voce limpida, delicata ma al tempo spesso chiara, con uno stile che non lascia spazio ad ambiguità e parole segnate dal dolore eppure pronunciate con perfetta lucidità  e piena coscienza del loro significato. È questo carattere di veridicità che colpisce in modo particolare e dà l’impressione al lettore di essere seduto all’ombra di un baobab ad ascoltare con le proprie orecchie queste testimonianze.


L’autore alterna ogni discorso con un breve racconto del passato del testimone, e, dove possibile, accenna al suo futuro. Hatzfeld inoltre lascia spazio ad ogni interpretazione e  incoerenza presente nei racconti; infatti, mentre si ricorda perfettamente la data e l’ora dell’inizio del massacro (l’11 aprile alle 11 del mattino), spesso col tempo i sopravvissuti tendono a confondere i dettagli temporali, spaziali e personali delle tragedie che li hanno riguardati da vicino.


Nel libro, Jean Hatzfeld prova anche a dare la sua interpretazione di genocidio, definendolo come "un progetto di sterminio(…) un’impresa disumana compiuta dagli umani, troppo folle e metodica per essere compresa" ; questa incomprensione è ciò che accomuna tutti i racconti: come gli Interahamwe Tutsi non si siano accorti della follia dei loro gesti, come si sia giunti al concepimento di un tale sterminio, come Dio abbia potuto dimenticarsi di un intero popolo.

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