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Perché l'albero a Khaled Abdul Wahab

al Giardino dei Giusti di Bisceglie

Qualche tempo fa, mentre ero intento a sfogliare le pagine di un quotidiano nazionale, a piè di pagina, mi colpì una breve e concisa notizia.
Annunciava che, sul Monte Stella a Milano, dov’è il Giardino dei Giusti, era stato piantato un albero, dedicato alla memoria di un arabo, Khaled Abdul Wahab che, durante l’ultimo conflitto mondiale, aveva salvato delle famiglie ebraiche dalla deportazione e probabilmente dalla sicura morte nei campi di sterminio o di lavoro forzato.

Due elementi catturarono subito la mia attenzione: il fatto che un arabo potesse aver salvato degli ebrei e la coincidenza che questo fosse avvenuto in una città della Tunisia, a Mahadia, distante pochi chilometri da Sousse, dove nel ’39 ero nato io. Quei fatti erano avvenuti quando io avevo quattro anni e prima che una bomba avesse distrutto la mia casa ed obbligato me e la mia famiglia a rientrare in Italia, solo con due valige e tanta desolata paura.
Quella notte, intendo del giorno in cui avevo letto l’articolo, dormii poco.
È fatto consueto per chi come me, scrive poesia, racconti e drammi teatrali.

Stava nascendo l’idea che questo accadimento aveva in sé delle potenzialità di immenso valore etico, politico e storico: nel mondo di oggi, quando non solo muri fisici dividono i due popoli, quello ebreo da quello arabo-palestinese, ma anche terribili storie di sangue, massacri, attentati, la figura di quell’uomo, di quel tunisino, incominciava a perseguitarmi. Khaled aveva deciso di far riflettere me e non solo me e di farlo attraverso anche un mio contributo.

Ho iniziato la ricerca sulla sua vita, di dove e come viveva, di cosa facesse, delle circostanze che lo avevano portato a fare quello che aveva fatto, e più ne sondavo la psicologia, più mi convincevo che era personaggio da non lasciare nel dimenticatoio. Ho così appreso della famiglia Boukrì, di Jacob, Odette e Anny e di come essi furono sottratti a un destino sicuramente crudelissimo da quest’uomo contraddittorio, scomodo, ma senza dubbio emblema di come a un certo punto il bene diventi una necessità interiore alla quale obbedire e ispirare le proprie decisioni.

Ho scritto “ Il Giusto”: un atto drammaturgico che conteneva quella storia e assieme alla mia compagnia di Lettura Drammaturgica “ Euterpe 2010” ho iniziato a rappresentarla, nelle scuole, nei teatri, nelle piazze, in librerie, in biblioteche. E ho visto il pubblico appassionarsi, non solo alla storia, ma cogliere il significato profondo che ho cercato di trasmettere.
Ma mancava qualcosa!
Dovevo andare a Milano. Dovevo vedere il Giardino dei Giusti e l’albero di Khaled. Dovevo conoscere chi aveva realizzato tutto questo.
E a Milano, ho incontrato e conosciuto Gabriele Nissim. In quest’uomo ho trovato le risposte ai dubbi che avevo e alle certezze che mi ero fatte. Lui mi ha fatto capire che le vie per seminare il bene possono essere tante e che anche un uomo comune ha la possibilità di far crescere l’albero della bontà nel giardino della sua anima e nel giardino delle persone con cui condivide la propria esistenza.

Nella città in cui ora vivo, da poco tempo, era stato recuperato un bellissimo spazio verde, abbandonato a se stesso per trenta-quarant’anni: luogo diventato una discarica, ma luogo in cui, per una fortunata coincidenza di clima o microclima, si era creata una flora arborea e arbustiva eccezionale. C’è stato un grande impegno da parte di una Società di Mutuo Soccorso che ha provveduto a bonificare il luogo e a dargli una dignità di orto botanico splendido. Quando ho saputo che Gabriele Nissim veniva in Puglia a presentare il suo ultimo libro,  “ La Bontà Insensata”, Khaled è tornato a trovarmi una notte e a chiedermi di piantare, in quell’ orto, un albero per lui e a costruire un “Giardino dei Giusti di tutto il mondo” anche a Bisceglie.

Il sigillo, pieno di una grande emozione, è stato la conoscenza che si è potuta realizzare con la figlia di Khaled, Faiza; attualmente vive a Parigi ed è rimasta colpita e commossa da tutto ciò che si stava facendo in questo piccolo angolo d’Italia, per ricordare suo padre.

Nulla sarebbe stato possibile senza Gabriele Nissim, Nicolanatonio Logoluso, il Sindaco della città e i miei “euterpini”: Elisabetta, Enzo, Felice, Francesca, Fabio, Gino, Maurizio, Natale, Nicola, Maria Antonietta, Sabina, Vittorio, Lucrezia, Anna Maria, Anna, Pia, Rosanna, Roberto, Rosa.

Il resto è cronaca!     

14 settembre 2012

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