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Una nuova operazione Piombo Fuso?

Intervista a Janiki Cingoli

Terminata la breve tregua che ha permesso al premier egiziano Hisham Kandil di raggiungere Gaza, è ancora guerra con Israele. Il premier Netanyahu ha richiamato migliaia di riservisti e pensa a un'offensiva via terra, mentre Khaled Mashal, capo di Hamas, vuole proseguire la "guerra contro il nemico". Gariwo ha intervistato Janiki Cingoli, direttore del CIPMO - Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente. 




Qual è la strategia di Hamas nella crisi tra Israele e Gaza? Su quali alleati può contare in Medio Oriente?


Hamas è una formazione sunnita e può contare sull’arco delle formazioni sunnite che governano larga parte del Medio Oriente e del Nord Africa. Dopo le primavere arabe c’è stata un’ascesa al potere dei sunniti che ora governano in Marocco, in Tunisia, in Egitto e  - non dimentichiamolo - in Turchia e che, in questo momento, lottano per il controllo della Siria. Oggi Hamas è meno isolato di quanto non sia lo stesso Fatah, espressione delle vecchie formazioni di liberazione nazionale ancorate all’esperienza dell’Unione Sovietica. Non è un caso se oggi vediamo Erdogan ricevere a Istanbul Mohammed Morsi insieme a Khaled Mashal, capo di Hamas, o l’emiro del Qatar andare in visita a Gaza e promettere 400 milioni di euro al governo che fino a poco tempo fa il mondo arabo considerava illegittimo. Anche il Sudan offre basi per creare fabbriche di armi. Di fatto Hamas, perlomeno nel mondo arabo, è uscita dal ghetto anche se permangono delle difficoltà a livello internazionale,  con gli Stati Uniti e con l’Europa. 
Hamas punta a diventare, nel lungo periodo, successore di Fatah. Mashal vuole essere il nuovo Arafat, ma a partire da un presupposto diverso che ammette la creazione di uno Stato palestinese limitato solo come transizione verso la realizzazione della Palestina unica. Questa è, dal punto di vista strategico, la differenza rispetto a Fatah. Ma c’è un ultimo aspetto che mi pare rilevante: in realtà, nessuno pensa che l’entità statuale di Hamas possa essere rimossa. I tentativi di unificare il movimento palestinese, diviso tra Hamas a Gaza e Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania, si sono limitati alle parole perché, in realtà, nessuna della due parti lo vuole. Tutti parlano di unità ma nessuno vi lavora seriamente. Da ciò consegue che la proposta "due popoli due Stati" rischia di non essere più attuale, a meno che la Cisgiordania non venga unificata a Israele.


Cosa pensa della reazione di Israele e dell’assassinio di Ahmed Jaabari?


A monte della reazione israeliana c’è il fatto che da Gaza i missili hanno ricominciato a cadere sul sud israeliano. Soltanto ieri un razzo lanciato dallo jihad islamico ha colpito i dintorni di Tel Aviv. Credo che questo elemento non possa essere ignorato. Se da Istria mandassero i missili su Trieste, il nostro governo reagirebbe. C’è da chiedersi perché abbiano ripreso a lanciare i missili dopo un lungo periodo di tregua. Bisogna tener conto della rivalità tra Hamas e i gruppi jihadisti e i salafiti. Questi ultimi sono gli stessi che hanno condotto l’assalto nel Sinai contro i militari egiziani e che, in questo momento, sfidano il potere di Morsi al Cairo, come dimostrato dal recente attacco all’ambasciata Usa. Un secondo elemento riguarda l’ipotesi che Hamas, alla vigilia del voto Onu sul riconoscimento della Palestina come Stato osservatore, voglia riacutizzare la tensione per intralciare questa richiesta dell’ANP. Ad Hamas, infatti, non piace l’idea che l’Onu, accogliendola, possa di fatto sancire la divisione della Palestina storica. Detto ciò, è evidente come la reazione israeliana sia determinata da due fattori: gli attacchi preventivi da Gaza e la campagna elettorale del premier Benjamin Netanyahu, uno che ha sempre teso a mostrare i muscoli, sebbene siano stati Olmert e Barak prima di lui a condurre gli attacchi in Libano e l’operazione Piombo Fuso. Alla vigilia della campagna elettorale la chiamata alle armi per la difesa del suolo della patria ovviamente è sempre produttiva. D’altra parte Jaabari, esponente di Hamas coinvolto nella cattura del soldato Shalit, era già sulla lista d’Israele, che ha sempre avuto la memoria lunga... Come già in passato, anche oggi l’uccisione mirata di un capo di Hamas non mi pare la soluzione ai problemi che Israele deve affrontare. 


Il Presidente egiziano Morsi ha richiamato l’ambasciatore a Tel Aviv e ha accusato gli israeliani per “l’inaccettabile aggressione”. Quale ruolo giocherà l’Egitto?


Morsi in Egitto tende ad assumere una posizione al di sopra delle parti e quindi ad avere un atteggiamento defilato rispetto alla Fratellanza Musulmana, da cui è ufficialmente uscito una volta eletto Presidente. Rimane il fatto che Hamas è in qualche modo una costola della Fratellanza anche se esistono motivi di tensione tra le due parti, dopo l'attacco ai militari egiziani nel Sinai, cui si aggiunge il problema della concorrenza dei salafiti. L’ “ala sinistra” islamica, rispetto ai Fratelli Musulmani, certamente usa le immagini dell’attacco per rivolgersi all’opinione pubblica egiziana e araba, che oggi conta molto di più di quanto non contasse all’epoca di Mubarak. 
D’altra parte, l’Egitto non ha alcun interesse che la situazione si acutizzi, se non altro per le ripercussioni che questo potrebbe avere al suo interno. Credo che si intensificheranno i tentativi egiziani di trovare una mediazione e che si stabilirà un asse abbastanza forte con gli Usa. Non è un caso la telefonata di Obama a Morsi nei giorni scorsi. 


C’è il rischio di una operazione in stile Piombo Fuso?


Siamo in Medio Oriente, dove può sempre succedere di tutto. Penso che le parti vorranno dimostrare di essere forti, coraggiose, sprezzanti del pericolo ma dubito che oggi ci siano le condizioni per un’operazione su scala massiccia come quella che si è verificata in occasione di Piombo Fuso. Teniamo conto che Obama è stato rieletto, è saldamente al potere e quindi gli spazi di manovra di Israele sono piuttosto contenuti.

16 novembre 2012

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