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30 novembre: 1527 città contro la pena di morte

Julia Kristeva sull'abolizione della pena capitale

141 su 192 Paesi membri delle Nazioni unite l’hanno abolita, ma il 60% della popolazione mondiale vive in un Paese in cui viene ancora applicata.
Stiamo parlando della pena di morte. Tuttora in vigore nei quattro stati più popolati del mondo: Cina, India, Stati Uniti e Indonesia.

Il 30 novembre, in occasione dell’anniversario dell’abolizione della pena capitale da parte del primo stato – il Granducato di Toscana – nel 1786, si celebra la Giornata mondiale delle “Città per la vita - Città contro la pena di morte”, lanciata dalla Comunità di Sant’Egidio nel 2002.

Quest’anno sono ben 1527 le città che prendono parte alla manifestazione, tra cui 69 capitali, organizzando iniziative a carattere educativo e spettacolare che vedono coinvolti monumenti o piazze-simbolo e interventi mirati alla sensibilizzazione dei cittadini.

In concomitanza con questo anniversario, Julia Kristeva, linguista, psicanalista, filosofa e scrittrice francese di origine bulgara, in un articolo pubblicato dal quotidiano Avvenire, ci pone di fronte ad alcune riflessioni sull’importanza dell’abolizione della pena capitale.
Ecco alcuni passaggi significativi:

Abolire la pena di morte: perché? Farlo significa porre a fondamento del XXI secolo quello che Hugo chiamava più di 150 anni fa (1854) «l’inviolabilità della vita umana». Da sempre gli uomini hanno paura della morte, eppure la danno ad altri per meglio salvaguardare la propria vita e tentano di salvare il bene infliggendo il male supremo.
Forte della sua eredità plurale – greca, ebraica e cristiana – l’Europa ha fatto la scelta della secolarizzazione, operando così un cambiamento anticipatore unico al mondo; ma la sua storia è stata anche segnata da una serie troppo lunga di orrori: guerre, stermini, colonialismo, totalitarismi. Questa filosofia e questa storia ci impongono una convinzione politica e morale secondo la quale nessuno Stato, nessun potere, nessun uomo può disporre di un altro essere umano né ha il potere di togliergli la vita. Quale che sia l’uomo o la donna che noi condanniamo, nessuna giustizia deve essere una giustizia che uccide.
Lungi da me l’idea di idealizzare l’essere umano o di negare il male di cui egli è capace. Noi possiamo sempre curarlo e, abolendo la pena di morte – che è un crimine, ricordiamocelo – noi ci battiamo contro la morte e contro il crimine. In tal senso, l’abolizione della pena di morte è una rivolta lucida, la sola che vale contro la pulsione di morte e in definitiva contro la morte: è la versione secolarizzata della resurrezione. 
È noto che in Italia viene illuminato il Colosseo, sanguinosa memoria di innumerevoli gladiatori e di martiri cristiani messi a morte, ogni volta che un Paese abolisce la morte di morte o emette una moratoria sulle esecuzioni. Propongo che ogni notte quando un Paese rinuncia alla pena di morte, il suo nome venga scritto su un megaschermo illuminato installato per la circostanza su place de la Concorde (un tempo piazza della Rivoluzione) e sull’Hotel de Ville di Parigi. Questo gesto può aggravare le nostre finanze pubbliche? Gli ottimisti prevedono che il mondo nella sua quasi totalità avrà abolito la pena di morte entro il 2050. Tocca a noi fare in modo che questa processo abolizionista diventi maggioranza.

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