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Algeria, dimenticata dalla Primavera

si rischiano ora nuove violenze

Limitazioni alla libertà di manifestazione, associazione e stampa. Sono quelle che continuano a verificarsi in Algeria, con l'obiettivo di tenere sotto controllo la protesta sociale e l'informazione.

Sembra inoltre aumentare la repressione nei confronti degli attivisti per i diritti umani. Il 2 gennaio è stato arrestato Taher Belabès, coordinatore del Comitato nazionale per la difesa dei diritti dei disoccupati, per "ostacolo al flusso della circolazione" e "incitamento a manifestare", reati per i quali una legge del 1991 prevede fino a cinque anni di carcere.

Il caso segue quello di Abdelkader Kherba, arrestato ad agosto mentre guidava una protesta per il diritto all'acqua e poi protagonista di un mese di sciopero della fame in attesa della scarcerazione.

L'Algeria è stato uno dei paesi meno coinvolti dalle primavere arabe del 2011. Dopo le prime manifestazioni in Tunisia e in Egitto anche ad Algeri molti giovani sono scesi in piazza, ma gli scontri non hanno avuto seguito. "La primavera araba noi l'abbiamo già avuta": questo è il sentimento prevalente tra i vecchi militanti della guerra civile del 1992.

La conseguenza è una divisione netta della società tra vecchi e giovani, con questi ultimi che hanno sempre meno opportunità in patria e bruciano i loro passaporti sognando di imbarcarsi per l'Europa. Ad eccezione di Algeri, nel Paese mancano spazi di aggregazione, e l'islamizzazione degli anni '80 ha prodotto conseguenze che limitano ulteriormente la possibilità di incontro e dialogo tra i giovani; basti pensare che persino la mensa universitaria separa uomini e donne.

Oggi gli algerini dubitano che la partecipazione della gente alla vita politica sia possibile senza che si ripetano episodi di violenza simili agli scontri degli anni '90 che causarono più di 200.000 morti e un trauma psicologico che solo nell'ultimo periodo la popolazione è riuscita a superare.

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