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Il caso Ablyazov e il Kazakistan

Amnesty International denuncia le torture nel Paese

In questi giorni la stampa italiana e internazionale si sta occupando del caso di Alma Shalabayeva e di sua figlia, espulse dall’Italia e rimandate in Kazakistan perché appartenenti alla famiglia del dissidente Mukhtar Ablyazov. Le critiche si concentrano sul fatto che l’espatrio sia stato commesso in violazione di una norma cogente della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta agli Stati di trasferire una persona in un Paese dove rischi di subire persecuzioni politiche, ritorsioni, torture e trattamenti inumani e degradanti.

È questo un obbligo preventivo, che impone agli Stati firmatari di non esporre un individuo al rischio di essere sottoposto a tali pratiche indipendentemente dalla circostanza che poi tale eventualità si realizzi, a maggior ragione se si tratta di un minore.

Al di là degli aspetti politico-giuridici del caso Shalabayeva, vi è davvero il pericolo di torture nel Paese? Secondo Amnesty International sì. L’organizzazione ha infatti pubblicato il rapporto Vecchie abitudini: l’uso regolare della tortura e dei maltrattamenti in Kazakistan, per denunciare le violazioni dei diritti umani ad Astana, capitale dello Stato asiatico.

Il documento parte dalle ricerche successive alla repressione delle proteste di Zhanaozen nel dicembre 2011, quando furono uccise almeno 15 persone e più di 100 rimasero gravemente ferite. Diverse persone furono arrestate, imprigionate in celle sotterranee e torturate.

“Non solo la tortura e i maltrattamenti sono radicati - ha dichiarato Nicola Duckworth, direttrice delle Ricerche di Amnesty - ma questi non si limitano alle aggressioni fisiche da parte degli agenti delle forze di sicurezza. Le condizioni di prigionia sono crudeli, disumane e degradanti, i prigionieri vengono puniti con lunghi periodi di isolamento, in violazione degli standard internazionali”.

Il presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev è accusato di “ingannare la comunità internazionale con promesse non mantenute di sradicare la tortura e indagare sull’uso della forza letale da parte della polizia”.

Nato nel 1940 e primo segretario del Partito Comunista del Kazakistan nel 1989, Nazarbayev è al potere dal 1991, anno dell’indipendenza del Paese successiva al crollo dell’Unione Sovietica. Nazarbayev ha da allora concentrato nelle sue mani sempre più potere, forte di un consenso del 90% alle elezioni del 2005, definite “manipolate” dall’opposizione e dagli osservatori europei. Nel 2007 il Parlamento del Paese, dominato dal partito di Nazarbayev, ha emanato una legge per consentire al presidente di rimanere al potere per un illimitato numero di legislature. Nel 2011, dopo la decisione della Corte costituzionale di dichiarare illegittimo il piano di mantenere il potere fino al 2020 senza più ricorrere al voto, Nazarbayev ha indetto e vinto le elezioni, anch’esse criticate dagli osservatori internazionali.

16 luglio 2013

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